Improbabili retrogame di cui non avete più sentito parlare (per fortuna)

di Shadow Ranger |

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Improbabili retrogame di cui non avete più sentito parlare (per fortuna) Bufale.net

Nel mondo del retro non tutte le ciambelle vengono col buco, non tutti i retrogames hanno senso. Molti fanno anche abbastanza senso. Nel momento in cui i programmatori dei tempi che furono, e dintorno, venivano chiamati a sperimentare, alle volte il risultato era una assurdità ingloriosa.

Improbabili retrogame di cui non avete più sentito parlare (per fortuna)

Improbabili retrogame di cui non avete più sentito parlare (per fortuna)

Di alcuni strani giochi ne abbiamo accennato in altri articoli, di altri ne parleremo ora

Custer’s Revenge: tutto quello che c’era di sbagliato nella fine della Seconda Generazione

Abbiamo parlato in lungo e in largo dei frutti amari, anzi amarissimi del tracollo della seconda generazione di console, ovvero il momento in cui l’Atari VCS/2600 fu sorpassato in corsa prima dal Commodore 64, poi dal SEGA Master System e dal Nintendo NES.

Tra questi frutti vi è Custer’s Revenge, improbabile parodia porno sviluppata per una console che a stento poteva visualizzare la figura umana.

Scorretta in ogni punto di vista, improponibile per gli standard moderni ma anche quelli attuali, fu il frutto del “via libera” dato dai giudici alla possibilità per chiunque avesse un programmatore che gli avanzava di sviluppare e vendere giochi per Atari senza alcun controllo (quindi senza il futuro “modello Nintendo” per cui devi essere approvato dalla casa madre) unito all’illusione che bastasse avere “la cassettina per Atari” per vendere.

Un gioco descritto dalla critica moderna come “adatto a mentecatti di madre ignota”, e non possiamo dargli torto, Custer’s Revenge era il prodotto della casa editrice Mystique, specializzata in “giochi per adulti” perlopiù basati sullo smanacciare il joystick di ometti pixellati mandandoli a incastrarsi su donnine pixellate a colpi di joystick o di paddle.

Seriamente: cosa?

Seriamente: cosa?

Con Custer’s Revenge fu toccato il fondo del barile. L’intero scopo del gioco era mandare il “Generale Custer” del titolo a stuprare una donnina pixellata legata al palo, che il manuale descriveva come “una squaw chiamata Revenge” malamente cercando di scansare le inevitabili critiche con l’insinuazione che Custer e Revenge fossero amanti del più bizzarro sadomaso di tutti i tempi.

Una custodia in pelle fantozziana della più rinomata ditta di “Swedish Erotica” della Seconda Generazione di Videogames non bastò a placare l’indignazione furente che un affare del genere poteva provocare.

In breve tempo associazioni di nativi americani e associazioni femministe come  American Indian Community House (AICH)National Organization for Women (NOW) e Women Against Pornography (WAP) si schierarono contro il gioco, costringendolo agli angoli più riposti dei negozi abbastanza coraggiosi, o affamati di danaro per rivenderlo, ma presto il crollo del mercato di Atari e le altre console di Seconda generazione, insidiate dall’arrivo della Terza, dove il Commodore 64 popolarizzò il “computer per il gioco” e SEGA e Nintendo introdussero un controllo maggiore sulle cartucce autorizzate sulle loro console fecero il resto.

E ci mancasse

E ci mancasse

Custer’s Revenge finì nella top ten dei giochi più razzisti di sempre diventando oggetto di culto per i soli amanti del trash. O i pervertiti. Personalmente io il trash lo adoro, ma no, qui dichiaro si esagera.

Nonostante qui stiamo parlando di “retrogames che non avete probabilmente mai giocato” si sono registrati tentativi di ricostruire Custer’s Revenge sottoforma di giochino online. Eviteremmo.

Cho Aniki

Cho Aniki si traduce letteralmente “I super fratelloni”. E i super fratelloni del titolo non hanno neppure il buon gusto di essere i protagonisti.

Non dei primi capitoli almeno.

Cho Aniki fu pubblicato sul PC Engine, console di quarta generazione nel 1992. Per motivi comprensibili fu venduto in Occidente solo nel 2008, sul negozio online di Wii, e con la chiusura dello stesso è diventato nuovamente inottenibile nei paesi occidentali.

La trama di Cho Aniki sembra quello che otterresti tirando freccette su un tabellone pieno di parole a caso. L’esecuzione è un bizzarro sogno erotico fomentato dall’abuso di peperonata.

Lo proporrei come riabilitazione per i giocatori di Custer's Revenge

Lo proporrei come riabilitazione per i giocatori di Custer’s Revenge

“In una galassia lontana lontana”, per citare Star Wars, il malvagio Imperatore di Tutti i Culturisti, tale “Bo Emperor Bill” (gioco di parole Giapponese con “Botei Biru”, ovvero Bodybuilding) decide che il modo migliore per procurarsi le proteine e gli steroidi di cui abbisogna per curare i suoi muscoli e quelli del suo esercito di culturisti spaziali dall’aspetto assurdo è rubarli ad altri pianeti.

Pianeti che mandano i due culturisti Idaten e Benten, un bell’uomo ed una bella donna palestrati e unti.

Assegnando però loro come angeli custodi i “Fratelloni” del titolo: due culturisti pelati e muscolosi con un foro nel cranio tale da fornire loro un aspetto neppure troppo velatamente fallico, lottando al fianco dei protagonisti contro pupazzi di neve muscolosi, Veneri del Botticelli Genderbent (che raccomanderemmo come mascotte al posto della nostra VenereItalia23), donne-corazzata disegnate da giovani fan di 19 anni ai quali consigliamo nuovi interessi nella vita e altri improbabili personaggi unti e palestrati che ti fanno sgorgare dal cuore una sola domanda: tutto questo, perchè?

Petizione per sostituire VenereItalia23 con lui

Petizione per sostituire VenereItalia23 con lui

Nonostante l’assurdità la saga di Cho Aniki conta ben sette capitoli, dei quali alcuni coi fratelloni “Adon e Samson” direttamente protagonisti al posto di Idaten e Benten, con una backstory (ammesso che in questa fantasmagoria culturist-erotica ve ne sia) che li vede essere culturisti dell’Impero del Body Building pentiti delle cattive azioni di Bill e decisi ad espiare aiutando i buoni coi “raggi” sparati dalla loro testa pelata con foro nel centro.

E non continuo per non farci censurare tutti.

“Seaman: l’animale domestico proibito”

Siamo nel 1999, ed un improbabile simulatore pone i giocatori occidentali di tutto il mondo a collaborare con la voce registrata di Leonard Nimoy per allevare i “Seaman”: bizzarri pesci con la faccia con cui discutere grazie al microfono del Dreamcast.

Dreamcast che abbiamo visto essere una delle console più sciagurate della storia SEGA, sostanzialmente troppo avveniristica per la sua epoca e, come vedremo con Seaman, dotata di giochi non meno “avanti”.

Nel senso di troppo avanzati non solo per i loro tempi, ma troppo per l’igiene mentale stessa.

La sostanza di cui sono fatti gli incubi

La sostanza di cui sono fatti gli incubi

Seaman, in un’epoca in cui Internet cominciava a diffondersi alle masse (motivo per cui come abbiamo visto il Dreamcast, creato per l’elevata connettività, stentava a prendere piede) combinava l’uso retro di avere la storia stampata nei manuali alla creazione di un vero e proprio sito Internet.

Nella storia dell'”animale domestico proibito” appare infatti un egittologo degli anni ’30, scopritore della specie dei bizzarri pesci umanoidi, il francese Jean Paul Gassé, convinto che i Seaman fossero messaggeri della saggezza degli antichi Egizi e caduto in disgrazia per non essere riuscito ad allevarne in cattività.

Decenni dopo spetterà al giocatore, con l’assistenza dell’attore nipponico Toshiyuki Hosokawa in originale e di Leonard Nimoy nell’edizione originale allevare i Seaman vendicando l’onore di Gassé e dando lustro al nuovo istituto per le ricerche antro-biologiche.

Tutti questi paroloni nascondono il fatto che, sostanzialmente, l’intero gioco è un Tamagotchi enorme per persone con lo stomaco pesante. Anziché badare ad un tenero pulcino virtuale, ti toccherà seguire tutti gli stadi dello sviluppo, da avannotto a pesce, per poi finire con un ranocchione umano, di una serie di pescioni con la faccia umana realistica incollata su un corpo in grafica digitale che hanno bisogno di cibo, cambi frequenti d’acqua, temperature mediteranee e stimolanti discussioni intellettuali, anticipando ChatGPT.

Il gioco diventa un “non gioco”: se smetti di giocare per un po’ di tempo, i pescioni parlanti moriranno tutti di inedia e freddo, se non accetti di discutere con loro, moriranno di noia (letteralmente) e se lo fai ti stupiranno dandoti ad esempio “trivia” come informazioni sul giorno del tuo compleanno.

Il tutto se non sarai pervaso dall’orrore di pesci umanoidi che Leonard Nimoy ti incita a educare.

Penn&Teller’s Smoke and Mirrors: così assurdo che i produttori finirono in bancarotta

Di Penn&Teller’s Smoke and Mirrors abbiamo solo versioni non ufficiali apparse sulla Rete: l’originale non fu pubblicato poiché Absolute Entertainment era andato in bancarotta.

Penn&Teller sono due illusionisti americani molto famosi, e il gioco stesso era un “antigioco”, che prevedeva renderti un illusionista a tua volta e vendere illusioni agli amici.

Avanti così, per diverse ore

Avanti così, per diverse ore

Uno dei minigiochi aveva ad esempio “Mofo il Gorilla Psichico” (dove “Mofo” sta per un insulto traducibile come “Figlio di pu**ana”): il proprietario del gioco poteva inserire dati sul vero giocatore (descritto nei manuali come “sucker”, “il boccalone”) in modo che che il boccalone si convincesse del fatto che il gorilla Mofo fosse in grado di leggere la sua mente e vedere nel suo presente e futuro.

Altri minigiochi prevedevano un “Personometro” e altri mezzi coi quali il giocatore doveva convincere il “boccalone” di essere in grado di fare magie attraverso lo schermo: un minigioco per beneficienza prevedeva guidare per diverse ore un autobus scassato dalla velocità massima di 72 Km orari su una strada lunga 580Km, in tempo reale, per portare i due maghi al loro spettacolo di Las Vegas senza uscire fuori strada o violare il codice stradale.

A onor del vero il minigioco avrebbe dovuto essere legato ad una sorta di competizione per cui i maghi e gli editori avrebbero donato denaro in favore dei bambini malati a seconda dei chilometri virtuali macinati da giocatori pronti a sacrificarsi, ma il fallimento dell’editore si mise di traverso.

Takeshi’s Challenge: per gli amici “Mai dire Banzai”

Mai dire Banzai, il celebre show giapponese con persone che partecipavano ad una versione allucinata di “Giochi Senza Frontiere”, in Italiano ricommentato dalla Gialappa’s Band con una nuova narrazione in cui viene spiegato che la cultura Giapponese è “fatta di sofferenza”e probabilmente i partecipanti non sarebbero sopravvissuti alle bizzarre prove (gli anni ’80 erano strani così) ha avuto un suo parallelo nel 1986.

“Un gioco fatto da persone che odiano i videogames”, era la didascalia iniziale.

E il gioco, voluto da Takeshi Kitano e sponsorizzato da lui, era un sandbox game prima dei sandbox games: per capirci, un Grand Theft Auto fatto da una persona con profondi problemi irrisolti con la società.

Il volto di chi le ha viste tutte

Il volto di chi le ha viste tutte

Un “kuso-ge”, letteralmente “gioco di mer*a”, nato per castigare i ragazzini che, come abbiamo visto parlando della leggenda urbana di Polybius, cominciavano a cacciare trofei, premi e record per il “completamento assoluto dei giochi” prima ancora che le console moderne offrissero un sistema di tracciamento del trofeo stesso.

La “trama” del gioco era un sordido canovaccio: il tuo scopo è portare un “salaryman”, un povero impiegato giapponese sfruttato e sottopagato a divorziare dalla moglie lasciandole il meno possibile di assegno di mantenimento, fuggire su un’isola deserta e uccidere un vecchio cacciatore di tesori per rubargli un tesoro (che a sua volta lui avrebbe voluto rubare a te dopo averti mandato a prenderlo per lui ed ucciderti dopo) necessario per garantirti un’esistenza ricca e felice lontano dal logorio della vita moderna.

Indovinate la scelta giusta?

Indovinate la scelta giusta?

Il tutto in un mondo dove tutti coloro che incontri cercano di ucciderti e tu puoi uccidere tutti quelli che incontri, compresa la schermata di inizio gioco stessa, che dopo un numero abnorme di pugni morirà dandoti un game over istantaneo.

Il tutto in un gioco dalla difficoltà assurda, dove non è possibile salvare e ogni singola scelta sbagliata ti negherà il completamento che desideri? L’unico modo per vincere il gioco?

Rendere il nostro simpatico impiegato un violento alcolizzato, brutale con moglie e figli, pronto a scappare via dalla società per non far più ritorno con una narrazione che ti ricorda ad ogni passo che, tu videogiocatore, non sei meglio di lui.

LSD: Una incompresa performance artistica

Ci sono giochi che, come abbiamo visto in passato, sono semplicemente troppo “oltre” per il giocatore medio. Se Takeshi’s Challenge era “impalatabile” perché ti prendeva in giro ripetutamente, LSD: Dream Emulator , gioco per la Playstation del 1998, non lasciò mai il Giappone perché era una perfomance artistica astratta che pochi avrebbero capito

Praticamente la Banana di Cattelan del mondo videoludico, un catalogo onirico di 365 mondi da esplorare, ognuno di essi ispirato ai sogni come immaginati dall’autore.

Liberamente tratto da un sogno "problematico"

Liberamente tratto da un sogno “problematico”

Il processo mentale dello stesso era sorprendentemente lucido per un gioco il cui stesso titolo era ispirato alle droghe psichedeliche: siccome non tutti coloro che avevano una console da giochi in casa erano portati per i videogiochi, gli si sarebbe potuto vendere loro una performance di arte astratta.

Figlio d’arte di nonno e padre fotografi, decise quindi di creare qualcosa che raffigurasse non il mondo della materia, ma dello spirito. Un gioco senza né capo né coda, ispirato ad un “diario dei sogni” tenuto da una collaboratrice (che ci chiediamo cosa mangiasse prima di dormire) dove continuare a “sognare senza sosta”, ovvero esplorare mondi onirici di strani colori, musiche campionate e una intera colonna sonora composta dallo stesso Osamu Sato avrebbe arricchito quei mondi di suoni e colori.

Osamu Sato dovette purtroppo scontrarsi con un duro dato di natura: una persona che non riesce a giocare ai videogames probabilmente non compra una Playstation per avere una galleria d’arte astratta interattiva a casa.

Va al museo e compra dei cataloghi di arte.

LSD non lasciò mai i confini del Giappone.

Ancipital e i misteri di Jeff Minter

Torniamo ora nei fantastici anni ’80, nella mente di Jeff Minter, prolifico programmatore di giochi per il Commodore 64.

Ed entriamo nel fantastico mondo di Ancipital, “bullet hell” del 1984 prima che il concetto andasse di moda (gioco in cui devi difenderti da ondate e ondate di avversari che ti sparano addosso).

Solo che tu sei uno Yak bipede armato di banane esplosive che lanciano proiettili contro i tuoi nemici. E i tuoi nemici sono teschi, sigarette ed altri oggetti inanimati ma uniti dal desiderio di spararti.

Il vostro tipico protagonista

Il vostro tipico protagonista

Del resto, parliamo dello stesso Jeff Minter che ha trasformato con Hoover Bovver (1983) le avventure di un tizio che ruba il tosaerba al vicino di casa per usarlo finché non viene scoperto in una battaglia epica (gioco venduto in cassetta pirata col nome di “Giancarlo”) e che dopo aver creato una intera saga dedicata alla sfida contro dei cammelli mutanti è riuscito a rilasciare una versione “corretta” del suo gioco favorito dopo solo 40 anni più o meno, correggendo un bug in Attack of Mutant Camels.

Gioco la cui storia era tutta nel titolo.

Le bizzarre avventure di Capitan Novolin

Raramente si riesce a creare un “gioco educativo” che non tradisca le sue origini. Scopo del gioco educativo, per definizione, è impartire ai giovani un ammaestramento morale senza che questo gli risulti odioso, presentandolo come gioco.

Capitan Novolin, gioco del 1992, è riuscito a mancare entrambi gli obiettivi

Più potente di "Biclope", l'eroe consigliato dall'associazione degli oculisti, ma meno di un sasso

Più potente di “Biclope”, l’eroe consigliato dall’associazione degli oculisti, ma meno di un sasso

Distribuito in 10000 copie in ospedali e centri di cura, il suo scopo era guidare la mascotte di una ditta produttrice di Insulina, il citato Capitan Novolin, nel tentastivo di salvare il sindaco della città di Pineville da mostruosi alieni a forma di cibo spazzatura e zuccheri portandogli le fiale di insulina necessarie a non andare in coma diabetico.

Solo due categorie di persone non stroncarono Capitan Novolin: i bambini a cui fu regalato, che porelli nelle attese in ospedale in tempi precedenti l’arrivo degli smartphone non avevano molto altro con cui svagarsi e i medici, forse convinti della bontà educativa di Capitan Novolin, forse convinti della presenza del gioco gratis.

Per tutti gli altri Capitan Novolin divenne semplicemente “Il peggior gioco nella storia”.

Varie ed eventuali

Ovviamente la storia del Videogame come abbiamo visto comincia ormai decenni fa, ma è vasta e ricca come la storia dell’umanità e potremmo facilmente superare le tremila battiture.

Eviteremo quindi giochi platealmente propagandistici e volutamente assurdi, come “Bible Adventure”, collezione di minigiochi a sfondo biblico per console di Terza Generazione (come il NES) e portato al Mega Drive di Quarta dove le meccaniche di gioco di Super Mario venivano adattate a Noè, Davide e altri personaggi della Bibbia, o i giochi brutti ma noti, come il citato Double Dragon per Commodore 64 venduto con un bigliettino di scuse per non essere riusciti a creare un gioco decente.

Ci siamo concentrati sui momenti facepalm della storia.

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