L’Italia chiuse le scuole del Sud per 15 anni e falsificò i plebisciti (e altri complottismi)

di Bufale.net Team |

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L’Italia chiuse le scuole del Sud per 15 anni e falsificò i plebisciti (e altri complottismi) Bufale.net

Ci risiamo: avevamo predetto un ritorno delle pseudoscienze, e torna anche la pseudostoria, in questo caso un certo revisionismo NeoBorbonico che riscrive la Storia stessa “arricchendola” di eventi inesistenti, apertamente smentiti quando non comprovabili.

L'Italia chiuse le scuole del Sud per 15 anni e falsificò i plebisciti (e altri complottismi)

L’Italia chiuse le scuole del Sud per 15 anni e falsificò i plebisciti (e altri complottismi)

Sostanzialmente e riassumendo l’enorme walltext possiamo dividerlo in tre parti fondamentali: nella prima viene tracciato un profilo storico del Regno delle Due Sicilie, nella seconda viene descritta l’immagine delle Nazioni del Mondo, tra cui l’Inghilterra, che complottano per distruggere un glorioso impero, e nella terza, che sarà oggetto dell’indagine, viene detto che tale strumento è stato ottenuto falsificando i plebisciti di annessione e privando il meridione delle scuole per quindici anni per avere una generazione sottomessa ed ignorante.

Specialmente quest’ultima nozione è un cavallo di battaglia della pseudostoria neoborbonica più vecchio di Internet e di cui ci siamo occupati più volte anni fa.

Evidentemente, repetita juvant.

Sul voto

Riportiamo quanto descritto dall’Enciclopedia Treccani

Nonostante il loro carattere di voto adeliberativo senza alternativa e il controllo esercitato direttamente o indirettamente su di esse dalle élites liberal-costituzionali monarchiche, le consultazioni popolari di unificazione del 1860, del 1866 e del 1870 costituiscono per le classi popolari una significativa occasione di accelerato e diffuso apprendistato politico, e – più in generale – una pagina fondamentale del processo unitario inteso come «movimento di massa» secondo la lettura analitica suggerita dalla nuova storiografia risorgimentistica, sia nella sua declinazione critica (Banti, Ginsborg 2007) sia nella sua versione classica (Isnenghi, Cecchinato 2008).

Su una popolazione di 6 milioni e mezzo di abitanti sul continente, furono dunque 1.650.000 circa gli iscritti nelle liste elettorali, mentre in Sicilia, con 2.232.000 abitanti, gli iscritti furono 575mila. A votare, sul continente, saranno 1.312.366 (il 79,5%), e i voti favorevoli saranno 1.302.064 (99,21%) contro i 10.302 contrari (0,79%). In Sicilia, su 432.720 votanti (75,2% di affluenza), saranno invece 432.053 i favorevoli (99,85%) e 667 i contrari (0,15%).

Da subito il Referendum fu oggetto di contestazioni, dall’accusa di “voti multipli” dei garibaldini fino alle critiche sulla scarsa consapevolezza dell’elettore e presunte manipolazioni. Alla fine della fiera nessuna fu comprovata e il processo di unificazione andò avanti.

Se oggettivamente dobbiamo ammettere sono registrati dubbi sulla tenuta del voto, nessun dubbio invece c’è sulla chiusura delle scuole. È un falso storico.

La presunta chiusura delle scuole per 15 anni

In realtà raggiunta l’unità di Italia, come abbiamo visto in passato, il Regno di Italia ereditò la Legge Casati del 1859, introdotta senza soluzione di continuità

In parole povere, la Legge Casati entrò immediatamente in vigore dal 1861 innanzi nei nuovi confini patri, senza comportare alcuna chiusura delle scuole, ma con una serie di problematicità percepite in tutte le aree povere e rurali, non già in un idilliaco ed edenico Meridione superiore.

Come potete vedere dallo schema, la Legge Casati nasceva da una suddivisione classista, di cui l’Italia non si libererà prima del 1977 per cui lungi dall’essere una semplice questione di preferenza come adesso, la distinzione tra licei e istituti tecnici era essenziale ed ineludibile.

Si demandava, sostanzialmente, al genitore di un figlio ancora bambino la scelta tra iscriverlo al Ginnasio, quindi consentirgli l’accesso all’Università ed alle professioni intellettuali, oppure scaricarlo nella Scuola Tecnica, condannandolo a non poter mai accedere all’istruzione superiore moderna e quindi scaricandolo nel mondo del lavoro come operaio qualificato passati i quindici anni, se non discostandosi di poco dalle proprie origini operaie o contadine: quando andava bene.

Siamo bene a conoscenza dell’attitudine del popolo Italiano, allora come adesso, a disprezzare le leggi se non posto dinanzi alle sanzioni: la Legge Casati, frutto di un impianto sostanzialmente borghese e classista, demandò alla successiva normativa l’enunciazione di norme attuative di sanzioni indicate solo in astratto e non in concreto per ostacolare l’abbandono scolastico.

Di fatto, creando una situazione (perdurata per oltre un secolo e diverse riforme normative: al riguardo si consiglia la lettura di Rosso Malpelo o Padre Padrone) in cui un padre di famiglia rurale poteva benissimo decidere di preferire crescere un figlio nell’analfabetismo totale per mandarlo, ancor bambino, in miniera o a fare il pastore prediligendo una fonte di reddito al fornire alla sua prole quantomeno la minima educazione senza pagar alcun dazio.

Aggiungendo a questo scenario di desolazione culturale il fatto che spesso i comuni più poveri non potevano permettersi il mantenimento di una scuola, e che gli abitanti più poveri di tali comuni non potevano permettersi, o non volevano affatto, sobbarcarsi l’onere di mandare i propri figli in una scuola lontana per ottenere un’istruzione che non ritenevano necessaria per una vita da operaio o pastore, l’abbandono scolastico spesso toccava vette del 95% nei comuni meridionali arretrati anche in presenza di istituti scolastici aperti.

Un tentativo di migliorare la situazione si ebbe solo diversi anni più tardi, con la legge 15 luglio 1877 n. 3961 (Legge Coppino) che, finalmente, introdusse sanzioni esplicite per chi disattendeva l’obbligo

Art. 4. L’ammenda è di centesimi 50, ma dopo di essere stata applicata inutilmente due volte, può elevarsi a lire 3, e da lire 3 a 6 fino al massimo di lire 10, a seconda della continuata renitenza.

L’ammenda potrà essere applicata in tutti i suoi gradi nel corso di un anno; potrà ripetersi nel seguente, ma cominciando di nuovo dal primo grado.

Accertata dal sindaco la contravvenzione, il contravventore è sempre ammesso a fare l’oblazione, ai termini degli articoli 148 e 149 della legge comunale vigente. In caso diverso, la contravvenzione è denunciata al pretore che procede nelle vie ordinarie.

E dovere delle autorità scolastiche promuovere le ammonizioni e le ammende. Un regolamento stabilirà le norme per l’applicazione e la riscossione dell’ammenda.

Anche così però l’obbligo scolastico fu costantemente disatteso: la sanzione infatti dipendeva, come da successivo articolo 5, da una notifica mensile da parte del maestro degli alunni assenti e le spese di gestione, comprendenti tale onere, erano messe a carico dei comuni.

Come prevedibile, prevalse un vivi e lascia vivere in cui il rurale impoverito decideva, ancora una volta, di ignorare il rischio dell’ammenda (avendo peraltro ben poco da perdere) e destinare suo figlio all’ignoranza ed all’abbrutimento ritenendo ciò prevalente rispetto all’autosufficienza economica del nucleo familiare.

Tutto questo portò ad un perdurare, nonostante l’obbligo e l’apparato sanzionatorio, dell’analfabetismo e dell’abbandono scolastico: ancora nel 1882 la percentuale di analfabeti di età superiore ai 6 anni, quindi tecnicamente coperti dall’obbligo scolastico, era del 54% nel Veneto, del 32% in Piemonte, del 44% in Liguria e dell’85% in Basilicata e Calabria

Lo Stato non cessò mai la battaglia contro l’abbandono scolastico: dapprima la Legge Orlando del 1904 elevò l’obbligo scolastico sino agli anni dodici e poi la Legge Daneo-Credaro sottrasse ai comuni (salvo quelli di consolidata tradizione e comprovate risorse) la gestione delle scuole elementari ed istituendo provvidenze per gli alunni capaci e meritevoli, ma fu ostacolata dall’essere entrata in vigore solo nel 1911, a pochi anni dal Primo Conflitto Mondiale.

Di lì a poi, la storia degli Ordinamenti Scolastici ha subito una ricca ed importante evoluzione, che faticosamente ci ha portati agli standard attuali.

Possiamo quindi affermare che anche questa nozione è una bufala, un tentativo di revisionismo malfatto e malriuscito, dimostrando che nel meridione non solo le scuole rimasero aperte, ma di riforma in riforma la battaglia contro l’abbandono scolastico non si è mai arrestata.

Conclusione

Se ci sono stati molti dubbi ma nessuna certezza sulle presunte irregolarità nel voto sull’Unità nazionale, nessun dubbio vi è sulla presunta “chiusura delle scuole”. Essa è un falso storico.

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