Prima del Commodore 64 (ma dopo il PET): il VIC20

di Shadow Ranger |

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Prima del Commodore 64 (ma dopo il PET): il VIC20 Bufale.net

Quando tutti pensano alla Commodore, si pensa al Commodore 64. Noi stessi abbiamo dedicato molti articoli alla sua storia, ma il VIC20, sostanzialmente, è arrivato prima, con la stessa scocca del Biscottone e cominciando la saga del “Friendly Computer” per cui Commodore era nota, e per cui è diventata nota prima del famoso Commodore 64.

E la sua storia è non meno interssante.

Prima del Commodore 64 (ma dopo il PET): il VIC20

Siamo intorno al 1980: Atari è ancora l’araldo della Seconda Generazione di Console, ma la seconda generazione è ormai agli sgoccioli e Atari non ha, e come abbiamo visto assieme, non avrà la forza per proiettarsi nella Terza o tenere la Seconda in piedi oltre la sua “data di scadenza”, cominciando un lento declino di mercato inflazionato e novità alle porte.

La “rivoluzione Apple” aveva portato il mondo dell’home computing dall’essere l’appannaggio di tecnici e hobbisti a qualcosa di facile da ottenere, e l’Apple II aveva perfezionato il processo.

Commodore era scesa nell’agone col PET, il suo primo home computer nato dall’evoluzione del KIM-1, di fatto un kit di sviluppo per l’astro nascente dell’informatica, il MOS 6502.

Il Commodore PET 2001, l'origine della specie

Il Commodore PET 2001, l’origine della specie, fonte Science Museum

Il Commodore PET era l’evoluzione di fatto del KIM-1, un sistema integrato con tutte le “aggiunte” che il popolo degli hobbysti aveva già incorporato a suo modo (circuiti video, BASIC, Datassette, tastiera ancorché assai scomoda), l’Apple II l’evoluzione dell’Apple I da kit di montaggio per gli smanettoni a prodotto commerciale fatto e finito, entrambi pronti per il lavoro di ufficio secondo la nuova dottrina Tramiel che vedeva il computer sostituto futuro delle calcolatrici e delle macchine da scrivere, ma anche la sua era doveva arrivare alla fine.

Del resto, il PET era ancora legato al concetto di “computer per le classi”: un all-in-one costruito come un camion (letteralmente, in caso di manutenzione andava aperto come un cofano con tanto di gancio metallico per mantenerlo aperto) con un monitor monocromatico, nessun suono e una tastiera costruita in un’epoca in cui nessuno sapeva come fare una tastiera.

Dal G-Job al VIC20 passando per il TOI

Il primo progetto di Commodore per il post-PET, sorprendentemente, non era affatto il VIC20.

Era un progetto chiamato il TOI, The Other Intellect , un successore aggiornato del PET (ma comunque inferiore al “Color PET” pensato dal creatore del PET e del KIM-1 Chuck Peddle) che avrebbe avuto grafica a colori, evoluzione del G-Job, il “Garage Job”, ovvero “progetto divertente” che avrebbe dovuto dare un concorrente all’Apple II: lo stesso Apple II che secondo Wozniak i due fondatori di Apple avevano cercato senza successo di far distribuire da Commodore non credendo neppure loro stessi di poter creare un fenomeno planetario.

Entrambe le macchine sarebbero state rivoluzionarie macchine da ufficio e da hobbysti evoluti, ma assai costose, richiedendo l’allora costosa SRAM per funzionare, e avrebbero virato Commodore in un crescendo di soluzioni virtuose e di alta fascia.

Prototipo del TOI

Prototipo del TOI

Ma Jack Tramiel non ne era affatto convinto. L’ideale di Tramiel era avere “computer per le masse, non per le classi”, ovvero computer che potessero essere piantati in ogni casa, poco costosi e facili da distribuire e usare.

L’idea se ci si ferma a pensare un po’ è la stessa alla base del FamiCom/NES di Nintendo, non a caso uscito in quegli anni. Qualcosa che sembrasse premium, che offrisse all’acquirente l’idea di un prodotto ripulito, rifinito di elevata qualità ma che costasse molto meno della concorrenza sacrificando il sacrificabile, ma mai la qualità stessa.

A questo punto della storia abbiamo il Color PET scartato, e Chuck Peddle che lascia Commodore per andare a fondare Sirius System Technology, il TOI creato per virare verso il mercato consumer e Tramiel pronto a dire la frase

“I Giapponesi stanno arrivando: noi dobbiamo diventare i Giapponesi”.

Con riferimento a come dal dopoguerra fino a quel momento il Giappone era passato da nazione impoverita e devastata a polo internazionale della tecnologia a basso costo, dai Walkmen SONY fino ai prodotti Nintendo.

SONY Walkman, esempio di "tecnologia alla Giapponese"

SONY Walkman, esempio di “tecnologia alla Giapponese”

Bob Yannes, Al Charpentier e Charles Winterble tirarono fuori dal cilindro una terza e finale evoluzione del PET, ovviamente (dati gli standard dell’epoca) non retrocompatibile con lo stesso (ma neppure gli altri progetti lo sarebbero stati), ovvero il MiniPET (da non confondersi col moderno progetto di ricostruzione di un PET con parti reperibili sul mercato). Secondo la volgata, Yannes avrebbe creato il MiniPET nel garage di casa: la verità è che egli non poteva permettersi un garage, e quindi fece tutto dalla sua camera da letto.

Il MiniPET fu il vincitore, e Tramiel non solo decise di diventare un Giapponese, ma di chiamare i professionisti: i Giapponesi.

Dai VIC Commandoes ai Giapponesi

Il progetto passa ai VIC Commandoes: Duane Later, Andy Finkel, Sue Mittnacht, Neil Harris, Michael Tomczyk e John Stockman. Lo scopo è avere un computer che costi poco (il VIC-20 partì con un prezzo di lancio di $299,95, contro i 1.298 dell’Apple II) e sia costruito a partire da quanto MOS, divenuta come abbiamo visto il marchio in house di Commodore per la produzione di integrati, aveva da offrire, disponibile ed all’interno del budget fissato

Come il MOS 6560/1, rivoluzionario chip audio/video che nelle intenzioni di Commodore avrebbe dovuto essere venduto per l’uso professionale in terminali e monitor biomedici e ludico per entrare nel ricchissimo mercato dei cabinati arcade che aveva fatto la fortuna di Nintendo.

Il MOS 6561 (il 6560 era la versione NTSC) non arrivò mai in alcun cabinato, ma fu arricchito degli studi per i mai nati 6564 e 6562, nati rispettivamente per i progetti TOI e Color PET ma costruiti intorno alle allora più costose SRAM.

Mainboard del Commodore VIC20, MOS6502 in fondo, VIC sotto il dissipatore termico, fonte VIC-20.it

Mainboard del Commodore VIC20, MOS6502 in fondo, VIC sotto il dissipatore termico, fonte VIC-20.it

Il 6561 guadagnò un suono polifonico a tre canali più uno per il rumore bianco e video a sedici colori: non tanto quanto il rivoluzionario VIC-II appannaggio del Commodore 64, ma abbastanza per impressionare il pubblico: secondo lo “Zar”, ovvero il capo progetto nominato Tomczyk lo scopo finale del progetto era avere un prodotto con diverse soluzioni mutuate dai computer giapponesi dell’epoca: tasti funzione programmabili (i tasti da F1 a F8 presenti anche sul Commodore 64), un’ampia tastiera da telescrivente e il bus IEC, più economico del bus parallelo del floppy del PET ma latore del “peccato originale” che porterà tutti i computer Commodore fino al 128 ed al Plus/4 ad avere caricamenti su floppy ridicolmente lenti rispetto alla concorrenza, ma economico e affidabile.

Il processore? Ovviamente il MOS 6502, ormai leggendaria creazione di MOS Technology cuore pulsante di ogni suo singolo home computer fino all’Amiga.

Lo “Zar” mandò un memo di 30 pagine a Yash Terakyura, capo della divisione Commodore Giapponese inviato in America per finire il progetto.

Terakura aggiunse alla squadra tre ingegneri di Commodore Japane, Aoji, Nishimura e Tokuda, armati di molti telex e brevissime telefonate intercontinentali per evitare di spendere tutto il budget in chiamate.

Varianti del case del VIC-20, fonte VIC-20.it

Varianti del case del VIC-20, fonte VIC-20.it

Commodore Japan creò peraltro l’iconico case “a cassetta del pane”: laddove il TOI avrebbe dovuto avere un aspetto “banale ma futuristico” ibrido tra quello del Color PET (un PET senza monitor incorporato) e del futuro C128 (bianco con linee diritte), Commodore Japan sviluppò il “Biscottone”, però di un colore candido come la crema.

Yash Terakura sviluppò quindi un computer con un case a biscottone e alimentatore esterno, come da progetto originale, raccomandandosi che nel materiale promozionale l’alimentatore fosse nascosto perché poco raffinato.

Il prodotto finale non solo fu fatto da Tramiel che voleva e sognava di essere un Giapponese, ma fu quindi creato da Giapponesi e lanciato in Giappone. Il VIC-1001 (nome scelto combinando il nome dell’iconico chip Audio/Video con un numero che suggeriva continuità con la serie PET) fu svelato al mondo nel Seibu Department Store di Tokyo.

Il VIC-1001 al lancio: perché non il VIC-20, i suoi limiti

Il VIC-1001 al lancio potè godere della citata dotazione tecnica, più una singola porta joystick Atari, allora il formato de facto per le applicazioni videoludiche compatibile con una goffa imitazione del joystick Atari CX40 (il “VIC-20 Joystick” o VIC-1311, dapprima sfacciatamente uguale e poi con uno stick triangolare per cercare di renderlo “diverso”) e una ancora più rozza imitazione del Paddle Atari CX30, con una resistenza da 0.5Ohm in luogo della resistenza da un Ohm del CX40.

Paddle Commodore VIC, seconda edizione

Paddle Commodore VIC, seconda edizione

Il VIC-1312 arrivò in due versioni: la prima, una copia del CX30 candida, la seconda un po’ variata per renderla “unica” ma peggiorativa, con un enorme tastone centrale a “contatti a raganella” (le “bolle di metallo” sui contatti) tenute assieme da Kapton tape e preghiere, entrambe necessarie per diversi giochi dell’epoca ma oggi sofferenti di un certo jitter, tremolio dovuto all’invecchiamento dei potenziometri.

Se per il VIC-1312 non ci furono di fatto rimpiazzi, l’utente evoluto spesso rifiutava il VIC-1311, o lo rompeva durante l’uso, per sostituirlo con la pletora di joystick già presenti sul mercato Atari come aftermarket, come le soluzioni Suncom, Kempston (il Competion Pro), Quickshot e altri.

Tutti gli accessori del VIC-1001/VIC-20, con una sola parziale eccezione che vedremo, furono ereditati dal Commodore 64 in seguito: il VIC20 al lancio potè godere di un joystick quindi, una coppia di paddle, il Datassette, seguiti a ruota dal lettore dischetti Commodore VIC-1540.

Il VIC1540

Il VIC1540

La parziale eccezione fu lui: il 1540, come abbiamo visto in passato, necessitò di un ritocco alle ROM per diventare compatibile col VIC-II del Commodore, diventando il 1541 (il 1541 è un 1540 la cui ROM adatta il suo timing al VIC-II, diventando un pochino più lento nel processo).

Se un 1541 era compatibile col VIC-20, un 1540 non lo era col Commodore: questo rende i 1540 non modificati con nuove ROM un oggetto abbastanza raro.

Il VIC-20 nasceva con l’allora diffusa, ma comunque superiore a quella di altre console come l’Atari VCS bloccato al palo del connettore antenna, connessione RCA/Composito per audio e video mono: la dotazione prevedeva un convertiore esterno con decoder analogico per collegarlo alla connessione antenna di un televisore, ancorché con qualità degradata.

Nonostante questa pletora di accessori, gli stringenti limiti hardware imposti dal prezzo di meno di 300 dollari impedirono la creazione di un vasto numero di giochi su floppy al lancio. Il VIC-1001 nasceva con 3,5Kb di RAM direttamente usabili dall’utente, il primitivo BASIC 2.0 che Tramiel aveva acquisito anni addietro da Microsoft con licenza illimitata e che ben poteva funzionare su una macchina dalle memorie risicate e l’utente medio non avrebbe mai comprato il 1540, che peraltro essendo di fatto un computer autonomo con processore, RAM e interfaccia seriale per inviare i dati richiesti al VIC-20 raddoppiava il costo previsto e non arrivò prima di un anno dalla vendita in Giappone.

Al lancio le cartucce furono il mezzo di elezione per i videogames, e molti giochi per il VIC-1001 furono creati da HAL Laboratory di un certo Satou Iwata, prolifico programmatore che si “era fatto le ossa” comprando un PET con soldi in prestito e i regali di laurea e che in futuro sarebbe diventato l’amatissimo “CEO Videogiocatore” di Nintendo, nonché una delle menti dietro il fenomeno planetario che dieci anni dopo sarebbero stati i Pokémon.

Joystick Commodore e un Suncom, X, Robin 8 Bit Show and Tell

Joystick Commodore e un Suncom, X, Robin 8 Bit Show and Tell

Il “CEO dei Gamer” già agli esordi sapeva scommettere sui cavalli vincenti: HAL Laboratory produsse colorate cartucce per il VIC-1001, come “Jelly Monsters” (PAC-MAN, ma senza i diritti per usare Pac-Man), Galaxian, Space Invaders e Rally-X.

Il problema dei diritti fu risolto con un approccio “all’italiana”, quasi da “cassettina da edicola”: Satoru Iwata ebbe mano libera nell’adattare su cartuccia i più grandi successi di NAMCO e Atari, e Tramiel mise da parte i soldi per le spese legali e i patteggiamenti di rito con promessa di royalty postume ove possibile, improbabili cambi di nome ove non.

I prodotti di HAL Laboratory divennero in Occidente Jelly Monsters, Star Battle e Radar Rat Race, quest’ultimo dalla musichetta inquietante e dal vago sapore di “taroccone da edicola Italiana”.

Jelly Monsters, clone di Pac-Man della HAL Laboratory

Jelly Monsters, clone di Pac-Man della HAL Laboratory

Il VIC-1001 avrebbe dovuto chiamarsi “Commodore Spirit”, ma i Giapponesi scelsero un nome più “evocativo” perché “Spirit” avrebbe evocato non l’energia vitale descritta da Tomczyk, ma “immagini spettrali e inquietanti”.

In Occidente si decise invece di ribattezzare il nuovo prodotto il “VIC-20”, e Tomczyk scelse il numero 20 perché sembrava “il numero più amichevole del mondo”, causando una risata dal buon Tramiel.

Satoru Iwata al lavoro

Satoru Iwata al lavoro

Questo accadde ovunque tranne che un Germania: “Vic” suonava come una parolaccia abbastanza volgare, e il VIC-20 divenne il “VC-20”, il “Volks-Computer numero 20”, numero amichevole unito ad un “retronimo” che ne evidenziava la vocazione popolare.

Questo ebbe un peso anche nella futura convenzione dei nomi Commodore: la scelta di usare “Marchio + Numero” (Commodore 64, Commodore 128, Commodore Plus/4, Commodore 16, Commodore 116, Amiga 500…) nacque proprio per non doversi più barcamenare tra i significati oscuri e reconditi delle parole.

Cosa accadde dopo

Nonostante i suoi enormi limiti, il VIC-20 fu un successo planetario che aprì la strada al Commodore 64. Se il Commodore 64, si consenta il paragone blasfemo, fu il Gesù dei “veri home computer”, semplice, pronto all’uso, relativamente poco costoso e aperto a tutti gli utenti e non agli “smanettoni impallinati”, il VIC-20 fu il suo Giovanni Battista che predicò nel deserto la parola di Commore e il nuovo Vangelo dell “Mondo dei Computer Amichevoli”.

La scritta “Welcome To The World of Friendly Computing” apparve infatti sulla scatola del VIC-20 e del Commodore 64 “Biscottone”, per sparire solo col Commodore 64C.

Tomczyk organizzò l’iconica campagna di lancio pubblciatorio della saga con William Shatner, attore all’epoca celeberrimo per il ruolo del Capitano Kirk per proporre uno spot che aveva tratti “nipponici” simili alla futura campagna di lancio del NES.

Sia pur non presentando Shatner come il Capitano Kirk, lo spot aveva l’attore (che non aveva mai visto il VIC-20 in vita sua) teletrasportarne uno (e se stesso, e un bambino pronto a giocare e imparare) come gli eroi della serie di fantascienza descrivendo il VIC-20 come qualcosa in grado sia di far giocare i bambini che di educarli e guidarli nel mondo della tecnologia, superiore quindi alle console con le quali si “giocava e basta”, evidenziando sia la flessibilità che il basso costo (quest’ultimo più volte in 30 secondi di spot)

William Shatner presenta il VIC-20

William Shatner presenta il VIC-20

Cominciò la martellante campagna promozionale che avrebbe anticipato la guerra tra “giocatori da computer” e “giocatori da console”, mettendo un altro chiodo sulla bara del dominio Atari inzuccando nell’Americano medio l’idea che i giochi su console erano giochi stupidi per bambini stupidi e i giochi su computer come i Commodore e gli Apple erano giochi intelligenti per bambini destinati a diventare i nuovi mogul della tecnologia.

Il VIC-20 venderà oltre 2,5 milioni di unità nella sua vita, passando attraverso due revisioni principali di hardware: la prima con una tastiera dai font simili al PET e un alimentatore da 9VAC, la seconda con un alimentatore “Stile Commodore 64” ma un po’ sottodimensionato e il case di un paio di millimetri più alto ed un “forello” sulla parte superiore in quanto ora veniva usato lo stampo del Commodore 64 con un diverso posizionamento dei connettori sul retro.

Oltre, ovviamente, le diverse “etichette” (VIC-1001, VC-20, Rainbow Badge…).

Per tutta la sua vita avrà una pletora di accessori, alcuni compatibili col Commodore 64, come i citati Datassette, VIC-1541, joystick e paddles, ma anche il VIC Modem, modem a soli 100$, compatibile anche col Commodore 64 e viatico verso il mondo delle BBS.

Alcuni invece no, come espansioni di memoria su cartuccia, sia di Commodore che di Terze Parti, necessarie per superare il limite dei 4Kb di RAM usabili (5, includendo la parte usata da BASIC) e caricare alcuni giochi su floppy più ingordi, rari perché produrre giochi per la configurazione base tende sempre ad avere risultati.

Max Machine, fonte eBay

Max Machine, fonte eBay

Il Commodore VIC-20 continuerà ad avere accessori commerciali fino al 1986, come il VIC-Talker di TalkTronics, e parteciperà al revival moderno di Commodore con la Penultimate Cartdrige, espansione di memoria con opzione di una SD2IEC incorporata e la possibilità di caricare giochi e programmi.

Il succcesso avuto nel Paese del Sol Levante aprirà la strada al successore più famoso del Commodore: MOS Technology aveva già sulla rampa di lancio il successore del VIC, il VIC-II e un rivoluzionario chip audio polifonico, il SID: essi finirono in un computer noto come MAX Machine, che Commodore avrebbe voluto vendere all’estero come il “VIC-10” o “UltiMAX”, ma che dopo una run in Giappone con cartucce prodotte da HAL Laboratories portò alla nascita di un successore con più RAM, supporto video per un formato, l’LCA, parente dell’S-Video e la scocca del VIC-20 anziché una scocca con tastierina a membrana.

Era nato il Commodore 64, che avrebbe relegato per i successivi tre anni fino alla fine della commercializzazione (nel 1985) il VIC-20 a secondo violino nel concerto Commodore.

Ciò nonostante, il VIC-20 aveva ancora un mercato: centraline di montaggio audiovideo come il sistema SMPL erano di fatto VIC-20 mutilati dei tasti non necessari con imbullonata una piastra per indicare i bottoncini giusti, e diverse riviste di elettronica presentavano il VIC-20 con gli accenti sperimentali con cui ora noi esibiremmo un Raspberry Pi: un sistema economico e sul quale sperimentare data la presenza di User e Control Port controllabili a colpi di PEEK e POKE.

Irving Gould frantese tragicomicamente il senso del VIC-20: nel 1985 tirò la spina al progetto, sostituendolo col Commodore 16, versione “menomata” del Plus/4 in un case da VIC-20 di colore nero e con 16Kb di RAM al posto dei 64Kb del “fratello maggiore”, credendo che la forza del VIC-20 fosse nell’essere “il cugino povero” del Commodore 64 e introducendo un altro “cugino poveretto” in famiglia gli utenti si sarebbero dirottati verso lo stesso.

Il Commodore 16

Il Commodore 16

Ma il Commodore 16 non era retrocompatibile col VIC20 (all’epoca la retrocompatibilità non era un’opzione) e non ebbe il fascino della novità che il VIC-20 aveva avuto.

Ad oggi puoi costruire un nuovo VIC-20 (il “VIC-2020”) e il Commander X16 riporta tra le sue fonti di ispirazione una “versione evoluta e moderna del VIC-20”, ma il Commodore 16 è solo una nota a parte tra i ricordi, concausa dell’abbandono di Tramiel e del declino Commodore.

Certo, esistono nuovo giochi per entrambe le macchine, ma il VIC-20 è stato l’origine di ogni cosa, e parzialmente rivive in una versione reskinnata del The64 Maxi, ribattezzata TheVIC20.

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