Retro informatica al femminile: un piccolo catalogo di donne che hanno fatto la storia

A torto, l’informatica è percepita come una sorta di festa della salsiccia, a partire dal videogioco. Tradizionalmente, il “nerd anni ’80” pensa al videogioco come qualcosa di tipico dei ragazzini, così tanto da considerare computer e console doni tradizionalmente virili come bambole ed elettrodomestici giocattolo muliebri.
Non solo l’aneddotica tende a dimostrarlo, ma esperimenti come il CASIO My Seal, console “al femminile” viola e rosa con un singolo controller inadatto ad ogni gioco di azione e il “Computer della Barbie”, rosa confetto e con in omaggio videogiochi riassumibili nella versione digitale dei “cartamodelli per vestire le bamboline” lo confermano.

Retro informatica al femminile: un piccolo catalogo di donne che hanno fatto la storia
Per decenni, l’intero mercato dell’informatica retro ha avuto ad oggetto il ragazzino. Così tanto che il pitch iniziale di Tomb Raider del character designer Roby Gard era basato su una assurda ripetizione del concetto di “gnocca” (Babe in originale), rivendendo la sua creazione come “una gnocca assoluta”, “una gran gnocca con un gran cervello” da esibire ad un pubblico di giocatori maschi dai diciotto ai ventiquattro anni, maturi abbastanza da giocare nei panni di una “gnocca”, ma evidentemente ancora sin troppo legati ad un’ottica maschile per poter prescindere dal fatto che il “cervello da paura” si sarebbe accompagnato ad un seno prosperoso e un paio di labbra a canotto sin dai primi bozzetti.
In realtà non solo senza una serie di donne nella storia dell’informatica non avremmo avuto il retrocomputing, e nemmanco l’informatica odierna, ma molte icone della tecnologia passata derivano da creatrici e non creatori.
Ada Lovelace, la prima programmatrice della storia
Sui metodi su come programmare e impostare i primi programmi ne abbiamo parlato abbastanza, e sappiamo che la prima macchina calcolatrice automatica fu la macchina analitica di Charles Babbage.
Ma l’efficacia di un calcolatore è funzione dell’esistenza di programmi per essi: entra quindi in scena Ada Lovelace (1815-1852), figlia di Lord Byron e dell’aristocratica inglese Anne Isabelle Milbanke.
Cagionevole di salute sin dall’infanzia, Augusta Ada Byron, futura contessa di Lovelace, entrò in contatto coi telai Jacquard, prime macchine ad usare schede perforate: nel loro caso, ovviamente, per impostare la tessitura automatica di particolari trame, e ricevette un’educazione scientifica a tutto tondo.

Ritratto di Ada Lovelace
Annche per questo, entrò in contatto con Charles Babbage, e decise che se la macchina analitica era una macchina teorica (non fu mai costruita, ma teorizzata), si potevano già teorizzare programmi da farci girare.
In fondo è il mecanismo della “Z Machine” che consente a giochi come Zork di girare su ogni piattaforma: postulare un calcolatore rende possibile postularne il funzionamento, e postularne il funzionamento ne rende possibile creare programmi funzionanti.
La Z-Machine esiste di fatto come emulatore su più piattaforme: questo consente di avere un’avventura di testo che funzioni uguale su ogni computer fisico, come accade col PICO-8 di Lexaloffle.
Ada Lovelace di fatto programmò su un calcolatore che non esisteva e non poteva essere emulato non esistendo hardware per farlo programmi di cui si è dimostrato il funzionamento quantomeno teorico, come una serie di note reperite nel 1953 dove la duchessa di Lovelace teorizzava un programma per il calcolo dei numeri di Bernoulli (ancorché in una biografia di Babbage lo stesso se ne attribuisce quantomeno l’intuizione, dichiarando che l'”incantatrice dei numeri”, come lui chiamava Ada Lovelace, aveva “semplicemente” corretto e reso astrattamente funzionante il programma), diventando la madre dei programmatori.

Il Diagramma per la computazione dei numeri di Bernoulli
Le dette note erano parte di una traduzione degli scritti dell’ingegnere italiano Luigi Menabrea, traduzione che di passaggio in passaggio divenne tre volte più grande del testo originale, ipotizzando un concetto fondamentale.
L’uso del dato numero come astrazione per pervenire alla creazione di altri simboli, dalle note musicali al linguaggio, di fatto teorizzando il passaggio ulteriore necessario a teorizzare assieme ai programmi i primi ChatBot. Concetto che nei secoli si sarebbe evoluto coi Large Language Model arrivando all’era dell’AI.
Ada Lovelace morì di cancro uterino insufficientemente curato al causa delle scarne tecnologie dell’epoca: il linguaggio di programmazione ADA (riferimento MIL-STD-1815) fu intitolato alla sua memoria, nonché il secondo martedì di Ottobre il Giorno di Ada Lovelace destinato alla celebrazione della donna nel campo dell’informatica.
Quando “computer” era un lavoro, ed era un lavoro da donne
Computer è il termine con cui identifichiamo il calcolatore elettronico, ovvero una macchina in grado di immagazzinare ed elaborare una grande quantità di dati.
Un tempo “computer” identificava un lavoro: un lavoro perlopiù da donne.
Nel 1881 ad esempio l’astronomo di Havard Edward Charles Pickering creò una divisione di ricerca chiamata i Computer di Harvard, derisivamente ribattezzata dai colleghi dell’epoca “L’Harem di Pickering”.
Sostanzialmente, pagando un gruppo di dottorande e ricercatrici (invero assai male) per occuparsi della parte “noiosa” della scienza, ovvero la collazione, la compilazione e il calcolo di enormi quantità di dati.
Williamina Paton Stevens Fleming (1857-1911), astronoma britannica naturalizzata statunitense, fu una delle “computer viventi”, partendo da un curriculum nell’insegnamento e nella contabilità, che la portò in tal guisa ad una lunga serie di scoperte, quali una classificazione degli astri basata sul loro contenuto di idrogeno, la Nebulosa Testa di Cavallo (1888) nella Cintura di Orione esaminando delle lastre fotografiche, e diede un essenziale contributo alla scoperta dei misteri delle nane bianche.

Williamina Fleming: da governante a celebrata astronoma
Dopo venti anni fu promossa Curatrice, nel 1910 pubblicò un testo sulle sue scoperte e al momento della sua morte a 51 anni aveva scoperto 59 nebulose, oltre 310 stelle variabili e 10 nove.
Non male per il suo “umile” curriculum da insegnante, e contabile, forgiato da una vita di avversità: Williamina Fleming si trovò a 21 anni abbandonata dal marito James Orr Fleming dopo essersi trasferita con lui negli USA e con un figlio da crescere: dovette così, come purtroppo molte donne dell’epoca, accontentarsi di fare da cameriera presso Pickering, e secondo la volgata locale divenne “un computer vivente” quando lo stesso dichiarò che tutti i suoi collaboratori maschi erano così incapaci che “persino una cameriera avrebbe potuto fare di meglio”.
In realtà ci fu di mezzo un’altra donna: Lizzie Wadsworth Sparks, moglie di Pickering, che fece notare che nel lavoro che oggi chiameremmo elaborazione dati una contabile avrebbe avuto una marcia in più rispetto ad accademici provenienti da diversi settori.
Da allora non solo il mondo guadagnò una valente astronoma, ma una convenzione durata fino agli anni ’60 almeno (RetroComputer nr. 4, Sprea SpA), per cui le operazioni di data entry e quello che avremmo chiamato il lavoro dei CED, Centri Elaborazione Dati erano perlopiù appannaggio femminile.

Reperto dell’esatto momento storico in cui le “Computer Viventi” fecero posto a “Stuart” nerdaccio arrapato entrato nel mondo dell’informatica a caccia di soldi facili e di fanciulle vogliose di concederglisi…
Negli anni ’60 il trend cominciò a invertirsi, e se le donne avevano raggiunto il 25% dei programmatori negli USA, nel progredire del decennio si decise di accopare ruoli manageriali e ruoli di programmazione, escludendo man mano le donne dall’informatica.
Il “colpo di grazia” arrivò con l’Home Computing di massa, ovvero nel passaggio da computer come il SOL-20 ai citati Apple I e Commodore PET, seguiti dall’era dell’home computing di massa con al centro Apple II e Commodore 64.
L’informatica divenne il danaroso settore del futuro, ogni famiglia cominciò ad incoraggiare le inclinazioni informatiche del proprio erede maschio destinato ad una vita di successo come il nuovo Bill Gates o il nuovo Steve Jobs (non a caso, figure maschili) e le donne furono estromesse dalla storia di cui avevano fatto parte.
L’ammiraglio Grace Hopper e le Signore dell’ENIAC
Esempio di “donna calcolatrice” fu ad esempio il contrammiraglio Grace Hopper (1906-1992), cui abbiamo dedicato un articolo dedicato alle false credenze.
Ribattezzata Amazing Grace, dal noto inno religioso, viene creditata infatti per aver scoperto il primo bug della storia.
In realtà il termine bug, abbiamo visto assieme, compare per la prima volta come concetto codificato negli scritti di Thomas Alva Edison ed era quindi ben noto quando Grace Hopper ha avuto modo, giocosamente, di identificare il primo bug che fosse anche un vero e proprio insetto in un computer Harvard Mark II, annotando l’accaduto, e archiviando l’insetto immortalato da un pezzo di nastro adesivo e la salace scritta nel registro del 9 Settembre del 1947.
La contrammiraglio Hopper aveva infatti lavorato allo sviluppo dell’Harvard Mark I, redatto il primo manuale per computer non commerciale e con iniziative come questa contribuirono a popolarizzare l’informatica stessa.

Ammiraglio Hopper davanti ad UNIVAC
Grace Hopper, da sempre una bambina curiosa (la sua avventura informatica cominciò smontando sveglie a sette anni per carpirne il funzionamento), entrò nell’esercito nonostante aver superato a 34 anni i limiti di età anche grazie alla sua abilità nell’elettronica.
Oltre al suo lavori sugli Harvard, fu pioniera del concetto che avrebbe portato al COBOL, l’immortale linguaggio di programmazione.
Sempre negli USA, Kay Mauchley Antonelli, Jean Bartik, Betty Holberton, Marlyn Meltzer, Frances Spence e Ruth Teitelbaum ottennero il titolo di Signore dell’ENIAC programmando il il quarto computer elettronico digitale della storia, il quarto computer Turing completo della storia, il secondo computer elettronico Turing completo della storia e il primo computer elettronico general purpose della storia.
Le Signore dell’ENIAC facevano parte del gruppo di computer viventi che all’epoca era una professione, dicevamo, esclusivamente femminile o quasi, purtroppo senza quasi alcun riconoscimento all’epoca e costrette a seguire in futuro carriere senza sbocco.
Lavorarono in un’era in cui la programmazione era una questione di schede perforate, interruttori fisici e la completa assenza di manuali.
Hedy Lamarr, madre del Wi-Fi
Per molti Hedwig Eva Maria Kiesler (1914-2000) è “solo” una delle donne più belle della sua generazione e una attrice famosissima. In realtà era una brillante laureanda in ingegneria, laurea a cui rinunciò per inseguire le Muse dell’arte, e l’amore per la scienza le restò nell’anima, nella mente e nel cuore.

Hedy Lamarr: attrice, inventore
Intrappolata in un matrimonio infelice col simpatizzante nazifascista Fritz Mandl, il “mercante di morte”, ebreo come la Kiesler ma convertitosi al cattolicesimo e amico di Mussolini, alla fine riparò in America, divenendo apprezzata per la sua bellezza straripante. Ma la bellezza non le bastava, e così assieme al compositore George Antheil, anche lui interessato alla scienza, diede al mondo il brevetto n. 2.292.387: un sistema di comunicazione criptato in wireless da usarsi per comunicazioni crittografate che sarebbe diventato l’antenato sia del Wi-Fi che dei suoi protocolli di sicurezza, dal WEP alle declinazioni del WPA.
Con la stessa tecnologia con cui Hedy Lamarr intendeva aiutare lo sforzo bellico, generazioni di sfaccendati si sentono grandi hacker collegandosi al router di casa.
Dorothy Vaughan, Margaret Hamilton e le “Madri del Telaio” che ci portarono sulla Luna
In tempi di negazionismo assoluto, anche dello sbarco sulla Luna, è facile leggere le peggiori idiozie di gente convinta di sapere ogni cosa e che dimostra la sua insipienza con ogni parola.
Sulla Luna ci siamo stati, non ci saremmo stati senza Margaret Hamilton (1936-vivente) e le Madri del Telaio.
Tutti ricordano la dottoressa Hamilton sorridente davanti alla pila di codice necessaria a far funzionare l’AGC, l’Apollo Guidance Computer: tra i suoi successi ci sono la collaborazione al SAGE, sistema automatico di rilevamento, inseguimento e intercettazione di aerei nemici del NORAD che, incidentalmente, facendo vasto uso dei modem fu una delle spinte per il “mondo connesso” che noi conosciamo e fu responsabile del programma che consentì l’allunaggio all’Apollo 11, comprese le routine che, attivate in caso di sovraccarico dei programmi, usando un termine moderno avrebbero rimosso i task non necessari.

Il più celebre ritratto di Margaret Hamilton
Altre donne si occuparono della programmazione fisica dell’Apollo 11, dove le memorie RAM e ROM erano letteralmente tessute a mano, con fili che passavano attraverso magneti (nel caso delle ROM, cerchi di molibdeno) dove, semplicemente, le sequenze di 1 e 0 erano indicate da anelli di materiale magnetico che il filo avrebbe attraversato o evitato.
Un ingegnoso sistema guidava occhio e mano delle tessitrici/programmatrici (tra cui alcune erano scelte anche dalla meccanica di precisione, come la fabbricazione di orologi): il codice Assembler del programma base dell’AGC veniva convertito in un nastro perforato di Mylar che controllava la posizione del nucleo, indicando all’operaia il punto da intessere e rendendo ogni errore potenzialmente difficile da correggere.
Un errore identificato da Armstrong richiese l’uso di un modulo di scorta non ancora “immobilizzato” nella resina e il taglio selettivo di alcune delle linee di filo: 192 linee “sense”, una linea di reset e delle linee di inibizione, in modo da poter leggere e “attivare” alla bisogna i singoli anelli-nuclei.

Madri del Telaio all’opera
Doppiamente discriminata fu la matematica e computer vivente Dorothy Johnson Vaughan (1910 – 2018), matematica e programmatrice afroamericana, le cui vicende furono descritte nel film Il diritto di contare e che solo sotto Roosevelt vide gli effetti della Segregazione razziale essere allentati sul lavoro per ragioni meramente utilitarie, potendo quindi lavorare al NACA (National Advisory Committee for Aeronautics) prima, alla NASA poi, inizialmente in un dipartimento segregato con sole altre “computer viventi” afroamericane.
Visse la transizione digitale insegnandosi il FORTRAN in modo da passare dalle computer viventi ai computer digitali, dando un contributo essenziale ai lanciatori Scout.

Dorothy Vaughan
“Ho cambiato quello che potevo, e quello che non potevo l’ho sopportato”, dirà della sua avventura spaziale ai tempi della segregazione.
E con lei possiamo passare ad un’altra sezione del retro.
Rieko Kodama, la first lady dei giochi di ruolo (e non solo)
Quando Rieko Kodama (1963 – 2022) divenne artista, programmatrice e produttrice di videogames per SEGA, il mercato era già cambiato. Finita l’epoca delle computer viventi, come abbiamo anticipato, il settore dell’informatica era diventato una colossale festa della salsiccia e computer e programmazione erano diventati lavori e hobby spesso sfacciatamente colonizzati da uomini senza memoria per il passato e attirati da forti salari e dall’idea di far parte di un olimpo di “figure nerd di potere”.
Rieko Kodama aveva studiato design, e proprio perché in quanto bambina negli ultimi anni delle “computer viventi” aveva poca dimestichezza col mondo dei videogames decise che entrarvi da adulta ed in un ruolo apicale sarebbe stato stimolante.

La Signora Fenice: Rieko Kodama
Col nome di Phoenix Rie, ispirata a Ikki di Phoenix, il cattivo diventato antieroe e poi riluttante eroe nei Cavalieri dello Zodiaco, dal potere di ritornare dopo ogni sconfitta più forte di prima per aiutare gli amici Cavalieri a protegge il bene, crerà di fatto i bozzetti e i disegni di Alex Kidd, la prima amatissima mascotte della casa, il tutto perché SEGA obbligava i programmatori e character design a comparire nei credits con pseudonimi.
La “signora Fenice” quindi visse in un ambiente stimolante, ma dove eroine al femminile mancavano.
Creò dapprima Kurumi-Hime, la protagonista di Ninja Princess (1985), ma in un furto epocale di identità SEGA decise che nelle versioni internazionali la principessa Kurumi e il suo spasimante Kazamaru si sarebbero scambiati di posto e se nell’edizione giapponese Kurumi salva Kazamaru e il Giappone nell’edizione occidentale i piccoli nerd a casa non avrebbero accettato di giocare nei panni di Kurumi, che quindi sarebbe rimasta prigionera ad attendere Kazamaru.
I più attenti avranno notato che nell’originale Ninja Princess (la versione “al maschile” si chiamerà SEGA Ninja) Kurumi-Hime aveva dei tratti inediti per una generazione intera di protagoniste femminili: il design di Phoenix Rie la presentava come una donna non ipersessualizata (l’artwork ufficiale la mostra con un fisico normale e non “da pin up” e con abiti utilitari), non connessa ad un personaggio maschile per vie dirette (Kazamaru è un obiettivo secondario rispetto al salvataggio del Giappone) e in grado di essere un personaggio forte e indipendente.

Kurumi, la “Principessa Ninja”
La Kodama ebbe la sua catarsi con Phantasy Star, ricchissima saga di giochi di ruolo che la rese regina del genere, saga iniziata dalla coraggiosa principessa spaziale Alis con al fianco l’androgino Lutz (inizialmente progettato come un intersessuale), leader volitiva e caparbia al comando di un team di eroi provenienti dalle galassie più lontane e con l’aspetto e le motivazioni più diversi uniti dallo scopo di portare pace e libertà nella galassia.
Sempre nel 1987 lavorerà su Sorcerian, gioco di ruolo che introdusse l’equivalente dell’epoca dei DLC, come pacchetti di espansione, e la capacità per i personaggi di invecchiare assieme all’ambiente di gioco.

L’eroina spaziale Alis Landale
Tornerà a lavorare su diversi giochi della compagnia, tra cui Sonic (disegnando di fatto due mascotte su tre…) il gioco di ruolo di Magic Knights Rayearth (Una porta socchiusa ai confini del sole in Italiano). Morirà giovanissima a 58 anni lasciandosi tra gli ultimi lavori SEGA Ages, collezione curata di giochi retro per la console Nintendo Switch in grado di mantenere la stessa giocabilità delle versioni Master System e Megadrive, ma usando le potenzialità della nuova console per introdurre modalità di sfide a tempo, punteggio e la possibilità di “rifare” mosse errate.
Susan Kare, la creatrice dell’Icona Moderna
Anche la Kare (1954 – vivente) saltò la fase delle computer viventi per finire nell’era del computer come “appannaggio maschile”. Come la “Signora Fenice”, Susan Kare veniva da altro background culturale: era una scultrice, occasionalmente curatrice presso il Fine Arts Museums di San Francisco (FAMSF), dopo una carriera come artista freelancer, che continuò ad essere il suo sogno per tutta la vita.
Fu convocata dall’amico Andy Hertzefeld che, per Apple, era stato incaricato di fare da talent scout per il progetto di dare un’interfaccia grafica al futuro Mac OS “Classic”, che nelle intenzioni di Jobs avrebbe dovuto, ricordiamo, abolire di fatto l’uso esclusivo della tastiera per promuovere il mouse.
Nel 1982 Susan Kare fu quindi strappata alla scultura (stava ultimando una sua opera dalle fattezze di un cinghiale) e si preparò ad un colloquio riuscito con Apple studiando Type Design in biblioteca.

Susan Kare: colei che ha dato un volto al Macintosh (e tutte le icone che usiamo su PC)
Autodidatta nel type design, ma esperta nell’arte, Susan Kare quindi progettò font come il Chicago, usato nell’interfaccia utente di MacOS fino al 1997 e nei primi iPod e il Geneva, il Monaco e il San Francisco, nonché il Cairo, font con immagini da usarsi come icone antesignano del concetto di emoji.
Clarus il “canemucca” (in realtà una buffa cagnolina pezzata), il Mac sorridente, l’icona della bomba che segnala gli errori, il cestino dei rifiuti come sede naturale nei file cancellati e il disegnino del floppy disk per i file invece da salvare e confermare furono tutti suoi riusciti metodi per rendere grafico qualcosa che fino a quel momento era, in modo ostico, raffigurato solo da parole e concetti astratti.

Alcune delle creazioni di Susan Kare
Sua anche l’idea del tasto “Command”, successore del “Tasto mela” quando Jobs volle avere una tastiera che non abusasse del simbolo della casa.
Dopo l’avventura con Apple, Susan Kare seguì Steve Jobs in NEXT, per poi disegnare parti dell’interfaccia di Windows 3.x (tra cui le icone del solitario) e per programmi Autodesk, Facebook, Fossil, General Magic, IBM, Microsoft and PayPal.
Su Facebook creò le icone per i “doni virtuali”, i cui ricavi andarono in beneficienza, e tutt’ora lavora per Pinterest.
Le sue icone sono disponibili al MOMA, nella mostra permanente This is for Everyone: Design Experiments For The Common Good.
Rita Bonelli, l’educatrice di una generazione
Chiudiamo questa carrellata con Rita Bonelli, dottoressa in Matematica e Fisica presso l’Università di Milano che dal 1956 iniziò a praticare l’analisi dei sistemi organizzativi e la programmazione dei calcolatori elettronici.
Iniziò la sua attività come venditrice, per poi entrare nel 1960 come analista-programmatore sul primo calcolatore IBM (un IBM 650) installato in Italia presso gli uffici milanesi della Dalmine, diventando una delle ultime “donne computer” della storia.

Rita Bonelli: tra le ultime Donne Computer, tra le prime educatrici del settore
Finita l’epoca delle donne computer, negli anni ’80 ella si ritrovò nel mondo dove una generazione di aspiranti programmatori, perlopiù maschi come abbiamo anticipato, affollavano le edicole per cercare due contenuti: le cassettine pirata piene di videogames malamente plagiati e i preziosissimi manuali di programmazione.
Tra il 1981 e il 1988 ella scrisse diversi manuali per l’editore Jackson, produttore di manualistica e riviste di videogames ed Etas Libri, tra cui: DAI Manuale del microcomputer, la saga di Impariamo a programmare in Basic, con capitoli specifici per lo ZX Spectrum, il PET e il VIC20, Alla scoperta del VIC20, Commodore 64 (Il Basic, La grafica e il suono, i File), Il primo libro per M24: MS DOS & GW Basic e Amiga 500 – Guida per l’utente.

Testo di Rita Bonelli
Si tratta di un elenco parziale: la dottoressa Bonelli fu autrice prolifica e ad oggi nessuno ha davvero raccolto le sue molteplici, ma ancora reperibili, pubblicazioni.
Una intera generazione italiana si è fatta le ossa sulla sua bravura.
Va detto che la storia dell’Informatica non solo senza le donne non sarebbe stata possibile, senza Ada Lovelace e le Calcolatrici Umane, ma specialmente dal passaggio dall’era delle Calcolatrici Umane all’Home Computer è piena di figure che andrebbero riscoperte.
E che è bene ricordare.
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