Arriva l’iBook, il primo “portatile per i giovani”

di Shadow Ranger |

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Arriva l’iBook, il primo “portatile per i giovani” Bufale.net

Il concetto di portatile abbiamo visto è esistituto, contando dal “trasportabile” senza batteria, almeno dagli inizi della storia dell’informatica di massa. Ma questo viaggio ci porterà nel 1999, vicini al limite in cui convenzionalmente finisce l’era del Retro, per mostrare il momento in cui Apple decise che il portatile sarebbe diventato un oggetto non solo comune, ma adatto ad un pubblico di ragazzi e studenti.

Arriva l'iBook, il primo "portatile per i giovani"

Arriva l’iBook, il primo “portatile per i giovani”

Il momento dell’iBook.

Riassunto delle puntate precedenti

Il primo portatile della casa fu il Macintosh Portable del 1989, un titano con Motorola 68000 a 16Mhz, display in bianco e nero ed un pacco batterie incorporato da quasi sette chili (la maggior parte del peso del prodotto) e necessario per avviare il Portable.

Infatti per risparmiare qualcosa sull’alimentatore Apple decise di distribuire alimentatori dall’amperaggio sufficiente a caricare la batteria e mantenerla operativa, ma non per attivare il disco fisso opzionale, alimentare il lettore floppy e avviare il computer. Se la batteria al piombo si fosse esaurita, il portatile sarebbe diventato un costoso fermaporte.

Apple ci riprovò con la serie dei PowerBook, più simili a portatili tradizionali e più leggeri e trasportabili, con alcune perle inedite a tutt’oggi in portatili moderni.

Powerbook G3 con accessori

Powerbook G3 con accessori

Ad esempio il PowerBook Duo poteva essere agganciato ad alcune “Dock”, variabili in dimensioni, che lo rendevano un vero e proprio computer fisso. Duo Dock era di fatto un case in cui incastrare il PowerBook chiuso in modo da trasformarlo in un Macintosh fisso, MiniDock e MicroDock un port expander da collegare sul retro nello stile delle unità multipresa moderne che collegate ad un MacBook consentono di avere accesso, a partire da una singola USB-C, a porte USB-A, HDMI, lettori di schede di memoria, un disco NVMe esterno ed una Ethernet.

I PowerMac G3 (Wallstreet, Pismo) sommarono al sistema delle PCMCIA Card, schede di espansione per i portatili dell’epoca, un sistema “a slot” che consentiva di sostituire al volo, tirando alcune levette di sgancio, la batteria e il disco floppy.

A seconda della configurazione avresti quindi potuto viaggiare in mobilità con due batterie, raddoppiando la durata, senza batterie e con un floppy disc e un lettore CD (lavorando a casa con tutte le unità), oppure scegliendo tra un lettore DVD, un lettore CD ed un lettore floppy e una batteria singola.

Ovviamente parliamo di prodotti professionali, anche nella loro fascia di prezzo più bassa c’era un mercato che non veniva toccato: quello non di professionisti e lavoratori, ma di studenti e hobbisti.

Arriva l’iBook

In una iconica scena del film americano comico ormai vintage La Rivincita delle Bionde (tratto da un omonimo romanzo del 2001), la protagonista femminile Elle Woods viene ritratta come una stereotipata “stupida oca bionda”, priva di cervello e scaricata dal fidanzato che le dice chiaramente di volere al suo fianco “Una Jacqueline Onassis e non una Marilyn Monroe” e che decide di dimostrare al mondo di essere più dello stereotipo vivente che sembra diventando una studentessa di legge brillante e poi un’eccellente avvocata (obiettivi in cui riesce, ma data la natura di commedia del film, dopo una lunghissima serie di tragicomiche avventure da superare).

In una delle scene più iconiche della generazione, durante una delle sue prime lezioni ad Harvard (nella primissima si era presentata infatti con carta e penna e abiti da “secchiona stereotipata” cercando di passare inosservata) Elle, circondata da studenti coi loro IBM Thinkpad, estrae un iBook color Tangerine, lo stesso che in una scena precedente viene vista comprare da un negozio di computer apposta col suo scatolone.

Apparizione del Tangerine in "La Rivincita delle bionde"

Apparizione del Tangerine in “La Rivincita delle bionde”

Si tratta ovviamente di un caso di product placement, ed anche assai beceroun po’ come nel Piccolo Grande Mago dei Videogames senza alcuna ragione apparentemente il cattivaccio comincia a vantarsi di quanto il suo Nintendo Power Glove (una delle più infami zozzerie prodotte dalla casa…) lo faccia sentire potente e tutti quanti alla fine si sfidino lieti ad una gara a Super Mario Bros. 3, gioco non ancora uscito.

Ma fatto oggettivamente meglio: a pensarci ha perfettamente senso che una aspriante studentessa del 2001 abbia comprato un iBook perché nel 1999 Steve Jobs stava pensando esattamente a lei come pubblico.

Ovvero il pubblico “nel mezzo”, dimenticato dall’informatica dell’epoca ma sul quale lo stesso Jobs aveva costruito le sue fortune in passato. Non così evoluto da giustificare l’acquisto di un PowerBook e di tutti i suoi accessori, comunque desideroso di avere qualcosa dell’ecosistema Apple, che avrebbe accettato la natura dell’iBook come oggetto di stile accessibile e che avrebbe potuto un eccellente compagno di studi senza “rompere il salvadanaio”.

Le origini del prodotto cominciano infatti nel 1999: Steve Jobs, come abbiamo visto col TAM, era tornato in tempo per i 20 anni di Apple nel 1997 decidendo che Apple avrebbe dovuto tornare al profitto.

Sostanzialmente nella sua visione Apple aveva ora troppi prodotti ed una linea confusionaria: spazzò via la babele comprendente varie linee come Quadra, Performa, LC, PowerBook e PowerMac e decise che ci sarebbero state solo quattro linee. Ovvero, ovviamente, computer desktop di lusso, computer portatili di lusso, computer desktop economici e portatili economici.

Un Tangerine ad Harward

Un Tangerine ad Harward

Arrivati al 1999 tre delle quattro caselle erano piene: avevamo un PowerMac, un PowerBook, avevamo l’iMac e restava una casella vuota. Gli analisti del settore prevedevano già che se al PowerMac seguiva il PowerBook, all’iMac (colorato all-in-one del 1998) avrebbe fatto seguito un “iBook”, la sua versione portatile.

Cosa che puntualmente arrivò al Keynote del 1999 di San Francisco, introdotto non a caso assieme alla Airport, tecnologia wi-fi introdotta proprio col nuovo prodotto portatile della compagnia (anche se furono rese disponibili schede Wireless da usare nei PowerBook dell’epoca).

L’iBook non aveva floppy drive e porte proprietarie: aveva una singola porta USB (poi divennero due, ma solo con un radicale mutamento di forma nelle generazioni successive), una porta modem standard (con modem incorporato), una porta Ethernet e un processore G3 a colore. Aveva come visto il pieno supporto per il Wi-Fi, ora standard in ogni portatile e console di gioco e all’epoca una novità tale da avere nelle presentazioni ufficiale gente pronta ad agitare il proprio iBook in aria per mostrare la comodità del navigare in rete senza rischiare di inciampare in cavi e cavetti.

L’iBook fu accolto con un malcelato shock: tutta una serie di soluzioni tecniche lo portarono ad essere inizialmente rifiutato da quella parte della comunità nerd per cui un computer deve essere una roba virile, ipermascolina e esteticamente gradevole come un pugno nelle gengive.

Dalla presentazione dell'Ibook: un iBook, e il suo utilizzatore, vengono lanciati su un trampolino mentre usano Internet

Dalla presentazione dell’Ibook: un iBook, e il suo utilizzatore, vengono lanciati su un trampolino mentre usano Internet

Articolisti anche di pregio come John Dvorak, tutt’ora in attività, si lanciarono in assurde sparate preannunciando il “futuro disastro” del “Computer della Barbie” e come nessun vero maschio avrebbe mai voluto essere associato ad esso.

A voler spezzare una lancia a favore di Jobs, ed una in testa a Dvorak, Dvorak era anche quello che aveva dichiarato che “nessuno sano di mente vorrà mai usare quella cosa chiamata Mouse” nel 1984 salvo poi cambiare idea nel 1987, nel 1985 aveva vaticinato come in base alla sua esperienza Steve Jobs sarebbe morto povero e pazzo venditore di chincaglieria di poco conto e che Apple non avrebbe mai avuto successo, nel 2006 decise di scagliarsi contro le licenze Creative Commons dicendo che avrebbero limitato la diffusione delle informazioni (quando facevano l’opposto) e, recidivo, nel 2007 definì l’iPhone un prodotto senza futuro che Apple avrebbe dovuto immediatamente smettere di vendere perché nessuno avrebbe voluto avere uno Smartphone in casa e il futuro era “Dei Nokia e dei Motorola”, nel 2010 Apple sarebbe (aridaje) fallita a causa degli iPad e nessuno avrebbe mai più voluto comprare tablet in generale e nel 2018 pubblicherà un articolo nel quale dichiarerà di essere stato licenziato da PCMAG per riportato le voci critiche sul 5g dichiarando che i “dubbi sulla sicurezza dello stesso” avrebbero potuto impedire la tecnologia.

Sostanzialmente, col senno di poi, se un Dvorak ti dice che il tuo prodotto non avrà successo, quello è il momento adatto per venderlo.

E nonostante l’iBook fosse tutto quello che i “nerd vecchia scuola odiavano” e lo sprezzante articolo di Dvorak fosse l’edizione scritta della scena di Elle Woods vestita di rosa pastello che estrae un iBook Tangerine circondata da austeri aspiranti principi del foro coi loro Thinkpad neri e autsteri come un funerale, furono proprio le parti sconcertanti a rendere l’iBook speciale.

La forma a “tavoletta del cesso della Barbie” richiamava infatti gli inserti colorati e trasparenti dell’iMac, il “prodotto padre”, il computer fisso, e le forme larghe e stondate, unite al fatto che l’iBook aveva prestazioni inferiori ai PowerBook della stessa tipologia lo rendeva resistente al surriscaldamento e resistente alle cadute accidentali.

Oggi siamo abituati a trasportare i nostri laptop in valigie e zainetti, magari dopo averli inseriti in una custodia morbida, magari dopo averli incastrati in una custodia protettiva di plastica rigida.

Presentazione ufficiale del "maniglione"

Presentazione ufficiale del “maniglione”

Ieri l’iBook aveva un maniglione sul retro e poteva essere trasportato così, a modo di borsetta o valigetta, con la sua stessa maniglia.

Al contrario dei precedenti PowerBook non aveva sportellini e sportelli, né fibbie di chiusura. La cerniera del monitor era abbastanza stabile da chiudersi da sola, USB ed Ethernet non richiedevano gusci e l’aspetto dell’iBook era sufficiente perché non vi fosse bisogno di cover.

Al lancio l’iBook G3 fu offerto nei colori Mirtillo e Tangerine, seguiti dal Grafite. Facendo virtù di quello che gli hater criticavano, Steve Jobs reintrodusse il concetto di limited edition che ai giorni nostri sarebbe tornato per le console di gioco: quando nel 2000 apparve una seconda generazione dell’iBook dotata di porta Firewire, la lista di colori divenne di cinque: Mirtillo, Tangerine, Grafite, Indaco e color Lime, ma il color Lime era disponibile solo per gli acquisti Online.

Ricordiamo che era il 2001, e Steve Jobs, fischiato in presentazione, si limitò a dire “Che c’è, non vi piace comprare online?”, scommettendo, e vincendo, su una delle altre abitudini del consumatore del futuro.

Cosa aveva introdotto l’iBook

L’iBook era anni luce più distante rispetto a tutto quello che c’era stato fino a quel momento, compresi i PowerBook. Certo, sacrificava in prestazioni, ma molti dei tratti dei computer successivi, come gli attuali MacBook era già lì.

I PowerBook avevano perlopiù porte I/O sul retro, coperte da uno sportellino facile da rompere o perdere. Come i portatili moderni, l’iBook le aveva sui lati.

Aveva il linguaggio estetico e cromatico degli anni ’90 appena trascorsi, con una plastica colorata e personalizzata, ma aveva anche alcune soluzioni che in futuro avremmo associato alla Apple “peggiore”.

L'iBook G4, il successore

L’iBook G4, il successore

Non esisteva un “right to repair” sull’iBook: solo RAM e scheda WiFi erano facilmente sostituibili, e sostituire il disco fisso richiedeva rimuovere un gran numero di viti, mentre per capirci sul PowerBook si poteva arrivarci dalla tastiera removibile.

Ma del resto, l’età del “ripara fai da te” era finita: contrariamente a quanto pensasse Dvorak, non tutti gli utenti dell’iBook erano “ragazzine”, ma la maggior parte degli utenti erano quelli che già nel 1999 volevano usare il computer come oggi usiamo il cellulare: un device già pronto per tutto quello che gli serviva, nel quale non era richiesta alcuna manutenzione né sarebbe stato necessario farlo.

Gli iBook erano infatti noti per la loro solidità, e sia pur dismessi nel 2001 gli iBook originali furono in grado di supportare le prime versioni di OS X (fino alla 10.3 la prima generazione, fino alla 10.4 la seconda).

Il futuro

Nel 2001 una nuova generazione di iBook si avvicinò esteticamente al PowerBook, con entrambi che adottarono forme squadrate e tradizionali, abbandonando l’estro della “tavoletta del cesso della Barbie” del passato, ma i PowerBook migrarono verso una struttura in alluminio e gli iBook verso il policarbonato, per poi arrivare coi Macbook ad una unificazione dei linguaggi estetici delle linee Pro e classic e l’attuale unificazione di entrambe le linee nel solo Macbook.

Prodotto che ha molto in comune a livello genetico con le soluzioni introdotte nell’iBook e che secondo alcuni non avrebbero avuto un vero futuro.

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