PRECISAZIONI La condanna di Fabrizio Corona – Bufale.net

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Nel corteggio di bufale che ci circondando appaiono anche molti meme “schierati” verso una tesi o l’altra. Vi sarete sicuramente imbattuti, parlando dei recenti fatti di cronaca giudiziaria relativi a Fabrizio Corona in due diversi, polari ma non meno inesatti eccessi.
Da un lato abbiamo un numero incalcolabile di memes per cui non è giusto che Corona stia in galera per una foto. Dall’altro lato, al polare estremo opposto, abbiamo invece chi ritiene la già corposa pena maturata inadeguata, proponendo sanzioni ancor più draconiane ma senza precisare il come si sia arrivati sino a quel punto.
Diviene pertanto necessario cominciare non già dall’inizio, ma dalla fine, ovvero dall’attuale condanna a tredici anni e due mesi che che tutt’ora l’imputato sta scontando.
Per quanto ulteriori approfondimenti non potranno che arrivare nel tempo, abbiamo già una motivazione presente:

“Si annulla l’ordinanza impugnata – si legge nella motivazione dei giudici supremi – limitatamente al riconoscimento della continuazione tra i reati di estorsione e i restanti reati oggetto delle sentenze dell’8 marzo 2010 del gip del tribunale di Milano e del 7 giugno 2012 della Corte d’Appello di Milano, e si rinvia per nuovo esame al gip del tribunale di Milano. Si rigetta il ricorso di Corona Fabrizio che si condanna al pagamento delle spese processuali”.

La continuazione nel reato è infatti un istituto giuridico laddove l’imputato “viola una o più disposizioni di legge, con azioni diverse, per realizzare un medesimo disegno criminoso”. (art. 81, co. 2 c.p.)
La distinzione offerta dalla Suprema Corte non è pertanto oziosa o un mero esercizio di pignoleria. Infatti analizzando il testo proposto abbiamo:

  1. Sentenza dell’8 marzo 2010: condanna ad un anno ed otto mesi per corruzione, per alcune foto scattate in carcere quando era detenuto, con una macchina fotografica che Corona era riuscito a introdurre a San Vittore corrompendo con 4.000 euro un agente della polizia penitenziaria.
  2. Sentenza del 7 giugno 2012 (confermata in Cassazione): condanna a tre anni e 10 mesi per evasione fiscale.
  3. Reati estorsivi, dettagliati, ad esempio, sulle pagine del Secolo XIX e collazionati per la lettura da parte degli interessati su fonti come Wikipedia

Il criterio cui attenersi per la valutazione della pena e per la “valutazione delle colpe” sono diversi e disgiunti. Il ricalcolo della pena non significa affatto, come sovente insinuato, riconoscere più o meno gravità agli atti di Corona: ciò è stato oggetto dei cosiddetti “Gradi di merito” del giudizio.
Solo alla Corte d’Assise ed alla Corte d’Assise d’Appello spetta infatti valutare la vicenda nel merito, ovvero nei suoi eventi storici e costitutivi. La Corte di Cassazione è corte di Legittimità: valuta cioè se, appurato e dato per assodato il lavoro nel merito delle corti precedenti, le norme relative sono state applicate, per spiegarci con un linguaggio semplice e banale “A puntino”.
E qualcosa in questo meccanismo si è interrotto.
L’ordinanza del Gip impugnata infatti aveva applicato, come norma di “calcolo” (attenzione, non come criterio di valutazione di colpe e responsabilità, solo per la “somma” delle pene) l’articolo 81 comma 2 del codice penale.
La Suprema Corte non ha ritenuto ciò valido, per le motivazioni che portali tecnici, come Altalex, nella loro esegesi, ovvero spiegazione manualistica, dell’articolo riportano con dettaglio e puntualità.

Il reato continuato è previsto dal secondo comma dell’articolo 81 c.p., ai sensi del quale è soggetto alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino al triplo, “chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.”Ad esempio per sequestrare Caio, Tizio picchia la guardia del corpo, ruba un’auto e trattiene Caio per diversi giorni; in tal caso commette il delitto di lesioni, sequestro di persona e furto. Si tratta di tre reati, ma realizzati con l’unico scopo di sequestrare Caio.
Il motivo per cui il legislatore ha scelto di applicare il sistema del cosiddetto cumulo giuridico risiede ancora una volta nel fatto – assolutamente contestabile in verità – che chi commette più reati con uno scopo unico dimostra minore inclinazione criminale di colui che realizza più reati con più scopi diversi (FIANDACA-MUSCO).
Inoltre, uniformando la disciplina del reato continuato a quella del concorso formale si evitano le incertezze che possono capitare nella pratica (ANTOLISEI).

La domanda da porsi era infatti: sono i reati contestati tre reati distinti, oppure un unico disegno criminoso teso ad un unico scopo?
Il Gip ha ritenuto che ci fosse un unico piano, quindi un’unica vis delittuosa, insomma il desiderio di compiere, dall’origine “una sola azione e via”. Ciò, agli occhi del diritto, attiva la presunzione giuridica (come Fiandaca e Musco hanno dichiarato, comunque contestabile), di trovarsi dinanzi non già ad un soggetto che in un dato periodo di tempo ha compiuto coscientemente una serie di azioni ritenute dall’ordinamento deprecabili, ma ad un soggetto che intendeva, in qualche modo, “fermarsi ad una sola azione” e, nel farlo, ha “toccato” diversi reati come in una sorta di gioco della Campana del diritto (il famoso gioco per bambini dove, percorrendo un sentiero a saltelli, devi fermarti su determinate caselle senza toccarne l’intersezione).
La Suprema Corte invece ha deciso di considerare i reati proposti come distinti e disgiunti, ognuno con la sua rigida localizzazione ed il suo scopo.
Quindi cambiando il criterio di calcolo, e rendendo inapplicabile il semplice “triplo del reato più grave”, ma valutando tutte le pene irrogate.
Complica la situazione la valutazione della condotta c.d. anteatta, biograficamente documentata, e inevitabilmente introdotta, già nella fase di merito, nel computo degli anni di pena, in base a quanto stabilito dall’articolo 133 c.p.

Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente [164, 169, 175, 203 2], il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione ;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato allapersona offesa dal reato;
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole [103, 105, 108; c.p.p.220], desunta:
1) dai motivi a delinquere  e dal carattere del reo;
2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato
3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato ;
4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Con questo non intendiamo prendere però alcuna posizione. Siamo a conoscenza, come tutti, dalla cronaca, dei patimenti dovuti alla condanna che in questo momento sono oggetto di specifica perizia e cure mediche stabilite dalla Procura competente e confidiamo che, acclarati coi metodi dovuti, possano essere affrontati con senso di umanità e ricordando la funzione della pena.
La quale, ricordiamo al lettore, non trova la sua funzione nell’acritica punizione, ma nel punire il reo in modo che possa poi, ravveduto rispetto all’errore, cominciare un percorso che lo restituisca alla società come una persona rinnovata. Sono insomma, finiti i tempi dei passaporti gialli ritratti ne I Miserabili di Victor Hugo in cui il reo veniva marchiato a vita ed impossibile gli era, scontata la pena, il reintegro nella società civile.
Ma ciò non implica che non debba esserci severità nella sanzione, proprio perché la cosiddetta funzione afflittivo-rieducativa deve obbligatoriamente correre su due binari: l’afflizione, la pena priva di rieducazione sarebbe, è vero, crudeltà, ma la rieducazione se fosse priva di afflizione sarebbe debole ed inefficace.
Una lettura alle fonti proposte credo dimostrerà che la condotta pregressa di cui la magistratura ha tenuto di conto comprende ben più di una foto, e quindi giustificata appare la pena, pur grave, di tredici anni di reclusione irrogata.
Ma il prosieguo dimostrerà che questa condanna non ha bisogno di clamori, di “divisioni in squadre” e di memes pro e contro Corona, ma andrà vissuta come un’occasione per ricostruire il filo di un’esistenza e, infine, restituire il reo al tessuto sociale, scontate le sue colpe, come cittadino tra i cittadini.

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