Il delitto di Vanda Serra

di Luca Mastinu |

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Il delitto di Vanda Serra Bufale.net

Li chiamano poeti, ma le loro rime non sono fatte soltanto di trascendenza e metafore. Sono dei cantastorie, dei narratori. Chi non conosce la Sardegna si limita a parlare del suo mare. Un paradiso terrestre come espressione spesso mutuata da una nobile esternazione di Fabrizio De André, ma al di là delle infradito e del narcisismo degli avventori che ne fanno sfondo per i loro selfie la Sardegna è un universo di bellezza storica, mistero, colori, profumi e civiltà antichissime.

Tra le bellezze storiche c’è la poesia estemporanea, una tradizione che secondo i filologi viene menzionata per la prima volta nel 1787 da Matteo Madau nel suo saggio Le Armonie de’ Sardi. Nella sua opera Madau non solo riflette sulla Sardegna come nazione, bensì elogia “l’antico e nuovo modo di poetare in sardo”, forma d’arte di cui individua le peculiarità metriche che riconosce essere tipicamente isolane.

Dell’antico e nuovo modo di poetare in Sardo e dell’arte che li Sardi adoprano nel comporre i loro versi e le canzoni, e nell’accompagnare queste ora col canto, ora col ballo, e ora col suono di musici stromenti pastorali secondo la prisca usanza de’ Greci e Romani.

La poesia estemporanea è una forma di improvvisazione lirica che spesso diventa strumento di divulgazione dei fatti locali, un piccolo e meraviglioso mondo di cantastorie che grazie alle loro rime creano il giusto apporto alla narrazione storica. Tra questi c’è Costantino Cadoni. La Sardegna, anch’essa, è stretta nella morsa del regime fascista e così anche il piccolo villaggio di Aidomaggiore, in provincia di Oristano. Il 7 gennaio 1925 il poeta Cadoni trova la triste ispirazione per un tremendo fatto di sangue avvenuto nel suo piccolo paese.

La scomparsa

Nel pomeriggio del 7 gennaio 1925 Vanda Serra ha 12 anni. Sta rincasando, e nel suo cammino incrocia qualche abitante di Aidomaggiore. Saluta, Vanda. Qualcuno si toglie il cappello per renderle omaggio. Alcuni rispondono in limba, altri fanno un cenno con la mano. È rispettata, Vanda, perché è la figlia del podestà Giuanne Serra. Lui non è solo un delegato del regime fascista con l’incarico di amministrare il paese. Giuanne Serra è un uomo autoritario che grazie al suo potere d’acquisto è riuscito a sposare la bella maestrina Amalia Porrà nonostante fosse più vecchio di lei di 40 anni.

Chi officiava la loro unione, però, ignorava che la giovane donna avesse uno spirito poco incline alla società patriarcale. Il loro matrimonio dura fino alla nascita di Vanda, bellissima come sua madre, ma poi entra in scena Peppe Camboni. Uno studente bello e posato che Giuanne ha assunto nel suo caseificio. Tra Amalia e Peppe scoppia la passione. Arrivano altri due figli, Giovanni e Maria, ma il podestà è convinto che siano figli del peccato. Per questo li mette alla porta insieme alla moglie, e Vanda sarà l’unica creatura rimasta in casa con lui.

Vanda saluta i passanti. Sta andando a casa, e ancora una volta non incontrerà lo sguardo amorevole della madre. Ha tante ricchezze, ma tra gli allori c’è una vita già distrutta, frammentata dalle grandi assenze. Suo padre l’attende. Vanda sta arrivando, deve fare pochi passi. Qualcuno la vede un’ultima volta, poi il nulla. Vanda scompare senza lasciare traccia.

La scoperta

Giuanne si allarma, monta sul suo cavallo e si mette a cercare. “L’avete vista?”, chiede ai compaesani. Niente. L’hanno incrociata nel tragitto verso casa. Assolutamente niente. Nella sera arriva una risposta: Giuanne riceve la richiesta di riscatto da 80mila lire.

Nella mattina dell’8 gennaio 1925, un giorno dopo la scomparsa di Vanda, si sceglie di setacciare le case al di sopra di ogni sospetto. Dalle bocche dei ricercatori esplodono nuvole di vapore, risultato del contrasto tra l’alito caldo e il freddo dell’inverno. Un freddo che raggela il cuore di Giuanne, che immagina la sua bambina nelle mani di aguzzini senza empatia. In quel contesto il podestà è un padre disperato, probabilmente non gli interessa comandare né firmare ordinanze. Non quella mattina. Vanda è tutto l’amore che gli è rimasto e deve tornare a casa.

Ad Aidomaggiore vive una donna, di quelle donne di chiesa che frequentano assiduamente la parrocchia e che trovi sedute al primo banco durante le funzioni. I vestiti impregnati di naftalina, un rosario sempre tra le mani, il caffè e i biscotti sempre sul tavolo. Tutti conoscono Peppa Rosa Ziulu, e anche se fino a quel momento nessuno ha avuto motivo alcuno di sospettare di lei, Giuanne Serra decide di perquisire anche la sua dimora.

Gli uomini infilano la porta di Peppa. Si consumano convenevoli, si snocciolano pettegolezzi, ma fa parte del tempo. Gli occhi di Peppa sono umidi, tanto umidi che Giuanne vi si può specchiare all’interno. Forse ha paura, forse vuole urlare, Peppa. Poi quel lezzo sprigionato da una stanza. Gli uomini seguono quell’odore. Lentamente, incapace di accettare ciò a cui stanno pensando. Il loro sguardo si posa su un oggetto inanimato. È la cesta dei panni sporchi, messa in un angolo come se niente fosse. Una mano solleva un lenzuolo, poi un altro sudario. Sangue. Vanda è lì. Uccisa, massacrata.

L’orrore

Quando Peppa Rosa Ziulu viene messa sotto torchio spunta un nomeGiovanni Spanu, canonico del paese. Lei lo accusa, lui viene interrogato. Lui l’accusa. Sono stati loro e adesso si rimbalzano le colpe. Sono stati amanti, e con i soldi del riscatto sarebbero fuggiti in America per convolare a nozze.

Si dice che Vanda sia morta per un imprevisto durante il rapimento. Attirata dai due assassini con l’inganno si accorge del tranello e tenta di ribellarsi. La tensione e la rabbia degenerano quando don Spanu tiene ferma la bambina mentre Peppa Rosa le mette le mani al collo. Il volto si gonfia, arrossisce. Gli occhi s’inabissano e Vanda rovina al suolo. Un tonfo, quello, che è tipico di chi cade a peso morto. Il prete e la sua amante si guardano. L’hanno fatto. La piccola, la figlia del podestà, è morta.

Poi un fiato sommesso.

Un movimento, un rumore soffocato. Il corpo si rianima. Vanda si rialza. Ha gli occhi gonfi di terrore, avanza barcollando verso di loro. Gli assassini, di nuovo, l’afferrano e infieriscono. La bambina sopravvive ancora. Don Spanu la tiene di nuovo ferma e Peppa Rosa impugna l’accetta. Un colpo raggiunge la creatura alla nuca. Il metallo fende il cranio, uno schizzo di sangue colpisce la donna al volto. Tutto si spegne.

La fine

Il processo si conclude il 19 marzo 1926 con la condanna a 30 anni di carcere per il prete e la sua amante. Del primo non si hanno più notizie, della seconda si scopre che dopo aver scontato parte della pane fa ritorno ad Aidomaggiore, ma è profondamente cambiata. La sua casa è stata confiscata, per cui Peppa Rosa è costretta a vivere in un’abitazione angusta e umida proprio di fronte alla sua vecchia dimora. Ogni giorno, quando s’affaccia, vede la sua casa. Si muove ricurva, indossa scarpe fatte di stracci, i bambini la temono. Muore a Sedilo (OR), in un ospizio. Del canonico Spanu si scopre solamente che ha terminato i suoi giorni a Sindia, il suo paese d’origine.

Di quella morte così violenta e macabra, oggi, non c’è traccia se non nelle testimonianze raccolte dal poeta Antonio Delitala nel romanzo L’Amante del Prete. Nessun riferimento nei quotidiani dell’epoca. Nessuna carta processuale. Solo la memoria collettiva e quella lapide che ci mostra l’unica foto pubblica di Vanda Serra. Durante il regime fascista, del resto, era consuetudine tacere su ciò che avrebbe leso quella parvenza di equilibrio tanto ostentata nella propaganda.

Wanda Serra no est mai imentigada
Ca est sempre presente cuddu visu
Godende in su santu paradisu
In corte celeste incoronada.
Sos martirios e penas chi has sufertu
Lu godis in su chelu cussu est certu.

Sa morte de Wanda Serra de Bidumaggiore
– Costantino Cadoni

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