Alì Hasani, il mostro del delitto del Morrone

di Luca Mastinu |

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Alì Hasani, il mostro del delitto del Morrone Bufale.net

Quando giunse nel bosco non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura.

Da questa citazione abbiamo omesso due particolari. Il primo è “Cappuccetto Rosso”, il secondo è “incontrò il lupo”. Una fiaba che conosciamo tutti. Quando diventiamo grandi, certe favole diventano strane, come se  raccontassero storie terribili. È colpa della nostra malizia, una distorsione che i bambini non conoscono. I Fratelli Grimm, ovviamente, non raccontarono un fatto vero.

Il lato oscuro del mondo delle fiabe è stato in parte ripreso da Stephen King ne La bambina che amava Tom Gordon, una versione dark della nostra Cappuccetto Rosso. Nell’incipit del suo romanzo, il re del brivido scrive“Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare”. È quanto ci serve per raccontare questa storia terribile, dove tre anime innocenti si ritrovano faccia a faccia con il male. In un bosco.

delitto del morrone

Da sinistra: Silvia Olivetti, Diana Olivetti e Tamara Gobbo. Ph: Mattino di Padova

Una ragazza giunge barcollante ad un centro abitato. Perde sangue e farfuglia frasi confuse. Sembrerebbe l’incipit di un film dell’orrore, di quelli che iniziano con una sopravvissuta in stato di choc che ha appena riconquistato la libertà, che è riuscita a sfuggire alla famiglia di psicopatici, al mostro, al cannibale. È il 20 agosto 1997 e siamo a Marane, una frazione del comune di Sulmona. È la provincia de L’Aquila, in Abruzzo. Una giovane studentessa la incontra. “Hanno ucciso mia sorella e la mia amica!”, grida la ragazza.

Improvvisamente perde i sensi. Si chiama Silvia Olivetti, ha 21 anni e sì, è l’unica sopravvissuta del mostro.

Diana, Silvia e Tamara

Diana e Silvia Olivetti hanno 21 e 23 anni. Tamara Gobbo, 23 anni, è una loro amica. Si sono conosciute mentre facevano volontariato per l’associazione Mato Grosso e insieme hanno deciso di partire per un’escursione al parco della Maiella, sul monte Morrone, in Abruzzo. Le sorelle Olivetti vivono ad Albignasego, Tamara Gobbo è di Villatora di Saonara. Per l’estate hanno deciso di lasciarsi alle spalle la loro provincia padovana e muoversi verso l’Abruzzo per tuffarsi in mezzo alla natura.

Salgono a bordo della Ford Fiesta e raggiungono l’agricampeggio ‘Passo dei Lupi’ di San Giacomo, una frazione di Sant’Eufemia di Maiella. Il 20 agosto 1997 decidono di raggiungere la cima del monte Morrone.

Alle 8 del mattino Diana, Silvia e Tamara parcheggiano la loro auto a Passo San Leonardo e si incamminano lungo la via delle Signore, un percorso morbido attraverso il quale è più facile raggiungere la cima del massiccio.

Le ragazze proseguono lungo il sentiero a zig zag fino a quando notano un individuo con abiti trasandati e un berretto con la visiera calata sul volto, con due cavalli e una mula al seguito. Quando si incontra un autoctono su una strada di montagna è buona educazione salutarlo, come per scusarsi se la nostra curiosità ci ha spinti a violare un territorio immerso nel verde, nell’aria pulita, nella pace. Diana, Silvia e Tamara sono molto giovani, per cui vogliono accertarsi di essere sulla strada giusta.

I pastori conoscono metro per metro i loro territori, per cui le tre ragazze chiedono a quello sconosciuto se quella sia la strada giusta per raggiungere la cima. Lo sconosciuto fa loro un cenno col braccio e conferma che quella è la strada giusta. Le tre escursioniste lo ringraziano e si rimettono in cammino. Probabilmente fanno qualche commento, ma dopo pochi istanti si accorgono che qualcuno si è messo sui loro passi.

È il pastore di prima, quel tipo strano che però sembra gentile. Le ha raggiunte per avvertirle: non devono passare vicino agli stazzi, lì troverebbero dei cani pastore che potrebbero aggredirle. Il samaritano si offre per guidarle lungo una scorciatoia più sicura, lontana dai pericoli. È gentile, lo sconosciuto. Il tono di voce è rassicurante. Ha la pelle ustionata dal sole della montagna, l’aspetto trascurato, l’accento abruzzese. Un uomo di montagna come tanti, per questo affidabile sulle strade da percorrere. Il corteo avanza con il pastore in testa.

strage del morrone

Ph: Sefthesyan / Wikimedia

Il bosco

Le tre ragazze e il buon samaritano arrivano all’imbocco del bosco di Mandra Castrata. Cercano di congedarsi da quello sconosciuto gentile, ma quest’ultimo estrae una pistola. Ordina alle ragazze di precederlo e di avviarsi verso il bosco.

Tamara a sinistra, Silvia a destra, Diana poco più avanti. Le tiene sotto tiro con quell’arma puntata, lo sguardo non più gentile e un ghigno diabolico a deformargli il volto scavato. Silvia cerca di prendere in mano la situazione per dare un lieto fine a quell’incubo: gli offre soldi, effetti personali, ma lui non è lì per i soldi.

Silvia non ci sta e tenta di ribellarsi. Lui si infastidisce e spara.

Il delitto del Morrone

“L’hai ammazzata, l’hai ammazzata, cosa hai fatto?”. È Diana, la sorella maggiore di Silvia. L’uomo ha sparato alla piccola del gruppo e l’ha colpita alla spalla e al torace. Silvia è per terra. Il pastore la solleva per i capelli e guarda Diana. Con quel ghigno maledetto le dice: “Vedi che non è morta, e stai attenta perché ho ancora tre proiettili.

Tamara si mette ad urlare, straziata da quell’orrore che la sta inghiottendo insieme alle sue amiche. Lui le esplode due colpi addosso. La uccide. Non resta che Diana, con la quale lo sconosciuto assume un atteggiamento ancora più sinistro. “Spogliati!”, le grida l’uomo. Diana, sotto la minaccia del male e della pistola, inizia a spogliarsi.

Silvia è viva, ma si finge morta. È la lezione di Donatella Colasanti, sopravvissuta al massacro del Circeo. Assiste al momento in cui l’uomo si getta sul corpo della sorella per tentare di violentarla“Scappa!”, le grida Diana. L’uomo spara. “Stai attenta perché ho ancora tre proiettili”, aveva detto. Due li ha usati per uccidere Tamara, l’ultimo per eliminare Diana. Ha finito i colpi.

Silvia si alza, zoppica e prende velocità. Si lancia verso la fitta vegetazione di Mandra Castrata con il mostro alle calcagna. Inizia a piovere, una pioggia torrenziale. La nebbia, l’acqua. Il Morrone è diventato l’inferno. Incontra una roccia e vi si accuccia sotto. Sente gli occhi di quell’assassino ancora addosso, ha paura che quello sia il mondo che vuole morsicarla. Sente ancora la voce di sua sorella che geme sotto il corpo mortale di quell’uomo feroce. Rimarrà nascosta da quella roccia per due ore, poi si rimette in marcia verso valle.

Arriverà a Marane ferita e dolorante dopo cinque ore di corsa disperata, con il corpo ricoperto di sangue ed escoriazioni. Viva. Incontrerà Maria Grazia Centofanti e le racconterà: “Hanno ucciso mia sorella e la mia amica”, poi perderà i sensi. Maria Grazia, studentessa, chiama il 112 e il 118.

Alle 20 di sera, mentre Silvia si trova all’ospedale di Sulmona, nella casa di Albignasego dove vivono gli Olivetti e in quella di Villatora di Sanoara dove vivono i Gobbo arriva una telefonata: “Carabinieri di Albignasego. Potete passare qui in caserma subito?”. Una sopravvissuta, due disperse. Silvia chiede del gelato, poi arrivano i carabinieri e la pm Aura Scarsella e la ragazza racconta tutto senza tralasciare alcun dettaglio.

strage del morrone

Ph: Coralbi.com

Silvia descrive l’assassino e una poliziotta traccia il suo identikit. Nel frattempo gli inquirenti le mostrano sette foto segnaletiche, tra le quali riconosce il volto del mostro. Si chiama Aliyebi Gostivar Hasani, ha 23 anni ed è un clandestino macedone – uno dei tanti sul territorio – che lavora come servo-pastore. Lavora per conto di Mario Iacobucci, che è il proprietario della pistola – delle pistole, visto che per la detenzione illegale di armi patteggerà un anno – ma è completamente estraneo alla vicenda.

L’arresto

Alle 23:30 dello stesso 20 agosto i carabinieri e la polizia, insieme alla Criminalpol regionale guidata da Maurizio Improta, arrivano allo stazzo di Alì dove sta dormendo. Alì, lo chiamano Alì. Il 23enne non oppone resistenza e si consegna alle autorità. La notte stessa verrà tradotto al carcere di Sulmona.

Confessa gli omicidi ma nega la violenza sessuale. Alle 6:30 del 21 agosto i poliziotti rinvengono i corpi di Diana e Tamara. La prima è completamente nuda, con i vestiti distanti diversi metri. La seconda, vestite, giace poco distante.

Nel 1999 la Corte D’Assise condanna Alì all’ergastolo per pluriomicidio, e nel 2005 verrà rimpatriato in Macedonia. Oggi, sul luogo della strage del Morrone, è presente una lapide in pietra dedicata a Diana Olivetti e Tamara Gobbo.

Di Alì non si hanno più notizie.

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