Per il complotto la NASA non è mai stata nello spazio, ma era un test
Problema: hai un equipaggiamento così costoso da impegnare buona parte del budget che hai a disposizione, in tempi in cui non hai più il portafoglio a fisarmonica che ha consentito lo sbarco lunare. Inoltre, potenzialmente da quell’equipaggiamento dipende la vita di esseri umani, cosa fai?
Una persona di ordinaria competenza direbbe:
“Ovviamente lo collaudo in circostanze controllate e controllabili, sottoponendolo a diversi test per valutarne l’uso in diverse circostanze in modo da non andare all’avventura”.
Uno sventato direbbe
“Vabbè, usiamolo così, vediamo come va va …”
Secondo il mondo del complotto la risposta più logica sarebbe la seconda, anche se nella pratica fortunatamente è la prima.
Per il complotto la NASA non è mai stata nello spazio, ma era un test
Lo spezzone diffuso con la didascalia dichiara che “la NASA lancia carichi dagli aerei e finge di essere stata nello spazio”.
Ma lo spezzone proviene da un test sui paracadute (ovviamente da usarsi solo in atmosfera, dato che nello spazio un paracadute non funziona) della navicella spaziale Orion, veicolo spaziale parzialmente riutilizzabile che nei prossimi anni dovrebbe riaccendere la corsa allo spazio riportando gli uomini sulla Luna e arrivando fino a Marte.
Il test riguardava il solo impianto dei paracaduti ed è stato effettuato con una “quasi copia” del vero Orion, uguale per masse e dimensioni e con l’interfaccia funzionante per i paracadute.
Il test ha previsto lanciare la “navicella di prova” da un aereo C-17 dopo aver provocato una serie di anomalie che avevano causato il mancato dispiegamento di alcuni paracadute, uno di quelli principali per l’atterraggio e uno di quelli per il dispiegamento per vedere come “se la sarebbe cavata” un oggetto di masse simili e contenente un prezioso carico umano.
Per la cronaca, l'”Orion di prova” ha superato il test a pieni voti: nel caso fosse accaduto alla navicella vera, nonostante un inconveniente così grave avremmo salvato la vita all’equipaggio e recuperato la navicella.
Perché avere sistemi ridondanti, perché provarli sulla Terra
Come abbiamo ampiamente descritto parlando del Modulo Lunare delle missioni Apollo, le due possibilità contemplate nel programma spaziale sin dalle origini sono la ridondanza o la riparabilità.
Ovvero munire le navicelle di “più sistemi” di quelli che servirebbero sapendo che in caso di guasto resterebbero ancora abbastanza parti operative per portare a termine la missione o, in questo caso, salvarsi la vita oppure fare in modo che gli stessi sistemi siano riparabili e gestibili dagli astronauti.
Nel secondo caso si aumentano però i fattori di rischio, come infiltrazioni di materiale estraneo nei dispositivi che hai dovuto “aprire” e il rischio che la riparazione si dimostri più difficile del previsto se non impossibile.
In questo caso la ridondanza ha avuto ancora una volta successo: il sistema di atterraggio in atmosfera è stato promosso e potrà andare nello spazio con la Orion reale.
Tale successo non poteva essere semplicemente “calcolato al computer”. Per quanto i progressi della tecnologia siano evidenti dal primo sbarco sulla Luna, non esistono ancora computer così sofisticati da simulare perfettamente tutte le variabili di un atterraggio “fallimentare” a causa di danni ai dispositivi.
L’unico modo è empiricamente “lanciare per aria” un simulacro della navetta danneggiata e osservare attentamente che succede.
Conclusione
Il video mostrato nel post Twitter riguarda il test del sistema di atterraggio in atmosfera, partendo da una riproduzione della navicella Orion munita di un sistema di atterraggio volutamente difettoso.
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