Cosa avete sbagliato sul mostro di Frankenstein: il nome, l’aspetto
Se c’è una cosa che il mondo del cinema è in grado di fare è ridefinire l’immaginario. Per molti il protagonista del film “Frankenstein” è “un Frankenstein”. Una creatura orribile dalle sembianze di Boris Karloff pieno di trucco, cerone e cicatrici, dalla fronte prominente e il corpo deforme, che si muove come un robot con due elettrodi nel collo.
Ma in realtà la creatura non si chiama Frankenstein (non tecnicamente, vedremo) e più che un mostro nella mente di Mary Shelley era “un tipo”, o meglio un’entità scarsamente concepibile dalla mente umana se non negli incubi, una via di mezzo tra una creatura umanoide e quello che otterresti cercando di assemblare una figura umana intera col kit di plamodel (modelli di plastica) di “Esplorando il Corpo Umano”, usando pelle, carne e sangue veri anziché le loro riproduzioni in vari tipi di plastica atossica.
Cosa avete sbagliato sul mostro di Frankenstein: il nome, l’aspetto
Nel far descrivere la Creatura dal suo creatore, Mary Shelley nel romanzo originale usa questi termini
“Il corpo era proporzionato, e nel costruirne i lineamenti avevo cercato di mantenermi fedele a un’idea di bellezza. Bellezza! Mio Dio! La pelle gialla a malapena ricopriva la muscolatura e l’intreccio delle arterie, i capelli erano fluenti e di un nero lucente, i denti bianchi come perle. Ma tutto questo non faceva che creare un contrasto tanto più raccapricciante con gli occhi acquosi, di un color bianco grigiastro quasi identico a quello delle orbite in cui erano sistemati, con la pelle grinzosa e con le labbra livide, dal taglio diritto”
Ottenendo quindi un’entità proporzionata ma il cui orrore non deriva tanto da un aspetto deforme, quanto da quello che noi definiremmo “uncanny valley”, il senso di orrore e straniamento che ad esempio ci colpirebbe vedendo un robot animatronico perfettamente indistinguibile da un essere umani tranne che per una serie di dettagli che inconsciamente ci creano un senso di paura e allarme suggerendoci un qualcosa di potenzialmente pericoloso e sicuramente artificiale che ci sia presentato in modo da confondermi tra gli esseri umani.
Abbiamo quindi una figura umana proporzionata e muscolosa dal sorriso smagliante e una folta chioma aderente all’ideale di bellezza neoclassico, ma dallo sguardo dapprima vitreo e spento e poi, nel prosieguo del romanzo, carico di malvagità, la pelle giallognola e scolorita di qualcosa creato con cadaveri che non hanno potuto godere della luce del sole e muscoli possenti e pericolosi sotto una pelle sottile.
Cosa che comunque lo rende “mostruoso” agli occhi del mondo, tanto da fargli desiderare dapprima la compagnia e la comprensione umana e infine la creazione di una creatura sventurata come lui con cui condividere la vita e l’odio per il genere umano che l’ha scacciato.
A coronamento della sua natura aliena, crudele e disumana (almeno fino al pentimento finale in cui la Creatura si rende conto di non aver posto nel mondo umano e accetta di trascinarsi al Polo Nord col cadavere del suo creatore, immolandosi per distruggere l’empio segreto della sua creazione e anticipando di secoli il sacrificio del Terminator in Terminator II), la Creatura è del tutto priva di nome.
Non che la Creatura non ne desideri uno: in diverse occasioni si definisce come “L’Adamo delle sue fatiche”, insinuando che in quanto Creatura il suo Creatore avrebbe avuto il dovere di dargli un nome e in quanto frutto delle sue fatiche dovrebbe essere considerato equivalente ad un figlio (e quindi un “Frankenstein” almeno dal punto di vista morale).
Ma questo non accade mai nel romanzo, nel quale viene definito come “mostro”, “nemico”, “demone”, “orco”, e ogni tentativo della Creatura di farsi riconoscere da Frankenstein come sua responsabilità viene troncato da repliche in cui Victor Frankenstein lo definisce un “demone” e il suo nemico mortale.
Victor che peraltro non è un medico, ma uno scienziato, studioso di filosofia naturale e autodidatta nelle conoscenze mediche usate per dare vita alla creatura.
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