PRECISAZIONI Il salvataggio delle 4 banche e i legami tra Etruria e la ministro Boschi – Bufale.net

di David Tyto Puente |

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Consiglio dei Ministri e le 4 banche

Il Consiglio dei Ministri tenutosi domenica 22 novembre 2015, numero 93, venne convocato alle ore 18:00 per discutere del Decreto legge ‘Disposizioni urgenti per il settore creditizio’ (DECRETO-LEGGE 22 novembre 2015, n. 183), consultabile dal sito Gazzettaufficiale.it. L’incontro si è concluso alle 18:33.
L’obiettivo del Consiglio dei Ministri è ben chiaro dal comunicato stampa:

Il Consiglio dei ministri si è riunito oggi, domenica 22 novembre 2015, alle ore 18.10 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Claudio De Vincenti.
Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell’economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan, ha approvato un decreto legge che contiene alcune norme procedimentali volte a agevolare la tempestiva ed efficace implementazione delle procedure di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A, Banca delle Marche S.p.A, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti S.p.A. Il provvedimento consente di dare continuità all’attività creditizia – e ai rapporti di lavoro – tutelando pienamente i correntisti.

Come funziona il “salvataggio”?

Vengono “create” quattro banche definite “buone”, appositamente commissariate, con all’interno i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie, che dovranno essere vendute nel minor tempo possibile, intanto viene creata una “cattiva” a cui “sbolognare” i crediti difficili dei quattro istituti, per un valore di 8 miliardi circa che verranno svalutati a 1,5 miliardi. Un’operazione che ricorda la “bad company” di Alitalia e Parmalat.
A fornire le risorse necessarie per parte dell’operazione (1,7 miliardi per la copertura delle perdite, 1,8 miliardi per la ricapitalizzazione e 140 milioni per la “bad bank”) è il “Fondo di risoluzione nazionale”, istituito dal D.Lgs. n. 180/2015, gestito dalla Banca d’Italia (ove sono anche temporaneamente istituite le rispettive sedi legali) e sostenuto dai tre maggiori gruppi bancari italiani: Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi. Un fondo interbancario che inizialmente l’Unione Europea bollava come una sorta di aiuto di Stato.
Nel comunicato stampa del Governo è stato dichiarato che non si tratta di un aiuto di Stato e che non si farà seguito al cosiddetto “bail in” (utilizzando i fondi di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100.000 euro):

Il decreto legge non prevede alcuna forma di finanziamento o supporto pubblico alle banche in risoluzione o al Fondo nazionale di risoluzione. Inoltre, in piena conformità con quanto previsto dal d.lgs. 180/2015, i provvedimenti di avvio alla risoluzione non prevedono il ricorso al bail-in.

In seguito al decreto l’Unione Europea ha dato il suo ok all’operazione:

La Commissione europea ha approvato, in quattro decisioni distinte, i piani di risoluzione di quattro banche italiane conformemente alle norme UE sugli aiuti di stato. L’intervento del fondo di risoluzione dell’Italia consentirà l’ordinata risoluzione delle banche preservando la stabilità finanziari.

Ecco quanto dichiarato dal commissario europeo Margrethe Vestager nel comunicato emesso dalla Commissione UE:

Le decisioni della Commissione consentono l’uscita ordinata delle banche, riducendo al minimo l’uso dei fondi pubblici e le distorsioni della concorrenza derivanti dalle misure. È’ cruciale che siano azionisti e creditori subordinati a farsi carico dei costi e delle perdite dei fallimenti bancari piuttosto che i contribuenti. Accolgo inoltre la decisione dell’Italia di usare gli strumenti di risoluzione bancaria per la prima volta in Italia, in modo di far fronte alla situazione di queste banche dissestate preservando la stabilità finanziaria.

Questa citazione, “riducendo al minimo l’uso dei fondi pubblici”, ha comunque scatenato polemiche siccome viene sostenuto un uso minimo di fondi pubblici, ma di questi non se ne ha al momento traccia. Anche la critica Adusbef, l’Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari Finanziari Postali e Assicurativi di cui è presidente Elio Lannutti, nega la presenza di fondi pubblici:

Il decreto, emanato ai sensi del D.Lgs. n. 180/2015, ha evitato il ricorso a fondi pubblici ed ha preservato i diritti di correntisti, depositanti e titolari di obbligazioni ordinarie, ma ha disposto l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche.

Il dubbio riguarda la mancata copertura di tutte le somme dovute per il salvataggio delle banche. In sostanza, i primi a pagare saranno gli azionisti e i possessori di obbligazioni subordinate (strumenti di investimento più esposti al rischio di impresa), mentre il restante verrà pagato dal Fondo di risoluzione. Se tutto ciò non bastasse dovrà intervenire la Cassa Depositi e Prestiti (società per azioni a controllo pubblico). Questa garanzia venne resa pubblica in seguito alla pubblicazione del decreto in diversi comunicati stampa tra cui quello di Intesa Sanpaolo (link diretto ad Intesa Sanpaolo e comunicato scaricabile da Bufale.net), ma non dal Governo.
Si potrebbe dire, quindi, che al momento il ricorso ai fondi pubblici è evitato, ma se ce ne fosse bisogno la somma mancante verrebbe coperta dal Cdp.
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