La sindone e il nuovo studio che la riporta dove è sempre stata: nel Medioevo

di Fabio De Bunker |

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La sindone e il nuovo studio che la riporta dove è sempre stata: nel Medioevo Bufale.net

Non si tratta, a voler essere onesti, di una scoperta sconvolgente, né tantomeno del colpo di scena finale che manda i titoli di coda su una lunga indagine poliziesca.

È piuttosto l’ennesima, solida, metodica conferma di ciò che la comunità scientifica (quando non intimidita dal timore di urtare sensibilità religiose) va ripetendo da decenni con pazienza quasi evangelica: la Sindone di Torino non ha mai avvolto un corpo umano.

La sindone e il nuovo studio che la riporta dove è sempre stata: nel Medioevo

La sindone e il nuovo studio che la riporta dove è sempre stata: nel Medioevo

Non Gesù di Nazareth, non un ladro crocifisso, non un malcapitato medievale utilizzato come modello. Nessuno. Perché quel lenzuolo, oggi custodito nel Duomo di Torino, non è mai stato stretto attorno a qualcosa di vivo o morto.  È stato con ogni probabilità steso sopra una scultura rigida: un manichino, una statua, un simulacro. Un oggetto fabbricato con cura per commuovere, ispirare, forse perfino evangelizzare, ma non per testimoniare un evento storico o fornire una prova materiale della resurrezione.

La sindone e il nuovo studio che la riporta dove è sempre stata: nel Medioevo

A dirlo, questa volta, è uno studio pubblicato nel luglio 2025 sulla rivista Archaeometry, rivista scientifica peer-reviewed dell’Università di Oxford, con regolare impact factor, revisione tra pari e tutti quegli elementi che di solito fanno storcere il naso solo a chi confonde la “scienza” con ciò che semplicemente conferma le proprie convinzioni. Lo studio, firmato da Cicero Moraes, prende in esame l’anatomia dell’immagine sindonica, l’orientamento delle macchie di sangue, la simmetria del volto, e arriva a una conclusione inequivocabile, ovvero che quella non è un’impronta corporea.

È un artificio artistico. Il sangue (o meglio, ciò che appare come sangue) si comporta in modo incompatibile con il comportamento fisiologico di un fluido sottoposto alla forza di gravità. Invece di colare verso il basso, segue linee innaturali, come se fosse stato applicato a pennello. Le pieghe e le distorsioni che ci si aspetterebbe da un contatto reale tra un tessuto flessibile e un corpo tridimensionale non ci sono. Il volto, infine, è perfettamente frontale, senza alcuna deformazione legata al rilievo del naso, della mandibola o della fronte. Un’icona bidimensionale, insomma. Una costruzione, per quanto abile, e non una testimonianza.

Una lunga storia di conferme ignorate

Non è certo la prima volta che il velo viene sollevato sull’origine della Sindone. Nel 1988, la celebre datazione al radiocarbonio condotta da tre laboratori indipendenti (a Oxford, Tucson e Zurigo), pubblicata sulla rivista Nature, collocò il lino della Sindone in un intervallo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C.. In pieno Medioevo, in un’epoca in cui fiorivano (insieme ai pellegrinaggi) anche le reliquie più curiose: denti di santi, latte della Vergine, piume dell’Arcangelo Gabriele, fino al Santo Prepuzio. Ma anche quella datazione, rigorosa e ripetuta, fu accolta da alcuni non con spirito critico, bensì come un attacco ideologico o una frode orchestrata. La scienza, si sa, viene applaudita solo quando non tocca corde troppo sensibili.

Datazione al radiocarbonio della sindone di Torino. Credit: Nature (Vol. 337 - 16 febbraio 1989)

Datazione al radiocarbonio della sindone di Torino. Credit: Nature (Vol. 337 – 16 febbraio 1989)

In tempi più recenti, nel 2009, un altro contributo importante è venuto dal chimico Luigi Garlaschelli, docente all’Università di Pavia e membro del CICAP. Garlaschelli, attraverso una riproduzione sperimentale, dimostrò che è possibile ottenere un’immagine con caratteristiche analoghe a quelle della Sindone utilizzando tecniche disponibili già nel XIV secolo: un telo di lino invecchiato artificialmente, pigmenti naturali, una statua come modello.

Il risultato? Un’immagine con la stessa sfumatura brunastra e la stessa apparente tridimensionalità dell’originale. Garlaschelli non aveva certo la pretesa di dimostrare che quella fosse la tecnica usata, ma ha provato che una tecnica simile poteva essere impiegata già nel Medioevo, senza bisogno di miracoli o radiazioni ignote.

Credit: CICAP

Credit: CICAP

Nel corso degli anni, si sono accumulati altri indizi tecnici: l’assenza di pigmenti metallici o bruciature da radiazione, l’uniformità del volto che mal si concilia con la deformazione naturale su un telo curvo, le anomalie ematologiche come la presenza di sangue “fresco” laddove non dovrebbe esserci traccia ematica dopo 36 ore dalla morte, e persino la composizione del sangue, che mostra caratteristiche atipiche rispetto a un campione reale (inclusa l’insolita concentrazione di bilirubina, spesso interpretata a posteriori con spiegazioni ad hoc).

Eppure, il copione si ripete

Nonostante tutto ciò, il dibattito si riapre ogni volta da zero. E così, come ogni volta, parte il rosario delle obiezioni apologetiche:

“Ma la scienza non può spiegare tutto…”
“Forse il corpo glorioso di Cristo aveva proprietà morfologiche singolari…”
“Il valore spirituale non dipende da quello materiale…”

Obiezioni legittime in ambito teologico, certo, e che possono alimentare una riflessione personale o mistica, ma che troppo spesso vengono strumentalizzate nel dibattito pubblico per respingere qualsiasi lettura razionale o scientifica. Come se dimostrare che un oggetto è costruito dall’uomo ne diminuisse automaticamente il valore simbolico o narrativo. Non è così.

Nessuno vieta di considerare la Sindone un potente strumento di meditazione religiosa, un’icona commovente o un’opera d’arte sacra. Tuttavia, se la si propone come prova materiale della resurrezione, allora sì, tocca fare chiarezza. E riconoscere che siamo davanti all’ennesimo caso di arte scambiata per reliquia.

Il problema non è la fede. È la disinformazione

Mentre lo studio pubblicato su Archaeometry, inizia a circolare, non mancano, come da copione, i primi commenti sui social:

“Studio inattendibile…”, “Scienziati anticristiani…”, “Manipolazione dei dati…”, “Siete invidiosi perché non credete…”

Il solito rosario dell’incredulità selettiva, recitato da chi ignora (o finge di ignorare) che le prove scientifiche si accumulano da oltre trent’anni, e tutte puntano nella stessa direzione. Perché la verità è che una buona parte del culto attorno alla Sindone si regge non sulla fede, ma sulla disinformazione. Sulla pretesa che esista un “mistero insoluto”, un rebus scientifico che lascia spazio al divino. Quando invece il mistero è stato risolto, e più di una volta, da analisi convergenti, da esperimenti replicabili, da studi pubblicati su riviste con standard rigorosi. Ignorare tutto questo (o peggio, accusare chi lo riporta di blasfemia o “attacco alla Chiesa”) significa solo confondere la fede con il feticismo, e la ricerca della verità con una minaccia personale.

Come disse lo stesso Cardinale Ballestrero nel 1988, dopo i risultati della datazione al radiocarbonio:

«Penso non sia il caso di mettere in dubbio i risultati. E nemmeno è il caso di rivedere le bucce agli scienziati se il loro responso non quadra con le ragioni del cuore»

Forse è ora di ripartire proprio da lì.

Dall'archivio storico de "L'Unità" - 14 ottobre 1988

Dall’archivio storico de “L’Unità” – 14 ottobre 1988

Vi informiamo che è stato già pubblicato un articolo critico nei confronti dello studio di Cicero Moraes su UCCR

Come prevedibile, non si è fatta attendere la replica da parte di ambienti apologetici. Il 3 agosto 2025 il sito Unione Cristiani Cattolici Razionali (UCCR) ha pubblicato un articolo intitolato: “La Sindone fu stesa su una scultura? Uno studio pieno di errori”, nel quale si cerca di screditare lo studio pubblicato su Archaeometry, senza tuttavia fornire una vera e propria confutazione scientifica dei dati presentati.

La critica

La linea argomentativa dell’articolo si concentra su tre strategie retoriche ben note:

  1. Minimizzare la novità dello studio, sostenendo che “non ci sarebbe nulla di nuovo”, e che l’ipotesi della scultura sia già stata discussa in passato. Ma questo ignora che il valore di uno studio non si misura soltanto nella novità dell’ipotesi, quanto nella robustezza del metodo e nella capacità di modellare il problema con strumenti attuali. Moraes ha utilizzato simulazioni tridimensionali per verificare, in maniera quantitativa, la compatibilità tra immagine e geometria del corpo o del bassorilievo. Si tratta di un salto metodologico significativo rispetto a congetture puramente speculative del passato.

  2. Spostare l’attenzione su questioni estranee allo studio, come la compatibilità del deterioramento della cellulosa con tessuti del I secolo (studio del CNR guidato da De Caro), o la presenza di pollini esotici sul telo. Questi elementi, ammesso che siano attendibili (alcuni sono molto contestati nella letteratura scientifica), non smentiscono in alcun modo l’incongruenza geometrica dell’immagine sindonica rilevata da Moraes: un volto perfettamente frontale, senza distorsione, e sangue che si comporta come pittura. Anzi, l’uso di questi argomenti laterali serve, come spesso accade, a distogliere l’attenzione dal contenuto tecnico dell’analisi.

  3. Contestare aspetti minori del modello per screditare l’intero studio (ad esempio, l’uso di fotografie del 1931 invece di quelle del 2002, la sovrapposizione di mani e piedi nel modello opposta rispetto all’iconografia sindonica, o l’uso di una simulazione basata su tessuto generico (cotone) anziché specificatamente lino. Ma nessuno di questi dettagli marginali invalida le conclusioni principali dello studio, che riguardano la morfologia dell’immagine, le dinamiche del drappeggio e la compatibilità geometrica. Moraes stesso spiega chiaramente che alcuni elementi sono stati semplificati per rendere più chiaro il comportamento di contatto, non per riprodurre un’immagine speculare della Sindone.

Inoltre, UCCR contesta che lo studio non consideri la chimica o la fisica della formazione dell’immagine. Ma non era questo l’obiettivo dello studio, che si limita a un’analisi morfologica e geometrica e, in quanto tale, risponde a una domanda precisa: “Un telo appoggiato su un corpo umano produce un’immagine compatibile con quella della Sindone?” La risposta, sulla base delle simulazioni 3D, è no.

Le repliche

Quanto alle affermazioni secondo cui nessun esperimento avrebbe mai replicato le caratteristiche dell’immagine sindonica, è falso. Lo abbiamo già spiegato precedentemente: Luigi Garlaschelli, chimico dell’Università di Pavia, ha condotto nel 2009 una riproduzione sperimentale della Sindone utilizzando tecniche accessibili a un falsario medievale, ottenendo un risultato sorprendentemente simile, completo di impronta frontale e dorsale, distorsione prospettica realistica e anche residui superficiali coerenti con pigmenti naturali.

Il suo studio, pur oggetto di attacchi, non è mai stato confutato sul piano tecnico. Va inoltre ricordato che la datazione al radiocarbonio del 1988, condotta da tre laboratori (Oxford, Tucson, e Zurigo), pubblicata su Nature, ha datato il lino tra il 1260 e il 1390. Nessuno degli studi successivi ha invalidato quella datazione con metodo altrettanto rigoroso e replicabile.

I tentativi di De Caro e del CNR, basati sulla cristallinità della cellulosa, sono tecniche sperimentali non ancora validate internazionalmente, con risultati ampiamente discussi e non pubblicati su riviste ad alto impatto comparabili.

Infine, l’articolo UCCR si chiude col consueto appello all’autorità (il laser dell’ENEA, i “veri esperti”) e con l’annuncio di una richiesta di rettifica alla rivista Archaeometry, di cui non è noto l’esito. Ma la scienza non si fa per richiesta o per fede. Si fa con dati, modelli, simulazioni, pubblicazioni e peer review. Lo studio di Moraes può essere criticato, certo, ma solo con altri dati e altri modelli, non con argomenti ad hominem e dietrologie.

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