BUFALA Il kebab? Contiene carne di topo, gatto e cane – bufale.net

di Shadow Ranger |

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A volte ritornano le bufale più desuete. Come quella sul Kebab, un sempiterno evergreen che ricompare nella stagione turistica, quando la vita conviviale e l’aumento del tempo libero portano l’utente a mangiare all’aperto.

La bufala più in voga prevede che i kebab siano in realtà intrugli disgustosi di “carne di topo, gatto e cane”, venduti senza alcun controllo da novelli discendenti del Feroce Saracino e di Lucrezia Borgia l’avvelenatrice allo scopo di disgustare l’italico palato, sovente aggiungendo ad ulteriore condimento frammenti di denti ed ossa.

In primo luogo la fantomatica frase del vice ministro inglese Clegg sulla “Gravità del contenuto del Kebab” si palesa frutto di una astuta manipolazione, ovvero di un palese e plateale errore di traduzione.

La fonte originale, invenuta dai colleghi sul sito del Telegraph infatti non presenta Clegg affermare che il Kebab contenga elementi sconsigliati per il consumo umano (e sarebbe ben folle postulare che un ministro sia a conoscenza di un reato compiuto sul suolo patrio, ma faccia “spallucce” per motivi ignoti), ma, sollecitato a rispondere al quesito su cosa farebbe se scoprisse, per IPOTESI ACCADEMICA, che sul suolo Inglese siano commercializzati prodotti illeciti, ha replicato sostanzialmente che ciò sarebbe un atto ben grave, e deferirebbe la questione alle autorità preposte alla salute cittadina, ovvero “I’d be very concerned by that. I’d expect the health inspection authorities to look into this.” (“Ne sarei molto preoccupato. Mi aspetterei che le autorità preposte alla salute dei cittadini si occupino della vicenda”).

E’ quindi una risposta assolutamente neutra, che ricorda che, comunque, sia in Inghilterra che in Italia ogni negozio di alimentari è sottoposto a controlli di enti preposti, che da noi sono le ASL di riferimento, che in questo caso debbono occuparsi della provenienza, qualità e preparazione degli elementi impiegati nella preparazione.

Una lettura delle fonti proposte ci conferma inoltre che, pur non essendo il Kebab un alimento propriamente dietetico, un Kebab di dimensioni medie non supera i 100g, e quindi le 350 calorie che, a fronte di un fabbisogno giornaliero di 1990 calorie da parte di un uomo medio, rendono il Kebab un succedaneo di un pasto, al pari di un Big Mac o altri panini con carne.

A meno che non siate a dieta non abbiate bisogno di ridurre l’apporto di colesterolo e sale a causa di condizioni di salute, quindi un Kebab non vi farà correre alcun rischio.

Tutte le citate fonti inoltre citano la tesi della dottoressa Nencioni, che ha dimostrato come i maggiori venditori sul nostro suolo non possano che essere ligi e rispettosi delle citate normative e dei requisiti HAACP, fornendo quindi un prodotto rispondente sia alle esigienze di igiene connaturate al consumo umano, e sia al contenuto alimentare pubblicizzato, ovvero carni di pollo, vitello, tacchino o agnello, ma giammai topo, cane o altre carni sospette ed “esoteriche”.

Curiosamente, la tradizione italiana è piena inoltre di prodotti effettivamente composti di quello che chiameremmo “scarti” o “frattaglie”, come le cervella fritte citate nei testi di Guareschi come causa primaria dei furiosi mal di stomaco dello scrittore (mediante intermediazione della passione per il fritto umoristicamente attribuita alla sua consorte), il sanguinaccio di maiale, i rognoni… fino ad arrivare a piatti come i formaggi “Punti”, ovvero colonizzati da larve di Piophila Casei e per la cui tutela si combatte una battaglia legale per strapparli alle rigide norme comunitarie e consegnarli all’Olimpo dei marchi controllati, naturalmente coi doverosi controlli del caso.

E’ strano quindi che l’accusa di “essere fatti di frattaglie” investa solo il Kebab e, ove essa fallisca, venga interpolata da accuse decontestualizzate di utilizzo di carni di topo, cane ed altri animali non edibili.

Lungi dal voler reiterare il contenuto dei nostri predecessori, non possiamo che notare come la bufala del Kebab ha degli illustrissimi precenti, di identico contenuto ma di diverso bersaglio.

Analizziamo così le pagine di “Falsi giornalistici. Finti scoop e bufale quotidiane” di S. Casillo, F. Di Trocchio e ed S. Sica, quale alternativa alla memoria storica delle nostre nonne, le quali ben ricorderanno come l’oggetto del desiderio delle nostre madri massaie (la generazione degli anni ’60 dunque) coincideva con lo “strumento del male” della generazione delle loro madri (la generazione degli anni ’40), ovvero il dado da brodo e la carne in scatola.

L’ubiquitario dado da brodo, oggi strumento essenziale in ogni cucina, ha comportato in passato che fossero resi “inutili gli sforzi e l’impegno di qualche componente della famiglia per pervenire alla realizzazione di un <manufatto> destinato alla soddisfzione dello stesso bisogno a cui esso dà risposta senza comportare fatica o perizia particolari. Alla comparsa, così, dei dadi da brodo istantanei, della carne in scatola e dei detersivi in polvere fecero subito seguito voci che bollavano in modo negativo questi prodotti svelando segreti che ne scoraggiavano l’acquisto: i primi contenevano <materiale stercorario>, la seconda poteva essere costituita non solo da manzo ma da qualsiasi altro tipo di animale, cani rangagi compresi, quanto poi alle lavatrici ed ai nuovi detersivi, entrambi, fatalmente ed indistintamente, strappavano o rovinavano i panni”.

L’obiettivo di queste bufale era evidente: “diffamando” il dado da brodo e la carne in scatola si “castigava” la presunta scarsa volontà della donna degli anni ’60 di badare alla sua famiglia, lodando la massaia pronta a “spignattare” ai fornelli per ore per ottenere un risultato alla portata di ogni casa ed abbarbicandosi ad un ambiente “tradizionale” destinato al declino.

Il kebab oggi è un prodotto ubiquitario: non potendo il bufalaro convincere il suo pubblico a “rispettare la tradizione”, inventa e millanta autentiche operazioni di “contromarketing” per demonizzare ogni prodotto che si discosti dalla sua immagine tradizionale di consumo.

Il kebab diventa così un “elemento straniero” che spariglia e scompagina i “riti borghesi” cui il diffusore di bufale si è sempre connesso.

Come le massaie degli anni ’40 erano atterrite dal vedere le loro figlie produrre le prime timide scatolette di carne Montana, Simmenthal ed Exeter, o sciogliere un dado a loro sconosciuto nell’acqua per ottenere un gustoso brodo, prendendosi così del tempo per loro stesse, oggi, i loro discendenti vedono nel Kebab l’interruzione della “tradizione gastronomica Italiana”, ed anziché accettarlo come un alimento da fast food fra gli altri, lo diffamano nel disperato tentativo di aggrapparsi e ricondurre altri alla tradizione.

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