Perché condire la merenda con l’acqua di mare potrebbe costarvi caro
È un mesetto, dall’apparizione di un video virale (che non intendiamo mostrarvi, lo conoscete già e non vogliamo contribuire alla sua viralità) che sui social è apparsa una pessima, pessima abitudine pubblicizzata come un rito antico.
La “frisella all’acqua di mare”, passata in diretta dal 1800 alle challenge virali. E diciamolo, se già nel 1800 non era una botta di salute, nel 2023 tra scarichi fognari, combustibile di automobili, batteri e microplastiche si fa prima a pucciare il proprio cibo in un tombino aperto.
Perché condire la merenda con l’acqua di mare potrebbe costarvi caro
Nonostante la Convenzione di Londra del 1975, introdotta per cercare di limitare l’inquinamento di mari e oceani, la situazione marina attuale è molto diversa da quella dell’800.
La “frisella”, un grosso tarallo di grano duro nasce come alternativa alle gallette e simili alimenti usati dai marinai di tutto il mondo. Prodotti di panificazione biscottati, cotti fino a privarli di ogni forma di umidità in modo da renderli in grado di resistere alla muffa e inedibili da parassiti vari.
Liberando il marinaio, spesso in mare per mesi senza possibilità di approvigionarsi di cibo fresco, dal rischio di mangiare cibo ammuffito e contaminato, ma lasciandolo col problema di dover masticare qualcosa dalla consistenza di un pezzo di cemento.
Una soluzione era bagnarlo con abbondante acqua o, per non intaccare le razioni di acqua dolce, usare l’acqua marina, che peraltro secondo la volgata aggiunge sapidità.
Ma come vedete, siamo nella versione alimentare dei “Jugaad”, i video virali di abitanti dei paesi emergenti che, non avendo soldi e risorse, costruiscono dai rottami con ingenuità oggetti di cui hanno bisogno per lavorare e vivere (mobili, piccoli trattori…) imitati da annoiati e viziati hipster che rischiano la pelle riproducendo quegli oggetti come “life hack”.
In realtà una persona che ci tiene alla salute ed ha a disposizione un posto dove cucinare non dovrebbe aver bisogno di ammollare prodotti della panificazione biscottati nell’acqua salata.
In primo luogo perché la sola acqua salata è inadatta per il consumo umano. Noi esseri umani siamo costruiti per bere acqua allo scopo di liberarci del sale in eccesso.
Troppo poco sale nel nostro organismo ci uccide. Troppo sale ci uccide. Una frisella forse non ci ucciderà per il troppo sale, ma contribuisce a farci ingerire più sale di quello che serve.
Ma il problema non è solo nel sale.
Già il marinaio del 1800 sapeva che la scelta era tra mangiare cibo lurido e non tecnicamente batteriologicamente puro e mangiare cibo pulito e non tecnicamente batteriologicamente puro, dato che l’acqua di mare può ospitare batteri già al naturale che sconsigliano l’ingestione.
Batteri a cui, nel passaggio da una locomozione perlopiù a vela ad una a motore, e dal passaggio da una economia preindustriale ad una industriale possiamo aggiungere scarichi di combustibile delle barche, scarichi fognari, rifiuti industriali, detriti, microplastiche e immondizia di ogni tipo proveniente dalle attività antropiche sulla costa.
Riassumendo, state ingerendo una quantità assurdamente alta di sale, superiore ad ogni quantità consigliata, unitamente ad una quantità sconosciuta ma elevata di patogeni, inquinanti e detriti pari a leccare l’interno di un tombino perché vi sembra virale farlo.
E per favore, non fate una cosa né l’altra.
L’alternativa
Se proprio volete provare la “frisella all’acqua di mare”, e promettete di limitare il sale nel resto della vostra dieta allo scopo di evitare le conseguenze di una dieta ipersodica, anche da piccoli produttori italiani con negozi su Amazon sono disponibili boccioni di acqua di mare purificata.
C’è sempre sale in abbondanza, quindi usatene con moderazione ed in una dieta sana, ma almeno non troverete tutto il complesso di inquinanti che potrebbero, nella migliore delle ipotesi, inchiodarvi sulla tazza del cesso per giorni.
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