GUIDA UTILE Il Referendum trivelle del 17 aprile 2016 – Bufale.net

di David Tyto Puente |

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Le motivazioni di chi promuove il voto “no”

Ecco quanto dichiarato da Alberto Clò, docente di Economia applicata presso l’Università di Bologna e direttore della rivista Energia, alla rivista Formiche:

Non vi è motivo perché un qualsiasi cittadino di buon senso possa dirsi favorevole ad un’attività che – si proclama ogni giorno – provoca danni irrimediabili alla salute, alla natura, al territorio, alla pesca, al turismo, all’agricoltura. Senza che – si proclama ogni giorno – vi sia alcun vantaggio per le popolazioni o l’intero Paese, perché a guadagnarci, si sostiene, sarebbero solo le fameliche multinazionali del petrolio. Che tutto ciò sia mera propaganda nulla conta, così come il fatto che non vi sia uno straccio di studio che dimostri che estrarre petrolio o metano danneggi il turismo, la pesca, l’agricoltura.

Per rendersene conto basterebbe farsi un bel weekend a Milano Marittima e guardare dalla battigia le piattaforme al largo o andare all’annuale Festival delle cozze della vicina Marina di Ravenna, pubblicizzate “tra le più pregiate d’Italia raccolte alla base immersa delle piattaforme marine!”. Così come basterebbe, ma la cosa sarebbe più ardua, andarsi a studiare le esperienze estere di collaborazione dell’industria petrolifera con le aziende agricole francesi, le università inglesi, i pescatori norvegesi. Ma tutto ciò con conterebbe nulla.

Così come controbattere a un’altra tra le mille mistificazioni che si vanno propinando: che estrarre petrolio sia antistorico, perché fonte ormai marginale nell’offerta mondiale di energia (con il metano conta per il 54%) e penalizzante le nuove risorse rinnovabili (2,4%), mentre si dovrebbe sapere che il primo viene utilizzato quasi solo nei trasporti e le seconde nella generazione elettrica. Lo stesso può dirsi sui rischi di disastri ambientali irresponsabilmente paventati estrapolando sulle nostre coste il caso di Macondo nel golfo del Messico. Nulla si dice, per contro, sulla questione di fondo: che impedire la produzione interna di petrolio o metano significa preferirne l’importazione, magari dalla Libia, finanziando le milizie in guerra; significa preferire versare miliardi di euro all’estero piuttosto che destinarli alla crescita interna; significa aiutare le imprese altrui a discapito delle nostre. Ma temo sarebbe ancora del tutto inutile. Perché la paura, come la calunnia, pesa più di ogni rassicurazione o smentita. Qualcosa resterà sempre.

La vittoria del “si”, secondo Clò, riguarderebbe anche l’industria italiana e futuri investimenti all’estero:

Con la vittoria dei no-triv avremmo il medesimo risultato: la distruzione di un’altra industria italiana, non tanto quella mineraria che non avrebbe difficoltà a spostare i suoi investimenti all’estero, ma quella che produce beni e servizi a essa strumentale. Un’industria che risale all’unità d’Italia, che si articola in centinaia di imprese raccolte in distretti dei servizi petroliferi, specie in Lombardia, Emilia-Romagna e Abruzzo, che vanta livelli di specializzazione tecnologica ovunque apprezzati, tranne che in Italia. Un’industria che già attraversa gravi difficoltà per il crollo del mercato che ha fatto seguito a quello dei prezzi del petrolio, con molte imprese che stanno chiudendo e licenziando, nell’assoluto silenzio della politica e delle istituzioni.

Per quanto riguarda l'”indipendenza energetica” è intervenuto Gianfranco Borghini, presidente del “Comitato Ottimisti e razionali“:

Per quanto concerne invece l’autonomia energetica è vero, non potremmo certo diventare autosufficienti. Ma la nostra autonomia  e sicurezza aumenterebbero di certo – meglio di poco che di nulla -, e va considerato anche che una filiera corta produrrebbe vantaggi in bolletta. Senza contare poi i riverberi in termini di investimenti e occupazione, che già oggi sono importanti. Non lo dico io, ma i numeri.

In quanto a numeri, ecco quelli riportati sempre da Borghini alla rivista Formiche:

Nel 2015, la produzione nazionale ha consentito di coprire il 9,1% dei consumi totali di petrolio in Italia e il 10,2% di quelli di gas con 11,1 milioni di tonnellate equivalenti tra olio e gas. Evitando il transito nei nostri mari di circa 85 super petroliere l’anno. Quasi 2 alla settimana. Circa 32mila lavoratori impiegati nel 2013 in progetti italiani suddivisi tra lavoratori diretti e indiretti e personale dell’indotto. Negli ultimi 30 anni, grazie alla produzione nazionale abbiamo evitato il transito nei nostri mari di una superpetroliera al giorno. Infine più di 1,5 miliardi di euro l’anno per investimenti in progetti e in Ricerca e Sviluppo. Mi limito a questi, ma l’elenco è ancora lungo.

Ecco quanto riportato dal Sole24Ore:

Una vittoria dei “sì” potrebbe produrre ricadute negative su un “made in Italy” avanzatissimo e altamente tecnologico nel mondo: il polo di Ravenna, con decine di imprese italiane e migliaia di persone, è leader nel mondo nelle perforazioni sia per tecnologia sia per qualità ambientale. Oltre a quelle che hanno già chiuso, lasciando senza lavoro centinaia di persone, il nuovo stop potrebbe far perdere all’Italia questa leadership di qualità e di tecnologia.

Ecco alcuni esempi di giacimenti a rischio posti dal Sole24Ore:

Quelli più coinvolti da un “sì” sono il giacimento Guendalina (Eni) nel Medio Adriatico, il giacimento Rospo (Edison) davanti all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) al largo di Ragusa. Quasi tutte le vecchie piattaforme – nei mari italiani ci sono 106 istallazioni per estrarre metano o petrolio – ormai hanno esaurito gran parte delle risorse che erano disponibili quando furono realizzate decenni fa, ma alcuni giacimenti sono ancora assai grandi.

In merito ai rischi ambientali, c’è da dire inoltre quanto riportato dal Sole24Ore:

L’estrazione di petrolio in Italia ha un minore impatto ambientale e minori emissioni rispetto all’estrazione condotta in Paesi remoti perché in Italia le leggi sono più stringenti, i controlli più accurati, le tecnologie più avanzate, la sorveglianza di magistratura e cittadini più pervasiva.

Inoltre l’estrazione vicino ai luoghi di consumo riduce le pesanti emissioni dovute al trasporto con le petroliere e riduce i rischi di un incidente rilevante o di un naufragio delle navi cisterna davanti alle nostre coste.

A parità di consumi petroliferi, lo sfruttamento dei giacimenti nazionali e la riduzione delle importazioni abbassa l’impatto ambientale globale e le emissioni di CO2, il gas accusato di cambiare il clima.

Al contrario, lo sfruttamento dei giacimenti nazionali e la riduzione delle importazioni avvicina a noi consumatori i rischi di inquinamento prodotti dal nostro stile di vita. Aumenta cioè il rischio che un incidente rilevante possa avvenire vicino a noi.

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