Perché su Internet ci si dà del tu: o almeno si dovrebbe

di Shadow Ranger |

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Perché su Internet ci si dà del tu: o almeno si dovrebbe Bufale.net

Argomento spinoso della comunicazione social è la stratificazione di usi risalenti a costumi lontani nel tempo e nello spazio. Su Internet ci si dà del tu: regola fondamentale e cardinale ai tempi di FidoNET e delle BBS (anni ’80), che ai tempi dei forum faceva storcere il naso a più di un utente della vecchia guardia, tecnica ma non anagrafica (anni ’90) e che ora sembra oggetto del contendere in quello che i nostri avi virtuali avevano previsto e descritto come il Settembre Eterno.

Delle basi del fenomeno Retichetta abbiamo già parlato tangenzialmente in un articolo legato alla storia dei modem nella nostra rubrica del Retro, quindi sappiamo da dove partire.

Perché su Internet ci si dà del tu: o almeno si dovrebbe

Perché su Internet ci si dà del tu: o almeno si dovrebbe

Anche nella Retichetta esiste un “digital divide”, meno netto ma più stratificato: anticipando il resto dell’articolo, abbiamo tre generazioni di uso ma non anagrafiche.

La “generazione testo”, la “generazione TikTok” e, in un “frazzo” sospeso tra una Narnia del pensiero, un luogo della mente e del cuore e dell’ignoranza umana, il “Proliferare delle immagini di mer*a sulle bacheche dei quarantenni” tra richieste di foto di piedini, goffe avances a qualunque donna abbia una foto e respiri (o anche solo a personaggi seducenti di telefilm e animazione…), fotomontaggi e card disturbanti e toni del tutto inappropriati non solo alla Rete, ma al concetto stesso della civiltà umana.

Ma andiamo con ordine.

Perché su Internet ci si dà del tu: o almeno si dovrebbe

Come citato in passato, dobbiamo partire dagli anni ’80, dalle BBS, FidoNET (il “Fediverso prima del Fediverso”, una federazione e interconnessione di BBS che metteva in comunicazione utenti delle BBS di tutto il mondo) e Usenet.

Vi preghiamo di leggere il nostro precedente articolo per il dettaglio di cosa fossero FidoNET e Usenet. Per ora, pensate alle BBS come delle bacheche virtuali (termine che è la traduzione esatta dell’acronimo) dove poter lasciare messaggi pubblici e privati e scaricare l’occasionale programma “alquanto pirata”, connesse ad altre bacheche per comunicare in tutto il mondo e Usenet come un sistema di “gruppi pubblici” di solo testo, dei “forum senza immagini” (semplificazione per capirci) e accessibili con particolari programmi.

Ovviamente gli utenti erano pochi, e l’anonimato spesso una scelta di vita. Il più delle volte un nickname denotava una posizione fisica: eri l’utente X, che scrive dalla postazione tale, prendendo una pagina dal libro di marconisti e radioamatori.

Ovviamente era il sogno utopico di una Rete libera ma davvero: non stiamo dicendo che non esistevano messaggi firmati, c’era anche chi usava il suo nome. Ma ancora ai tempi di Usenet (sopravvissuto più a lungo di FidoNET, falcidiata da una serie di operazioni di contrasto alla pirateria), si prediligeva il nickname e si prediligeva il tu impersonale.

Così tanto che in tutti i paesi dove c’era il tu e i lei (vedi Germania) era chiaro che il lei non doveva avere posto nel mondo virtuale.

Ognuno partiva dalla stessa posizione, il che non significa che eravamo in quella distorsione del pensiero nota ai moderni del “uno vale uno”.

Ci mettevi poco a mostrare “il tuo valore” nell’Internet degli anni ’80 e ’90, ed era dato dalla competenza e dalla capacità di attenersi alla Retichetta. Un utente competente, affabile e in grado di aderire alle regole del pubblico (non diciamo gentile perché c’erano gruppi e forum che coltivavano una certa passione per l’eristica dove essere in grado di “litigare bene” ti rendeva abile) si guadagnava subito il rispetto e l’affetto degli altri utenti.

Un utente poco incline ad acclimatarsi e irriguardoso delle regole diventava un “Luser”, un “Loser-User” (“utente perdente”) un pariah sociale equivalente ad un oratore sboccato e maleducato che decida di esprimersi solo in modo inappropriato rifiutando le regole del consesso.

I “peggiori” utenti arrivavano a Settembre: scuole e università si aprivano, era più facile “scroccare” un PC connesso ad Internet e gettarsi nella Rete senza l’obbligatorio periodo di “Lurking”, il “Leggere in silenzio per acclimatarsi”.

Il “Settembre Eterno”

Tutto questo si basava su un delicatissimo equilibrio: a settembre entravano nuovi utenti, qualcuno veniva “mazziato”, altri decidevano di leggere e imparare, e i costumi della Rete si diffondevano.

C’era anche un “Galareteo di Emily Postenews”, o “Retichetta”, scritto però al contrario, immaginando cioè una “signorina Beimodi” completamente schizzata e sociopatica che forniva agli utenti solo consigli sbagliati per cui per essere un utente responsabile dovevi fare il contrario di ciò che lei diceva.

Arrivati alla boa del 1999 circa succede che Internet come visto nel citato nostro articolo si diffonde.

Ogni singola rivista ti forniva il “floppy con un dialer” e i codici per un abbonamento di prova ai principali gestori. Un modem e una linea telefonica spalancarono ai ragazzini e ai loro genitori il mondo della Rete inondando i forum e Usenet (le BBS erano ridotte a minoranza da un pezzo) di un numero maggiore di utenti rispetto a quelli pronti ad apprendere.

Le regole finirono: arrivò l’anarchia.

Cosa comporta il lei oggi sui social

Internet affonda le sue radici nel sogno utopico di una società dove tutti partano dalle stesse possibilità dialettiche. Il compianto Rodotà difendeva il diritto all’anonimato in Rete anche perché una ragazzina di un paese emergente potesse avere le stesse possibilità di essere presa sul serio di un affermato e abbiente occidentale.

In questo ecosistema ostentare il “lei” o il “voi” ha lo stesso sapore della gag di Totò che con voce stentorea gonfia il petto azzittendo un interlocutore con un

“Badi a come parla sa? Lei non sa chi sono io… carolei!!!”

Il che, in un sistema costruito intorno ad un modello sociale del tutto diverso, è tanto appropriato quanto entrare in Chiesa durante una funzione in mutande e canottiera e, saliti sul pulpito durante l’omelia, sostuire la lettura dei brani del Vangelo prescritti con un rutto di dieci minuti seguito da diverse bestemmie assai creative.

Un passo falso ridicolo e grottesco che denuncia la totale incapacità di chi lo compie di padroneggiare gli stilemi del mezzo che vorrebbe usare.

Ma l’attuale generazione?

La Generazione TikTok non è meno “paritaria” dei loro nonni e genitori virtuali, ma ritorna alla concezione un po’ “elitista” del loro passato.

Laddove esisteva un “linguaggio comune” e tutti gli utenti degli anni ’90 potevano capire ad esempio un testo scritto in “1337” (“Leet” o “Elite”, linguaggio trascritto in inglese fonetico usando numeri e caratteri speciali che somigliano alle lettere), la “Generazione TikTok” ama coltivare una babele di linguaggi ognuno nato in un determinato profilo o gruppo di profili o in un determinato fandom (il gruppo degli affezionati del tale creativo), solo parzialmente interoperabili tra di loro, dandosi inoltre regole di gruppo e non globali.

Abbiamo quindi una “vecchia guardia” con delle regole vecchie, ma ancora apprezzate e apprezzabili, una “nuova guardia” che crea nuove regole e nuovi linguaggi ad un ritmo vertiginoso ed un nuovo gruppo di “analfabeti digitali”, scarsamente adattati al mondo virtuale che vorrebbero invadere, che cercano di imporvi un “Lei non sa chi sono io, carolei” già desueto e oggetto di derisione nei film di Totò.

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