GUIDA UTILE Gli otto miti da sfatare sui migranti

di Nicola Ventura |

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 Quali sono gli “otto miti da sfatare” sul tema dei migranti?

I nostri lettori ci segnalano un articolo, comparso su Repubblica.it, che illustra un lavoro di ricerca compiuto, sulla questione immigrazione, dai Radicali italiani.

In particolare c’è da segnalare un dossier sulla “Governance delle politiche migratorie” (di circa 200 pagine), una “sintesi” dello stesso dossier e un “prontuario” sul quale si concentra il pezzo di Repubblica.

Il “prontuario”, di appena sette pagine, redatto dai radicali può quindi essere considerato una estrema sintesi del dossier sulla “Governance” volto a “smontare” le obiezioni che solitamente vengono sollevate verso la politica migratoria seguita da governo e UE.

Andiamo a esaminare il “prontuario” riprodotto nel pezzo di Repubblica.it.

1. Siamo di fronte a un’invasione! […] La replica: “Nell’Unione Europea, su oltre 500 milioni di residenti di ogni età (510 milioni) nel 2015, solo il 7% è costituito da immigrati (35 milioni), mentre gli autoctoni sono la stragrande maggioranza (93%, pari a 473 milioni). La quota di stranieri varia notevolmente tra i Paesi europei (il 10% in Spagna, il 9% in Germania, l’8% nel Regno Unito e in Italia, il 7% in Francia).

Il blog collettivo della associazione “Le Nius”, non certo ostile alle politiche di “accoglienza” attuate da governo e alcuni Paesi europei, presenta dati e tabelle estremamente interessanti.

Tra i tanti, ci siamo permessi di prenderne a prestito uno.

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Lenius.it, per mano del sociologo Fabio Colombo, avverte come questi dati non siano “pienamente paragonabili”, sia per le “modalità con le quali sono raccolti dai vari istituti statistici nazionali” sia per le “differenze in fatto di politiche migratorie” che danno luogo a forti differenze numeriche.

Nella tabella spicca l’assenza di un grande Paese come la Francia, da sempre meta e rifugio di migranti e minoranze linguistico-religiose perseguitate nelle proprie terre di origine.

Secondo Colombo gli Stati che “prevedono il cosiddetto ius soli tendono ad avere numeri minori rispetto a chi ha leggi sulla cittadinanza più severe”.

“E’ per questo che la Francia”, continua Colombo, “ha una incidenza della popolazione straniera più bassa della nostra (6,6%), visto che molti figli di immigrati hanno la cittadinanza francese e non finiscono in queste statistiche”.

Il primo punto del “prontuario” dei radicali non tiene quindi conto della diversità di legislazioni nazionali: il caso della Francia è paradigmatico al punto tale che il Paese transalpino non è presente nelle statistiche ufficiali sui Paesi ad alta immigrazione.

2. Ma non c’è lavoro neanche per gli italiani, non possiamo accoglierli! La risposta dei Radicale: “Per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana dei 15-64enni nel prossimo decennio, visto che tra il 2015 e il 2025 gli italiani diminuiranno di 1,8 milioni, è invece necessario un aumento degli immigrati di circa 1,6 milioni di persone: si tratta di un fabbisogno indispensabile per compensare la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa”.

I numeri della demografia in Italia sono oggettivamente preoccupanti: basta prendere confidenza con definizioni quali “quoziente di natalità”, “quoziente di mortalità”, “quoziente di nuzialità”, “tasso di fecondità”, “crescita naturale”, “età media del parto” per rendersene conto.

Istat.it offre una tavola degli indicatori demografici facilmente consultabile.

Sul tema offriamo due ulteriori spunti:

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L’accrescimento della popolazione in Italia è dovuto praticamente tutto all’ingresso degli immigrati.

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Dati Istat

3. Sì, ma questi ci rubano il lavoro! La replica: “Agli immigrati sono riservati solo i lavori non qualificati, in gran parte rifiutati dagli italiani: gli stranieri non riducono l’occupazione degli italiani, ma occupano progressivamente le posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e in agricoltura: settori in cui il lavoro è prevalentemente manuale, più pesante, con remunerazioni modeste e con contratti non stabili. Dai dati più aggiornati del 2015, infatti, emerge che oltre un terzo degli immigrati svolge lavori non qualificati (36% contro il 9% degli italiani)”.
 

Qui si entra in un campo sdrucciolevole.
I radicali parlano di “posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e in agricoltura”: si tratta di settori dove la scarsa retribuzione e la possibilità di aggirare le norme contrattuali e contributive è molto alta. Le condizioni del lavoro nel settore delle costruzioni e soprattutto in quello agricolo, basti pensare al fenomeno del caporalato, sono spesso drammatiche: liquidare il problema con un semplice “gli italiani rifiutano questi lavori” significa ignorare temi rilevanti come quelli del lavoro nero e dello sfruttamento della manodopera straniera (e non solo).

4. Sarà, però ci tolgono risorse per il welfare. “I costi complessivi dell’immigrazione, tra welfare e settore della sicurezza, sono inferiori al 2% della spesa pubblica.  Dopodiché, gli stranieri sono soprattutto contribuenti: nel 2014 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 11 miliardi, e si può calcolare che equivalgono a 640mila pensioni italiane. Col particolare che i pensionati stranieri sono solo 100mila, mentre i pensionati totali oltre 16 milioni”.

Gli immigrati (e gli italiani) che non lavorano in nero, contribuiscono certamente al funzionamento del sistema previdenziale. Rimangono, però, alcuni dubbi sulle cifre presentate dai radicali: il presidente dell’Inps, Boeri, parla infatti di 8 miliardi di euro. Più precisamente, secondo Boeri “ogni anno gli immigrati contribuiscono per 5 miliardi al sistema di protezione sociale perché versano otto miliardi di contributi e ricevono 3 miliardi in prestazioni previdenziali o assistenziali“.

5. Comunque i rifugiati sono troppi, non c’è abbastanza spazio in Europa! “Dei 16 milioni complessivi – scrivono i Radicali – solo 1,3 milioni sono ospitati nei 28 Paesi dell’Unione europea (8,3%), tra cui l’Italia (118mila, pari allo 0,7%). I Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati nel 2015 sono la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6 milioni), il Libano (1,1 milioni) e la Giordania (664 mila)”

I rifugiati sono oggettivamente pochi sul totale dei “migranti”: il problema è di ordine “linguistico”. Si usano termini come “profughi” o “rifugiati” in senso improprio e onnicomprensivo col risultato di discriminare i profughi e rifugiati autentici.

Ricordiamo, infatti, che col termine “profugo” si intende “l’individuo costretto a lasciare il proprio paese per eventi bellici, occupazione straniera, calamità naturali, violazioni permanenti dei diritti umani, e a riparare negli stati confinanti nella speranza di trovarvi temporaneo rifugio”, mentre il rifugiato è colui che abbandona il proprio paese perché discriminato o perseguitato per ragioni politiche, ideologiche, religiose, razziali, e che, a differenza dell’emigrante, non lascerebbe mai spontaneamente il proprio paese spinto dalla prospettiva di assicurarsi un futuro migliore sotto il profilo economico” (Fonte: Dati statistici sull’immigrazione in Italia dal 2008 al 2013, con aggiornamento al 2014)

6. Certo, e allora li ospitiamo negli alberghi. “I centri di accoglienza straordinaria sono strutture temporanee cui il ministero dell’Interno ha fatto ricorso, a partire dal 2014, in considerazione dell’aumento del flusso: le prefetture, insieme alle Regioni e agli enti locali, cercano ulteriori posti di accoglienza nei singoli territori regionali, e quando non li trovano si rivolgono anche a strutture alberghiere. Si tratta di una gestione straordinaria ed emergenziale, spesso criticata in primo luogo da chi si occupa di asilo, perché improvvisata, in molti casi non conforme agli standard minimi di accoglienza e quindi inadatta ad attuare percorsi di autonomia. Quindi sono uno scandalo non gli alberghi, ma la mala gestione e l’assenza di servizi forniti in quei centri improvvisati”

7. E diamo loro 35 euro al giorno per non fare niente! “In Italia, nel 2014, sono stati spesi complessivamente per l’accoglienza 630 milioni di euro, e nel 2015 circa 1 miliardo e 162 milioni. Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno (45 per i minori) che non finiscono in tasca ai migranti ma vengono erogati agli enti gestori dei centri e servono a coprire le spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare lo stipendio degli operatori che ci lavorano. Della somma complessiva solo 2,5 euro in media, il cosiddetto “pocket money”, è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane (dalle ricariche telefoniche alle sigarette)”.

Il problema della accoglienza a spese dello Stato è reale e si risolve nei “famosi” 35 euro dati non ai migranti, come erroneamente si è detto in passato, ma a chi gestisce il business dell’accoglienza (tra cui coop legate alla criminalità organizzata o ai partiti politici).

 8. Sì, però i terroristi islamici stanno sfruttando i flussi migratori per fare attentati e conquistare l’Europa! “Limitando l’osservazione al terrorismo islamista, i primi 5 Paesi con la maggiore quota di morti sono l’Afghanistan (25%), l’Iraq (24%), la Nigeria (23%), la Siria (12%), il Niger (4%) e la Somalia (3%). Le vittime dell’Europa occidentale rappresentano una quota residuale, inferiore all’1%. L`Italia è terra d’immigrazione con molti cristiani ortodossi: oltre 2 milioni tra ucraini, romeni, moldavi e altre nazionalità. Seguono circa 1 milione e 700mila persone di religione musulmana (compresi gli irregolari e minori), meno di un terzo del totale degli oltre 5 milioni di stranieri in Italia. In Europa solo il 5,8 per cento della popolazione è di religione islamica”.

Il pericolo dell’ingresso di terroristi sul territorio nazionale o simpatizzanti dell’estremismo islamico, anche grazie ai cosiddetti “barconi”, è reale e da non sottovalutare.

Secondo Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, se “a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi”, oggi si è “in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l’Europa”.

Il ministro dell’Interno Alfano si è più volte dimostrato scettico sull’argomento senza, tuttavia escludere, aprioristicamente “infiltrazioni di terroristi” nei flussi migratori dalla Libia.

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