Come ha funzionato la disinformazione novax tra social e media

di Bufale.net Team |

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Come ha funzionato la disinformazione novax tra social e media Bufale.net

Come funziona la disinformazione novax tra social e media in pandemia è un argomento molto interessante. E siamo stati lieti di fornire con la nostra opera a Massimo Stella, responsabile del CogNosco Lab alla Exeter University, in collaborazione con Giancarlo Ruffo, professore di Informatica all’Università di Torino, e i ricercatori Alfonso Semeraro e Salvatore Vilella (Università di Torino) i dati necessari per affrontarla.

Il risultato? Potrete comodamente leggerlo sulla sezione Open Access di Nature (data la sua natura, scusate il francesismo, di collazione dati), e conferma quanto abbiamo detto.

Premessa per comprendere il nostro contributo: la disinformazione è un virus ed ha varianti prevalenti

Ogni tipologia di bufala ha una sua narrazione definita. L’abbiamo visto in questi lunghi mesi di collaborazione con IDMO ed EDMO. Ogni bufala nasce sostanzialmente da una narrazione. Il “Pifferaio magico” di turno sostanzialmente scrive una storiella e la diffonde, la storia più intrigante si diffonde tra i profili dei “leoni e guerrieri” di turno.

Più storie combattono per la supremazia: la storia vincente trionfa. L’abbiamo visto col conflitto Ucraino, dove si sono moltiplicati i falsi avvistamenti di “profughi nazisti tatuati” e la falsa narrazione dell’Ucraino medio come un nazista per natura, violento e infido, che vuole portare il nazismo nel mondo distruggendo le vestigia del comunismo bolscevico per far dispetto al Popolo Russo.

La narrazione prevalente su COVID19 non fa eccezione. Si può parlare di vera e propria “programmazione neurolinguistica”. Un termine figo per esprimere il concetto noto come apocrifo di Goebbels per cui “ripetere la stessa bugia dieci, cento e mille volte la rende automaticamente verità”.

Come ha funzionato la disinformazione novax tra social e media: la riprogrammazione linguistica in atto

Possiamo ora passare al succo del tema, come esplicato dallo stesso dottor Stella.

Vi abbiamo parlato più volte dei “cacciatori di eventi avversi”, gli “sfrucugliatori seriali” che inondando ogni giorno (anche mentre stiamo scrivendo) i social di necrologi a caso attribuendoli capziosamente ed artatamente ai vaccini oppure di studi di dubbia efficacia, spesso predatori, sovente male interpretati, il più delle volte inattendibili per legare il concetto del vaccino a concetti e parole negative.

Non solo studi, ma narrazione.

Tutt’ora, nonostante sia il sistema medico che giuridico abbiano rigettato la dizione di “siero genico sperimentale”, archiviandola definitivamente tra le fake news, l’antivaccinista medio insiste con l’assurda teoria per cui non potremmo chiamarlo “novax” in quanto il suo obiettivo “non è un vaccino ma un siero genico sperimentale”.

Salvo poi ritrovarcelo a diffondere fake news per impedire ogni tipo di vaccinazione, persino quelle veterinarie.

Come ha funzionato la disinformazione novax tra social e media

Come ha funzionato la disinformazione novax tra social e media

Una serie di keyword sono dunque inizialmente apparse legate al vaccino Vaxzevria, all’epoca e tutt’ora per i novax noto come “Il vaccino Astrazeneca”. Fomentate dalle notizie sugli sporadici eventi avversi che ne hanno comportato dapprima la rimodulazione per fasce di età e poi la sostituzione di fatto coi preparati Pfizer e Moderna, una serie di parole sono state associate al preparato.

Eventi avversi, legami, trombosi, denunce, rischi, minaccia, morte.

Termini come abbiamo visto, applicati a prescindere dal risultato. “Sospetta morte” significava “Prendo un necrologio e mi invento una storiella”. Per trombosi abbiamo visto il termine arrivare in conclamate fake news, come la teoria dei viaggiatori vaccinati a cui sarebbe stato inibito prendere l’aereo.

Col ritiro di fatto del vaccino Astrazeneca dal mercato ci sarebbe dovuto essere un cambiamento: non c’è stato. Come potrete vedere tutt’ora nel tag #eventiavversi su Twitter i novax si sono spostati sui vaccini rimanenti, riciclando ad nauseam le stesse identiche bufale, ogni volta dichiarandole nuove.

Come la bufala degli “aborti da vaccino”.

E non è un caso che si citi Twitter: uno studio simile dimostra che il social, per la sua brevità e l’uso creativo degli hashtag, i “tag” su cui cliccare per vedere post simili rende rapidamente virale ogni contenuto esponendolo alla replicazione.

Le colpe dei media

Va detto che non è solo colpa del complottista medio. Banana33 ha avuto alleati, Fragolina79 ha avuto ben gioco dal trarre ausilio dall’odiato “mainstream”.

La fame di clickbait riscontrata purtroppo anche in molte testate giornalistiche ha fomentato gli orrori.

Ricorderemo per sempre a marzo la tragicomica saga dei titoli “Donna investita davanti al centro vaccinale: aveva fatto il vaccino Astrazeneca” e tutte le sue grottesche varianti, unitamente alla saga dei titoli sugli “ammalati dopo il vaccino” e la necessità di un comunicato AIEA per fare ordine sui dati ai sensi della statistica.

Quando persino il titolo clickbait rema a favore del novax, il novax invariabilmente farà screenshot del titolo e viralizzerà nascondendosi dietro l’argomento di autorità.

“Visto, lo dicono i giornalisti e i professoroni importanti? Tu sei professorone? Tu sei giornalista? Se lo sei non sei un vero giornalista come quelli che ci danno ragione con le parole del professorone”

Purtroppo è evidente che anche le testate mainstream possono promuovere delle percezioni distorte. Il fatto che un contenuto sia stato pubblicato sul sito “x” o “y” non è sufficiente a proteggerci dal rischio di sviluppare delle percezioni distorte o distaccate dalla realtà. Abbiamo davvero necessità di strumenti automatici che vadano caso per caso e che ci aiutino anche a vedere le cose da un punto di vista terzo, senza sostituire il criterio dell’utente, ma supportandolo e aiutandolo a identificare quali sono i contenuti chiave di un certo pezzo o quali sono le emozioni principali di un certo modo di scrittura.

Riporta quindi il dottor Stella.

L’infodemia è finita?

La pandemia è vicina alla “luce in fondo al tunnel”, l’ultimo miglio che richiede uno sforzo per vincere la fatica e tagliare il traguardo del ritorno alla normalità.

L’infodemia non è mai finita, e rischia di vanificare quel prezioso sforzo.

Potrete trovare nel nostro archivio un numero ormai infinito di risorse contro la disinformazione costante dei novax.

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