Attenzione ai cinturini di famosi smartwatch e smartband, contengono Pfas: facciamo chiarezza

di Fabio De Bunker |

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Attenzione ai cinturini di famosi smartwatch e smartband, contengono Pfas: facciamo chiarezza Bufale.net

Negli ultimi giorni, alcune testate giornalistiche italiane hanno riportato con toni a dir poco allarmistici la notizia della presenza di PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) nei cinturini di smartwatch e fitness tracker. La fonte è uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, che ha rilevato tali sostanze in diversi campioni analizzati. Tuttavia, è importante contestualizzare i dati riportati, chiarire la reale portata del problema e valutare se le preoccupazioni siano fondate o se si tratti di un’esagerazione mediatica.

Cosa sono i PFAS e perché destano preoccupazione

I PFAS costituiscono una vasta famiglia di composti chimici noti per le loro proprietà idrorepellenti, antimacchia e resistenti al calore. Sono ampiamente impiegati in numerosi ambiti, dall’industria tessile ai prodotti per la cura personale, fino agli imballaggi alimentari. Alcuni PFAS, soprattutto il PFOA e il PFOS, sono sotto accusa per la loro elevata persistenza nell’ambiente e i potenziali effetti negativi sulla salute umana, che includono disfunzioni endocrine, problemi riproduttivi e un possibile incremento del rischio di tumori. Va subito precisato che i PFAS non costituiscono un gruppo omogeneo: non tutti i composti di questa famiglia presentano la stessa pericolosità. Molti PFAS a catena corta, come il PFHxA identificato nello studio, sono considerati meno tossici rispetto a quelli a catena lunga e di conseguenza meno regolamentati (per il momento).

I risultati dello studio

Lo studio ha analizzato 22 cinturini di smartwatch e fitness tracker, rilevando la presenza di PFAS in 15 campioni. In particolare, è stato identificato l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), un PFAS a catena corta, con concentrazioni che in alcuni casi hanno raggiunto i 16.662 nanogrammi per grammo (ng/g). Per fare un confronto, studi precedenti sui cosmetici avevano rilevato concentrazioni mediane di PFAS intorno ai 200 ng/g, suggerendo che nei cinturini le concentrazioni siano parecchio più elevate. Tuttavia, bisogna tenere in considerazione che la presenza di PFAS in un prodotto non implica automaticamente un rischio per la salute. La pericolosità di queste sostanze dipende infatti da diversi fattori, tra cui il tipo di composto, la via di esposizione (ingestione, inalazione o contatto cutaneo) e la durata dell’esposizione. Nel caso specifico dei cinturini degli smartwatch, la via di esposizione predominante è ovviamente il contatto cutaneo, generalmente considerata meno critica rispetto all’ingestione o all’inalazione. Inoltre, non esistono al momento studi che dimostrino effetti negativi sulla salute umana derivanti da questa modalità di esposizione a PFAS.

Dati da approfondire, ma senza allarmismo

Le concentrazioni elevate rilevate nei cinturini richiedono certamente ulteriori approfondimenti, su questo non c’è alcun dubbio, ma l’attuale conoscenza scientifica non supporta scenari di rischio immediato per la salute dei consumatori. Gli studi sui PFAS si sono finora concentrati su esposizioni elevate, come quelle derivanti dall’acqua potabile e alimenti contaminati. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha stabilito una dose settimanale tollerabile (TWI) per quattro specifici PFAS (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS), pari a 4,4 ng/kg di peso corporeo. I valori però si riferiscono all’esposizione attraverso l’ingestione e non tengono conto del contatto cutaneo, per il quale i dati sono ancora abbastanza limitati.

Intanto, Apple si difende

Il colosso Apple, recentemente coinvolto in una class action presentata in California riguardante gli Apple Watch a seguito dello studio menzionato, ha prontamente dichiarato che i propri prodotti sono sicuri e sottoposti a rigorosi controlli di qualità, condotti sia internamente sia da laboratori indipendenti. L’azienda di Cupertino rassicura che i materiali impiegati nei cinturini non costituiscono un rischio per la salute. Ma Apple non si è limitata a difendere la sicurezza attuale dei suoi prodotti: ha rilanciato con un impegno concreto verso un futuro più sostenibile, annunciando un piano per la graduale eliminazione dei PFAS dai suoi articoli tech, un percorso già iniziato nel 2010 con la rimozione di composti come il PFOA e il PFOS. Nel 2021, l’azienda ha ulteriormente esteso le restrizioni ad altre sostanze analoghe, incluso proprio il PFHxA, identificato nello studio.

Il dibattito sugli effetti a lungo termine

Rimane aperta la questione degli effetti a lungo termine, in particolare del cosiddetto “effetto cocktail” derivante dall’esposizione combinata a più composti chimici. Sebbene le normative europee siano sempre più stringenti, le conoscenze su alcuni PFAS sono ancora parziali, e molti studi si basano su dati ottenuti da modelli animali, che non sempre possono essere trasferiti direttamente all’uomo. Ciononostante, la presenza di PFAS nei cinturini non significa automaticamente che tali prodotti rappresentino un rischio concreto per la salute. La regolamentazione internazionale è progettata per mantenere l’esposizione entro livelli considerati sicuri, mentre le aziende stanno investendo nello sviluppo di materiali alternativi più sostenibili.

Conclusioni

È fondamentale che la ricerca scientifica prosegua per chiarire le incognite residue e che i produttori lavorino per ridurre l’uso dei PFAS. Nel frattempo, i consumatori possono continuare a utilizzare i propri dispositivi senza ansie eccessive, consapevoli che le autorità vigilano sulla sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Rimaniamo sempre convinti che il compito della divulgazione scientifica sia di offrire informazioni equilibrate, evitando di alimentare timori sproporzionati. Solo con un approccio rigoroso e proporzionato è possibile tutelare la salute pubblica senza cadere preda di inutili allarmismi.

Aggiornamento del 28 gennaio 2025 – Da ulteriori approfondimenti abbiamo appreso che lo studio, oltre a non fornire indicazioni sulle marche e i modelli degli smartwatch analizzati, non ha ancora superato il processo di peer review, ossia la revisione e valutazione da parte di altri scienziati esperti nel settore. Si tratta di un passaggio fondamentale per garantire la qualità e l’affidabilità di una pubblicazione. Questo rappresenta quindi un ulteriore, e tutt’altro che secondario, motivo per considerare con la dovuta cautela i risultati dello studio in questione.

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