Le avventure del Vectrex, fallimento commerciale e successo di innovazione
A sorpresa la recente GamesCom 2025, importante convention del mondo videloudico, ha rilasciato l’annuncio del Vectrex Mini, ultimo dell’ormai lunghissima lista di “console nostalgia”, repro funzionanti delle mitiche console degli anni passati, nate col malcelato scopo di rubare ai bagarini della nostalgia del pubblico.

Vectrex (fonte Amazon UK)
Dopo il The64Mini, il TheA500Mini, il NES, SNES e MegaDrive Mini, la PlayStation Classic e mille altre, arriva il Vectrex Mini, che però ha una storia più interessante da raccontare.
Le avventure del Vectrex: dal Microvision al Vectrex
Nel 1981 Jay Smith, John Ross, Mike Purvis, Tom Sloper e Steve Markin sono dei giovani ingegneri che, come molti, si sono spostati dai loro rispettivi campi alla produzione di giocattoli elettronici: i videogames.
Siamo nel cuore della seconda generazione di videogiochi, l’era del gioco su cartuccia, in cui a Natale gli spot promozionali erano ancora appannaggio di garruli ragazzini pronti a urlare “Atari?!? Magari!!!”
Jay Smith era passato dalla ricerca aerospaziale alla giocattoleria, e decide così osservando un piccolo tubo catodico da un pollice di crearne una console di gioco “trasportabile”.
Non fu neppure il suo primo incontro col concetto: Smith Engineering aveva già lanciato nel 1979 un altro prodotto futuribile, il Microvision, una console portatile a cartucce prima che il GameBoy di Gunpei Yokoi popolarizzasse il concetto.

L’autodistruggente Microvision
Il Microvision rispetto al suo fratello famoso era ancora più piagato da difetti: la tecnologia LCD non era ancora matura, e il suo display si autodistruggeva a tempo di record, anche solo giocando in giro nei caldi estivi. Per risparmiare sul prezzo, il Microvision (51$ al lancio) non aveva un processore autonomo: era inserito nelle cartucce, che divennero così costose e fragili: toccare i pin con le dita appena umide era la ricetta per il disastro.
Infine, il Microvision aveva dei tasti da premere con un foglio di plastica che ne indicava le funzioni, facile da sciuparsi costringendo il giocatore a giocare alla cieca.
Il Microvision, troppo avveniristico e troppo poco ergonomico per il futuro, fu un fallimento e Smith decise creare un “MiniArcade” intorno ad un mini monitor CRT.

Asteroid, gioco a grafica vettoriale
Il meccanismo di un CRT in fondo è semplice: un CRT è letteramente una grossa (o in quel caso piccola) scatola radioattiva, dove un raggio elettromagnetico che va da catodo ad anodo viene manovrato come un “pennello elettronico” da una lente magnetica, il gioco di deflessione, formando immagini su una superficie eccitata.
Abbiamo almeno due possibili tecnologie quindi: il CRT Raster, dove quel pennello accende e spegne dei pixel, riga per riga, eccitando uno schermo, e vettoriali dove il “pennello elettronico” disegna direttamente linee precise e luminose.
Una TV domestica, per capirci era sempre Raster, alcuni giochi arcade, come il celebre Asteroids erano Vettoriali: Smith Engineering fu attratta dal concetto della grafica vettoriale.
Arriva il Vectrex
Jay Smith imbarca nell’avventura Gerry Karr, futuro creatore del sistema di controllo del CRT del Vectrex e conosciuto ai tempi del falliento Microvision e tutti assieme cominciano a lavorare al MiniArcade.
Si rendono conto rapidamente che un pollice è veramente troppo poco: 2 centimetri e mezzo di focale era troppo poco anche per il peggiore degli scacciapensieri elettronici, gli unici giochi online diffusi a parte il fallimento del Microvision.
Il Vectrex diventa così una conole portatile da cinque pollici, e viene presentato alla Kenner, ditta famosa per le action figure di Star Wars, il Dolceforno e rinomata nel mercato videoludico, che stronca completamente il progetto (vedremo, dimostrando acume commerciale ma non capacità visionaria) lasciando Smith senza fondi.
Peraltro, la stroncatura non fu immediata: Kenner si tenne l’opzione sul progetto aperta per qualche tempo: al termine del quale Smith si riprese il prototipo e provvide a presentarlo a General Consumer Electronics, ditta che aveva seguito lo sviluppo di Intellivision per Mattel.
GSE dà il via libera, ma con un ulteriori modifiche: MiniArcade non sarà più portatile ma trasportabile, un sistema all-in-one con un joypad incorporato (e possibilità di collegarne un secondo, o accessori) e un display da 9 pollici, che ora si chiamerà Vectrex, puntando tutto sull’essere la prima vera console domestica a grafica vettoriale mentre le altre console erano legate al destino di TV e Monitor raster.

Dentro il Vectrex
Per il resto furono formulate una serie di proposte: Mark Indictor, John Hall e Paul Newell, che stavano sviluppando uno dei progetti che avrebbe portato a sviluppare giochi di terze parti sull’Atari VCS (concausa del famigerato Game Crash) furono dirottati da GSE a lavorare sul Vectrex, suggerendo l’uso del MOS 6502, iconico processore apparso, con diverse varianti, su Atari VCS, NES, Apple IIe, VIC20 e Commodore 64.
Alla fine il MOS 6502 fu scartato: serviva una CPU abbastanza carrozzata perché una console priva di GPU potesse pilotare un monitor vettoriale: la scelta cadde sul Motorola 6809, più costoso ma più performante (MOS, ricordiamo, mosse i suoi primi passi come risposta economica a Motorola). Come per il SID del Commodore 64, il chip audio AY-3-8912 controllava sia l’audio che il controller saldato alla console: il progetto HP3000 stava prendendo forma.
L’influenza dei programmatori del progetto Breaker rimase però rimase nei titoli al lancio: un clone di Asteroid chiamato Mine Storm fu inserito direttamente in ROM. Questa è una pratica peraltro rimasta comune in diverse console (pensiamo al Master System II con Alex Kidd precaricato) ed antenata dell’uso dei “Pacchetti bundle con codice download” tanto cari a console come Switch e Switch 2 che al lancio consentono di caricare un gioco.
Altri titoli presentavano evidenti somiglianze con famosi titoli dell’Atari VCS, ma con la novità di un monitor vettoriale nativo: Mine Storm fu il clone più sfacciato.
Praticamente Asteroids con le “mine spaziali” del titolo al posto degli asteroidi, che però si frammentavano se colpite esattamente con gli Asteroidi del gioco madre e con meccaniche di gioco solo leggermente variate (con le “mine” in grado di essere attirate in alcuni casi dalla navetta).
Successo tecnologico, fallimento commerciale
Il Vectrex non era immune da problemi: i primi esemplari a causa dell’imperfetta schermatura di casse e CRT soffrivano di un constante mormorio chiamato il Vectrex Buzz, risolto solo in esemplari successivi.
Parimenti Mine Storm era buggato nel tredicesimo livello, e in un mondo in cui non era possibile scaricare patch da Internet ai proprietari delle revisioni del Vectrex con la rom buggata era reso possibile chiedere una nuova copia chiamata Mine Storm II.
Il Vectrex fu presentato al Summer Consumer Electronics Show in Chicago e venduto l’anno successivo nei negozi con un costo al lancio di 199 dollari, e la promessa di un grande successo che attirò il venditore di giocattoli Milton Bradley che comprò GSE per avere il Vectrex e i suoi giochi, potendo quindi portare Il vero arcade, ma a casa nelle case dei giovani di mezzo mondo.
I 28 giochi del Vectrex erano tutti “monocromatici con overlay”: veniva fornito un foglio di plastica trasparente da agganciare sul monitor per simulare colori e aggiungere elementi all’interfaccia (cosa possibile anche in alcune console arcade).

MineStorm con Overlay, RVG
Alcuni giochi, come Clean Sweep, furono venduti in versioni ribrandizzate usando proprio l’overlay. Se Clean Sweep nasceva come sfacciato clone di Pac-Man cui bisognava recuperare dei soldi rubati con un aspirapolvere (!!!), Mr. Boston era Clean Sweep sponsorizzato da una nota distilleria (sì, in quegli anni le distillerie sponsorizzavano i videogames).
Giochi di esplorazione spaziale, di calcio e fantasy con intermezzi sci-fi venivano dipinti al volo con un avveniristico “raggio di luce” più perfomante e attraente agli occhi dell’acquirente delle TV Raster, spesso con l’inefficiente connessione antenna (come per l’Atari VCS dove era l’unica disponibile) passibile di disturbi vari.
Il Vectrex riempì i giocatori e Milton Bradley di stupore e meraviglia: fu portato in Giappone da Bandai col nome di Vectrex Kousokusen (aka Vectrex Lightspeed), ulteriormente puntando sulla qualità “magica” del “raggio di luce vettoriale” e munito del 3D Imager, un accessorio con una “Color Wheel” da inserire in un paio di occhiali che, ruotando, dava ad alcuni specifici giochi un effetto pseudo3D, controllato dalla porta joystick addizionale del Vectrex stesso.

Il Vectrex sbarca in Giappone
Sostanzialmente un paio di occhiali 3D di quelli “rossi e blu” che ti vengono dati con alcuni fumetti, in grado però di coprirti un occhio da solo alla bisogna con un effetto avveniristico per il 1983/84.
Arrivarono anche una penna ottica e avrebbe potuto arrivare un modem di uso incerto. Ma il 1984 chiuse tutto.
Anno che non è causale: fu infatto l’anno del Great Game Crash, quello in cui come abbiamo visto Atari implose mostrando tutti i limiti della seconda generazione di console, incapace di resistere alla pressione del nuovo che avanza e rinnovarsi con titoli di qualità.
Fu il destino toccato al Vectrex: 200 dollari non erano pochi spicci.
Col VIC-20 e il Commodore 64 che premevano sulla linea di partenza per bruciare l’Atari VCS e il NES che si preparava al debutto occidentale un mercato diventato ostile al gioco su console a causa del tracollo Atari fino a che Nintendo non lo stupì con ricchi effetti speciali Milton Bradley provò a vendere il Vectrex, console di seconda generazione con soluzioni tecniche che non sarebbero apparse prima della quinta (come un kit 3d) e popolarizzate solo in quelle successive (come il Nintendo 3DS console 3D accessibile in ottava generazione e la Switch, ibrido trasportabile/portatile nella nona) a prezzi sempre più in perdita fino a ritirarlo nel 1984.

A questo punto della storia però il Nintendo GameBoy aveva bruciato ogni possibilità di produrre una console portatile innovativa
Hasbro comprò Milton Bradley e chiuse il supporto per il Vectrex (curiosamente perseguendo obiettivi ancora più fallimentari come il Control Vision e quindi la nascita di Night Trap) e Smith Engineering riprese i diritti sulla sua creatura.
Jay Smith rifiutò di fermare l’avventura, e nel 1988 volle riprovarci tornando all’idea, ora tecnicamente possibile di un Vectrex portatile.
Stava per arrivare il GameBoy di Gunpei Yokoi (1989): ciò pose fine al sogno. A questo punto un Microvision Vectrex o Minivectrex sarebbe stato divorato dalla concorrenza.
Un anno dopo Jay Smith fece la scelta di porre Vectrex e tutti i suoi giochi un public domain, sperando che qualcuno raccogliesse la sua creazione.
Cosa che accadde negli anni.
Il Vectrex, ora
Comunità di appassionati rifiutarono di disertare il Vectrex: come per il Commodore 64 fu ricolmato di nuovi accessori: un clone del 3D Imager, penne ottiche migliorate, multicartucce per caricare diversi giochi e una pletora di giochi fatti da fan e sviluppatori moderni, tra cui giochi multiplayer.

Vectrex Mini
E infine il Vectrex mini, ironicamente di dimensioni ridotte ad un terzo (che lo riporta tra le “dimensioni scartate”) e una fascia di prezzo presunta tra i 150/180 Euro, con un display probabilmente AMOLED, comunque schermo piatto ma tutto il bagaglio di nostalgia del Vectrex.
Operazione nostalgia indubbio: ma il Vectrex in fondo non era mai davvero andato via.
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