BUFALE sul fascismo e credenze storiche – bufale.net
A volte ritornano diverse bufale relative al Fascismo. Bufale vecchie, vecchissime: risalenti alla caduta di Salò, ed al tentativo di mitizzare un’epoca che luminoso aveva ben poco.
La tredicesima mensilità attribuita al Duce? Un mero errore di continuità temporale: negli anni ’30 fu introdotta nel solo CCNL Industria la tredicesima mensilità, vista all’epoca come sacramentalizzazione del pre-esistente uso di diversi datori di lavoro di elargire un dono ai propri operai non occasione delle festività.
Il Fascismo introdusse il concetto di CCNL, ma “addomesticato” in funzione corporativistica (cercando di superare la c.d. “lotta di classe” con la distruzione del sindacato, anziché con la parificazione lavoratore-capitale), ma fu solo DOPO la caduta del fascismo che le mensilità aggiuntive come noi le conosciamo divennero appannaggio di tutti i lavoratori e non solo di pochi fortunati, rispettivamente con l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946 e per tutti i lavoratori dipendenti a decorrere dal D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070: testi, evidentemente, di molto successivi alla morte di Mussolini.
Per quanto attiene l’edilizia popolare invece le molte buone intenzioni del Regime naufragarono miseramente nella dicotomia tra interventi legati alla costruzione di nuove abitazioni residenziali e quella relativa alla creazione di alloggi popolari, creando un divario tra i ceti medi, favoriti, ed i ceti proletari, evidentemente sfavoriti.
Una lettura attenta dei testi dell’epoca, che riporteremo per chiarezza ma alla cui lettura rimandiamo ( http://www.reportonline.it/Cultura/la-politica-edilizia-dai-fascisti-alla-dc-fino-ai-nostri-giorni.html ), ci porta ad un grande paradosso: nell’età fascista venivano demoliti più edifici di quanti ne venissero costruiti, e se i ceti abbienti potevano così permettersi le case di nuova edificazione, ai proletari non restava che la “fuga” verso le campagne, diventando così vessata manodopera per i grandi e fallimentari piani agricoli del Fascismo, come la “Battaglia del Grano” e la colonizzazione di Latina.
I lettori meno giovani ricorderanno dal catechismo la storia di Santa Maria Goretti, povera fanciulla cresciuta in umile famiglia di agricoltori, buona e retta nonostante una vita di stenti, vittima della lussuria del proprio vicino: ciò che viene omesso è che proprio la “fuga dalle città” e la divisione classista menzionata nell’estratto di cui di seguito portavano i ceti abbienti a risiedere nelle città ristrutturate ed i proletari a dover riparare in colonie improvvisate, vivaio di simili fenomeni di triste povertà ed aberrante delinquenza. In sintesi è corretto affermare che il Fascismo, nelle sue politiche abitative, era così “proiettato nel futuro” da compiere un loop completo e reiterare stilemi e politiche abitative dell’immediata epoca post-unitaria, riportando in auge la medesima forzosa divisione tra una ruralità condannata al disagio ed al degrado ed una cittadinanza con accesso ai vantaggi della nuova edilizia urbana.
“Come scrive Bortolotti, grazie a questa politica si forma un blocco immobiliare-edilizio di tipo nuovo, “una proprietà imprenditrice che riesce a percepire la rendita, scaricandola sugli acquirenti delle case, coi vantaggi inestimabili di liberarsi della tradizionale, odiosa, veste del ‘padrone di casa’, e di aver di fronte a sé non degli avversari di classe, ma degli aspiranti alla proprietà, inconsapevoli dello sfruttamento che gravava su di loro”. Una politica che si traduce in una divisione classista delle città, con lo spostamento dei proletari verso la periferia estrema o addirittura al di fuori della città, la piccola borghesia nei quartieri intermedi e la borghesia nel centro. Si hanno così i grandi sventramenti dell’epoca fascista, operazioni che Bortolotti definisce efficacemente “operazioni retorico-finanziarie nei centri urbani”: a Milano, la città italiana maggiormente colpita, in soli quattro anni, tra il 1927 e il 1931, sono stati demoliti 110.000 vani, mentre dal 1922 al 1937 sono stati rasi al suolo fabbricati per un totale di 3 milioni di metri cubi. Negli stessi anni il credito immobiliare triplicava e l’ammontare complessivo dei mutui ipotecari raddoppiava. Spinti dal caro degli affitti, gli italiani e i milanesi si sono indebitati per decenni finanziando la speculazione edilizia: un fenomeno che ci è perfettamente noto ancora in questi giorni. Da parte sua l’industria edile era a bassa incidenza di capitale e alta di manodopera: quest’ultima incideva per il 35% per le case popolari e per il 45% per quelle di classe media e alta, rispetto a un peso del 10% nelle altre industrie. Durante il fascismo il business dell’immobiliare si concentra sempre più a Milano: se nel 1916 il capitale delle immobiliari era concentrato per quasi il 60% in Lazio e per circa il 25% in Lombardia, nel 1932 la situazione era opposta, con il 53% in Lombardia e il 25% in Lazio.”
E’ pur vero, infine, che il Fascismo ebbe grande attenzione alla sanità pubblica, ma attenzione, ciò avveniva sempre in ottica di Regime.
Sostanzialmente il Fascismo aveva bisogno di una macchina bellica efficiente e di una forza lavoro funzionale. A tal scopo, si badi, non inventò “dal nulla” l’assistenzialismo, dato che già secondo la legge 603/1919 erano stati istituiti in Italia assicurazione di invalidità e vecchiaia ed istituita una Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali, ma ristrutturò la macchina assistenziale in funzione accentratrice (abolendo, ad esempio, per mezzo del del Regio Decreto Legge 2051/1926 ogni sorta di assicurazione privata), cercando di tamponare la pandemia turbercolotica con l’istituzione di una Assicurazione Sociale Obbligatoria e ristrutturando, a partire dal 1933, la CNI in INFAIL (odierna INAIL).
E’ evidente come, anche in questo caso, il Fascismo non scoprì niente, ma non potè far altro che proseguire lungo un solco già tracciato, irregimentando istituti già esistenti in nuce e subordinandoli al suo apparato statale.
Si consiglia inoltre la consultazione di questo testo per smascherare altre bufale, tese a dimostrare quanto poco il Fascismo si accostasse all’età d’oro descritta dalle macro su Internet.
AGGIORNAMENTO DEL 18/09/2014
Noto una replica ad un pezzo recentemente ospitato su Bufale.net a firma del sottoscritto.
Le repliche sono sempre bene accette. Le repliche aiutano a crescere e maturare, non vi è vergogna nell’ammettere l’errore.
Lo scrivente ritiene doverose solo alcune piccole precisazioni, comunque imparando da quest’esperienza a crescere e maturare.
Tutto nasce da una frase, probabilmente ostica ed infelice di senso, ovvero “I lettori meno giovani ricorderanno dal catechismo la storia di Santa Maria Goretti, povera fanciulla cresciuta in umile famiglia di agricoltori, buona e retta nonostante una vita di stenti, vittima della lussuria del proprio vicino: ciò che viene omesso è che proprio la “fuga dalle città” e la divisione classista menzionata nell’estratto di cui di seguito portavano i ceti abbienti a risiedere nelle città ristrutturate ed i proletari a dover riparare in colonie improvvisate, vivaio di simili fenomeni di triste povertà ed aberrante delinquenza”
Ho ricevuto un primo commento in cui mi si faceva notare che “La Goretti è morta nel 1902, quando Mussolini aveva 19 anni. Poi eventualmente spiegate il rapporto tra i due. Sempre che non vogliate autobufalizzarvi. Saluti.”
Effettivamente, ciò mi ha aiutato a comprendere che la formulazione della frase, da me intesa come un paradigma degli effetti del “ritorno alla ruralità”, ovvero la presentazione di una situazione nella storia Italiana che dimostra come la pressione verso il “ritorno alla campagna” non porti gli edenici frutti che ancora in età fascista (e sovente, anche in età moderna) ci si prefissa, poteva essere intesa come un plateale errore temporale.
Ho così ringraziato il commentatore e semplicemente integrato il pezzo “In sintesi è corretto affermare che il Fascismo, nelle sue politiche abitative, era così “proiettato nel futuro” da compiere un loop completo e reiterare stilemi e politiche abitative dell’immediata epoca post-unitaria, riportando in auge la medesima forzosa divisione tra una ruralità condannata al disagio ed al degrado ed una cittadinanza con accesso ai vantaggi della nuova edilizia urbana.”, ringraziando per il feedback ricevuto.
Il feedback si è poi traslato in un articolo su un ulteriore blog.
Ho riscontrato anche lo stesso, era doveroso farlo. Ed utile. Utile per voi e per me stesso.
1. Sul punto 1, ritengo di essere a conoscenza che Milano sia in Italia, come a conoscenza del fatto che, oggi come allora, sia stata una città piagata dal fenomeno della speculazione edilizia. Fenomeno che sembrava doveroso evidenziare. 2. Sul punto 2 mi chiedo cui prodest discettare della solidità degli edifici, appurato che il punto dell’articolo non era certo lodare o condannare l’edilizia fascista dal punto architettonico funzionale, né esprimere giudizi sull’architettura moderna. Ma solo chiedersi quanti Italiani avessero, effettivamente, “ricevuto una casa” come la bufala inferiva
Anche il “rutilante Poutpourri di leggi” assolve un preciso ruolo, essendo solo un inciso in una frase principale. Ovvero “ristrutturò la macchina assistenziale in funzione accentratrice”: la menzione consente al curioso di poter ricercare in autonomia la fonte, al lettore occasionale di poter, semplicemente, passare oltre.
Quanto alla 13^ mensilità, ciò che si nega è la mera tautologia “introdotta da Mussolini”: ritengo che l’articolo sia chiaro nel precisare che ancora prima di Mussolini fosse uso fornire doni ed elargizioni agli operai in corrispondenza del Natale, introdotti, per SOLO UNA CATEGORIA DI LAVORATORI, ovvero i “fortunati” del comparto industria, open legis e solo dopo il fascismo stabilita in forma univoca per tutti.
Ritengo: ma le opposizioni fornite mi fanno ritenere di poter lavorare sulla formulazione del mio pensiero.
E ciò sarà fatto, e le correzioni debitamente segnalate, come è stato fatto con la nota sul'”esempio Goretti”, già inserita nelle repliche al commentatore che mi ha fatto notare l’astrusa formulazione del pensiero.
Ringraziando tutti per la stima concessa e per il tempo preso nel rendermi edotto delle criticità, prometto di lavorare sullo stile e sulla forma, senza bisogno del pungolo delle “precedenti revisioni”: ogni errore sarà sempre da me ammesso e discusso, ed ogni passo falso mi aiuterà a crescere.
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