Tutti i falsi miti sui pirati (e perché forse One Piece è più realistico di molte opere)

di Bufale.net Team |

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Tutti i falsi miti sui pirati (e perché forse One Piece è più realistico di molte opere) Bufale.net

Con l’arrivo del live action di One Piece su Netflix sono tornati di moda i pirati, e possiamo dirvi che, superpoteri a parte, l’opera derivata dal manga di Oda evita diversi falsi miti sui pirati, ancorché per ovvi motivi ne conserva almeno due.

Tutti i falsi miti sui pirati (e perché forse One Piece è più realistico di molte opere)

Tutti i falsi miti sui pirati (e perché forse One Piece è più realistico di molte opere) – One Piece. (L to R) Iñaki Godoy as Monkey D. Luffy, Emily Rudd as Nami in season 1 of One Piece. Cr. Courtesy of Netflix © 2023

Facciamo un piccolo escursus dei miti principali.

I pirati non saltavano l’asse

Esiste un mito, popolarizzato da decenni di film e romanzi, per cui la punizione più grande che un pirata potesse subire è “il salto dell’asse”. Ovvero si piazza un asse di legno al bordo della nave, un pirata viene legato per le braccia e gli altri pirati urlando “aaaarhh!” lo incitano a saltare in mare per annegare o essere divorato dall’immancabile squalo di passaggio.

In realtà esistono storicamente solo cinque casi registrati in tutta la storia della pirateria di punizioni simili al salto dell’asse. Peraltro di aneddotica disputata perché arrivati intorno al 1800, quando la fama del pirata come crudele masnadiero era già in piena corsa.

In realtà i pirati avevano una serie di ottimi motivi per evitare troppe esecuzioni, e quando volevano dare un esempio avevano punizioni molto più efferate del giro di chiglia.

Raffigurazione del salto dell'asse

Raffigurazione del salto dell’asse

Non pensate ora vi verremo a raccontare che i pirati erano persone gentili e oneste come “Cappello di Paglia”, ma semplicemente avrete sentito nei film dei pirati la frase “Dead men tell no tales”, “Un uomo morto non racconta storie”.

Uccidere i prigionieri in modo crudele e indiscriminato comportava due conseguenze: l’impossibilità di estrarre informazioni utili da loro e una fama tale da scoraggiare altri marinai alla resa.

Lo scopo del pirata non era uccidere, ma depredare e far cassa: farsi la fama di colui che “ti butta dall’asse qualsiasi cosa tu faccia” significava esortare chiunque ti avesse conosciuto “per fama” a non arrendersi e vendere cara la pelle piuttosto che darti il bottino.

Punizione da assegnare ad un ribelle era il giro di chiglia: come suggeriva il nome, il pirata riottoso veniva legato con delle corde e fatto “girare” intorno alla chiglia della nave. Se non fosse annegato sarebbe stato ferito dai cirripedi attaccati al fondo della nave e dalle schegge di legno: in un’epoca senza antibiotici e disinfettanti e con le ferite pucciate nell’acqua sporca una potenziale sentenza di morte, o quantomeno un abbonamento a grande sofferenza.

In compenso il “giro di chiglia” era considerato troppo “crudo” per essere raffigurato nelle arti e troppo brutale e difficile da girare per il cinema, e quindi fu sostituito dall’aneddoticamente disputato salto dell’asse.

Il che ci porta ad altri miti.

I pirati avevano tutti il Jolly Roger

Anche su questo One Piece riesce ad avere simultaneamente torto e ragione.

In realtà il Jolly Roger non nasce con la pirateria stessa ma durante essa, e i pirati non usavano la bandiera col teschio “personalizzato” tutto il tempo.

Ricordiamo che parliamo pur sempre di banditi il cui scopo non era avere fama nei Sette Mari, ma semplicemente arraffare tutto quello che potevano.

Semplicemente, se il derubato resiste danneggi la nave. Se danneggi la nave devi ripararla, se la ripari devi spendere molti soldi (e correttamente in One Piece, sia la serie Netflix che il manga, una delle preoccupazioni di Monkey D. “Cappello di Paglia” Rufy è procurarsi un carpentiere e il necessario per tenere a galla la sua barchetta).

Bandiera attribuita a Bartholomew Roberts

Bandiera attribuita a Bartholomew Roberts, fonte Wikimedia Commons

Per questo il pirata medio batteva bandiera civile.

Onorevole? Non esattamente. Utile? Molto.

Arrivati a distanza di combattimento la bandiera civile veniva ammainata e sostituita da uno tra due possibili simboli: bandiera nera per la lotta al primo sangue, rossa per il combattimento all’ultimo sangue.

Ovvero nero per “prendiamo prigionieri e accettiamo la resa” e rosso per “niente prigionieri, nessuna resa”.

La bandiera era una forma di guerra psicologica: dal 1700, con la pirateria come realtà stabilita e molti corsari diventati a loro volta bucanieri invalse l’uso, apparso in One Piece, di personalizzare le bandiere “di segnalazione” con simboli relativi alla morte ed alla paura in modo da capitalizzare sulla fama (o l’infamia) legata al proprio nome e reputazione.

Cominciano ad apparire bandiere “personali”, tutte con ossa e teschi in comune.

Se dunque nei “film tradizionali di pirati” esiste solo un vessillo, quello delle “Ossa Incrociate”, lo scenario descritto in One Piece delle bandiere personalizzate e riconoscibili è quantomeno realistico: taluni pirati che non avevano tanto nulla da perdere (ricercati erano, ricercati restavano a priori) preferivano avere bandiere “di comunicazione e servizio” personalizzate.

Meno realistico è il fatto che un “novellino” come Rufy nei primi episodi decida non solo di darsi un nome di battaglia (“Cappello di Paglia”), ma di dipingere permanentemente il Jolly Roger “personale” sulle vele delle sua nave: neppure un pirata veramente famoso ed esperto avrebbe esposto il suo vessillo in modo permanente e prima di crearne uno personale si sarebbe premurato di fornirsi una fama all’altezza.

Perdonabile, dato che il concetto della storia è che Rufy desidera “bruciare le tappe” entrando nel novero dei pirati più infami nel modo più rapido possibile per diventarne il re e la sua sfacciataggine gli consente di riuscirvi.

I pirati che dicono “aaaahrrr!”

Esiste un giorno internazionale del “Parla come i Pirati”, il 19 settembre.

Esiste nei film l’immagine del Pirata con un forte accento caricaturale e che strascina le parole.

In realtà è tutta colpa di Robert Newton, attore in diversi film di Pirati tra cui “L’Isola del Tesoro” del 1950, che per dare un tono ai suoi personaggi esagerava il suo accento da campagna inglese rendendolo grottesco e roboante, quasi ridicolo, creando il “vero accento del pirata”.

In realtà, come visto in One Piece che anche qui è corretto, un pirata parlava esattamente come un marinaio comune, a seconda della sua estrazione, con l’aggiunta in questo caso di una risata “tipica” per ogni personaggio.

Uncini e gambe di legno

Se c’è una cosa che è stata fatta notare sin dai tempi del manga e della serie animata, è che in One Piece c’è un numero ridotto di gambe di legno e uncini sul totale. Solo alcuni personaggi determinati possono avere una gamba di legno, un uncino (o un’ascia al posto della mano) ed essere ancora attivi.

Anche questo è reale: è pur vero che perdere un arto se eri un pirata faceva parte dei rischi del mestiere.

Ma è anche vero che le amputazioni non sempre riuscivano a salvarti la vita, e un pirata privato di uno o più arti riduceva drasticamente la sua efficienza sul campo di battaglia.

Un esito perfettamente realistico

Un esito perfettamente realistico

La storia di Zef “Gamba Rossa”, maestro di Sanji il cuoco che dopo la perdita di una gamba si ritira dalla pirateria attiva per diventare un cuoco è perfettamente realistica: un pirata invalido solitamente veniva “ridestinato” a ruoli che non richiedevano un fisico adatto al combattimento, come incarichi di cucina e carpenteria.

Personaggi come Shanks il Rosso, in grado di restare capitano dopo la perdita di un braccio e altri personaggi presenti per ora solo nel manga e nella serie animata in grado di combattere anche dopo la perdita di un arto vengono descritti come persone già eccezionalmente dotate di abilità sovrumane di loro, oppure assistiti dai poteri presenti nell’ambientazione del mondo in cui vivono.

Le mappe del tesoro e il tesoro stesso

Anche qui c’è un “ni”.

Difficilmente nella vera “era della pirateria” sarebbe apparso uno “One Piece”. Difficilmente c’erano mappe del tesoro: nessun pirata sano di mente sarebbe andato in giro per i sette mari a sotterrare tesori e segnarli su mappe.

La stessa esistenza dello “One Piece”, a ben vedere, è considerata nell’ambientazione come un irripetibile miracolo.

In realtà anche qui il personaggio più verosimile, sia nell’ambientazione immaginaria che nella vita è Nami, la cartografa della ciurma nonché la “Gatta Ladra”, a causa della sua difficile vita portata ad una passione per il lusso e il furto che supera i confini della cleptomania e la porta a rubare qualsiasi cosa possa avere un minimo valore per poi spendere quanto guadagnato accumulando lussi e piaceri che desidera.

Probabilmente il personaggio con l'etica più affine a quella di un pirata autentico

Probabilmente il personaggio con l’etica più affine a quella di un pirata autentico

Il pirata medio aveva la stessa forma mentis della “Gatta Ladra”: se si fosse limitato ai soli “dobloni d’oro” avrebbe riempito le stive di materia pesante e si sarebbe autolimitato ad una minima quantità del rubabile possibile.

Un pirata rubava di tutto: monete, materiali preziosi, gemme, tessuti pregiati, spezie, medicinali, profumi, non disdegnando di rubare direttamente cibo e materiale per riparare la nave risparmiandosi così di vendere gli altri oggetti preziosi per comprarli.

E rapidamente come rubava, sperperava: i materiali rubati venivano rapidamente rivenduti per diventare fonte di sostentamento di taverne e bordelli.

La flotta dei Sette e i Corsari

Anche questo è sostanzialmente corretto: nel setting di One Piece facciamo la conoscenza della “Flotta dei Sette”, un numero di sette capitani che, in cambio con una cooperazione (spesso più un “patto di non interferenza reciproca”) col Governo Mondiale dell’ambientazione ottenevano la sospensione indeterminata delle loro taglie e numerosi vantaggi.

Questo li rende simili ai corsari della storia vera, privati cittadini che, ottenuta dal Governo locale una “Lettera di Corsa”, diventavano “pirati autorizzati”.

Il corsaro agiva nello stesso modo dei pirati, ma era legalizzato da una “Lettera di Corsa” che gli consentiva di attaccare le navi mercantili di stati ostili, come “rappresaglia” per difendersi da un’aggressione o in tempo di guerra conclamata come atto ostile, purché proporzionato.

Almeno in teoria: nella pratica la differenza tra un pirata e un corsaro era nell’autorizzazione e il corsaro spesso si concedeva strappi alle autorizzazioni ricevute confidando che se non avesse leso gli interessi del suo “sponsor” non sarebbe stato tacciato di pirateria.

A differenza del pirata, il corsaro aveva un porto sicuro di approdo e l’assoluta certezza che il suo sponsor si sarebbe interessato a lasciargli una nave in perfetta efficienza.

Ma sempre a differenza del pirata, il corsaro doveva dividere i suoi guadagni con lo sponsor stesso.

Come era fatta una nave pirata e perché la Going Merry è realistica

Uno dei miti è che la nave preferita dai pirati fosse un enorme galeone o una rapida fregata (quest’ultima come la “Perla Nera” di Pirati dei Caraibi).

Il pirata medio avrebbe scelto invece una scuna o una goletta, navi assai simili alla Going Merry (tecnicamente una caravella). Meno imponenti, ma più facili da manovrare, meno inclini ad incagliarsi e più facili da occultare anche negli estuari dei fiumi.

Anche qui, riducendo gli spoiler al minimo, quando appariranno in scena navi migliori, la stessa ciurma di Cappello di Paglia mostrerà di favorire mezzi non più grandi di un brigantino e con diverse modifiche tecnologico-ucroniche proprio per massimizzare i tratti di manovrabilità tipici di navi dalla mole meno imponente.

Immagine di copertina: “One Piece”, Netflix

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