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Torna il Virtual Boy, il più grande fallimento di Nintendo

Nintendo, come abbiamo visto, non è immune dal fallimento. Fallisce, ma si rialza velocemente: è così ad esempio che abbiamo avuto Mario Bros. Ed è così che nel 40ennale di Super Mario Bros. vediamo tornare in vendita, in una forma nuova, uno dei più grandi fallimenti della casa, il Virtual Boy

Torna il Virtual Boy, il più grande fallimento di Nintendo

Una console venduta solo in Giappone ed USA e solo nel 1995: non in quanto edizione limitata, ma in quanto mai accettato dal mercato e rivalutato come molte cose della vita solo in modo postumo e con la lente del ricordo.

Ma cominciamo la storia.

Virtual Boy, il più grande fallimento di Nintendo

La storia comincia nel 1985, in quegli anni ’80 che erano la fucina di tecnologie che avremmo visto solo un decennio dopo ma che si sperava di ottenere coi mezzi presenti

Erano gli anni, per capirci in cui ColorVision e Halcyon cercavano di introdurre quello che sarebbe diventato il genere del “film interattivo” in stile Dragon’s Lair, ed in cui lasciata alle spalle l’esperienza Atari tutti cercavano di sperimentare qualcosa di realmente nuovo.

E nel 1985, erano gli anni in cui Reflection Technology Inc., società Americana, era in cerca di finanziamenti per un suo rivoluzionario prodotto. Un casco con dei led rossi, monocromatici, manipolati da una serie di specchi per dipingere immagini direttamente nel campo visivo dell’utente.

Il ColorVision, console teorica mai sviluppata, origine di un altro fallimento dei suoi tempi

Alan Becker, l’ingegnere che avrebbe fondato RTI, sognava di sostituire i CRT e i primi primitivi LCD slavati e monocromatici sui voli aerei con un casco dall’aria spaziale, ottenuto “invertendo” un procedente progetto del 1974. Se nel progetto precedente dei LED avrebbero scansionato una pagina per darla in pasto ad un primitivo OCR e aiutare i non vedenti a ricomporre un test, nel progetto attuale un LED guidato da specchi avrebbe creato immagini luminose e chiare su uno sfondo nero

Siamo arrivati al Private Eye, un display da un pollice da piazzare davanti agli occhi per simulare un display monocromatico da un 12 pollici. Secondo l’autore avrebbe dovuto avere scopi molto pratici.

Ottimistica pubblicità del Private Eye

Il ProtoVirtual Boy avrebbe dovuto essere i Rayban Meta Glasses prima dei Meta Glasses: un cubetto con un foro da mettere davanti ad un paio di occhiali per consentire a meccanici di leggere manuali tecnici e lavorare al motore di una automobile contemporaneamente, ai medici di leggere le cartelle cliniche dei pazienti con entrambe le mani sul tavolo operatorio

Nel 1988 Private Eye fu mostrato al COMDEX di Las Vegas, lodato nelle principali riviste di fai da te per nerd come Popular SciencePopular Mechanics e venduto in kit.

Ebbe un moderato successo, ma come lo avrebbero quei costosi gadget da “veri nerd 100%” (con 5000 $ a kit da assemblare non poteva essere meglio), ne vendettero un centinaio di kit e incassarono quei quasi 50mila dollari che ti tengono a galla.

Questo è tutto: il prodotto restò dormiente per mancanza di interesse.

Arrivano gli anni ’90

Sono arrivati nel frattempo gli anni ’90: Atari si è eliminata dal mercato videoludico da sola, Commodore ormai non se la passa più bene, SEGA e Nintendo dominano il mercato dei videogiochi.

Nel 1992 arriva al cinema Il Tagliaerbe, film inizialmente premiato dai biglietti delle prime settimane per poi diventare l’epitome del film che parte bene ma fallisce a causa della pessima ricezione nel lungo periodo.

Il Tagliaerbe è poco più che una fantasmagoria Cybersplatter che combina il copione scartato di un film chiamato Cybergod con un romanzo di Stephen King (con così pochi elementi rimasti da convincere King a fare causa…) per ottenere una storia sospesa tra il Cyberpunk, lo splatter e Fiori per Algernon

Scena de “Il Tagliaerbe”

Nella storia Jobe, un manovale mentalmente disabile assunto per falciare l’erba dei prati, viene sottoposto ad esperimenti con droghe e stimolazioni nella Realtà Virtuale che lo rendono un Cybergod, un intelligentissimo dominatore della Realtà Virtuale con grandi poteri psichici e paragnostici che usa nel mondo reale per vendicarsi con brutalità di chi l’ha maltrattato quando era un povero disabile.

Per quanto la realtà virtuale di quegli anni fosse goffa e spesso ostentata come tale (lo scopo era mostrare al pubblico di avere i soldi e i mezzi per potersi permettere la grafica in 3D, non avere la grafica realistica, anzi, ostentarla era un bonus) improvvisamente l’universo virtuale e 3D divenne il nuovo oggetto del desiderio.

RTI assembla in fretta e furia due Private Eye su un singolo supporto e decide di inventarsi un rivoluzionario visore tridimensionale basato su una maschera da saldatore, un PC “trasportabile” IBM Compatibile e un primitivo sistema di tracciamento.

A questo punto della storia cominciano i problemi.

Il pubblico era già abituato alle console portatili a colori: SEGA aveva il Game Gear, le console di gioco da Casa erano a colori, Private Eye era ancora monocromatico rosso su nero essendo nato per fornire testi e informazioni.

Il GameGear

Il sistema di tracciamento era funzionale ma lento: se tutt’ora c’è gente che prova una sensazione di mal di mare usando visori come Oculus Rift, immaginate quando il tracciamento era visibilmente insufficiente rispetto ai riflessi umani e rendeva immagini visibilmente immaginarie.

Da un lato abbiamo i rappresentanti di RTI dichiarare che poter vedere scenari virtuali (sia pur in bianco e nero) era una immagine di grande potenza. Dall’altro lato, i rappresentanti di Hasbro, Mattel e SEGA stroncarono la tecnologia che gli veniva offerta lamentando che nessuno avrebbe mai pagato per avere il mal di mare e guardare immagini monocromatiche.

Alla fine Steve Lipsey decise di bussare alla porta dell’unico essere umano rimasto nel settore dei videogames a sostenere sistemi di gioco in bianco e nero: Gunpei Yokoi, il padre del Game&Watch e del GameBoy.

Arriva Nintendo

Ricordiamo che il GameBoy rimase orgogliosamente in bianco e nero fino al 1998, e Yokoi era per il modello economico e di sviluppo che sopravvive ancora in Nintendo. Una console nata dalle sue mani non avrebbe dovuto essere il non plus ultra della tecnologia, ma un “lusso accessibile” creato con tecnologie datate e consolidate che togliessero un po’ di prezzo rispetto alla concorrenza per stupire con la creatività.

Yokoi aveva creato il Game&Watch, e il joypad moderno, cercando di creare uno scacciapensieri elettronico che i pendolari potessero portarsi in tasca, ed aveva creato il GameBoy perché bambini e ragazzi potessero avere una console economica, robusta e facile da usare, anche se ferma al palo del monocromatico.

Il Game Boy, creazione di Yokoi

Era un convinto difensore della teoria secondo cui Nintendo non dovesse rincorrere le tecnologie più nuove e costose, ma innovare le tecnologie più semplici: amava descriversi come un maestro del “Lateral Thinking with Withered Technology”, ovvero “Pensiero laterale con tecnologia obsoleta”.

Secondo la sua biografia Gunpei Yokoi, Game Pavillion a questo punto della sua storia Yokoi aveva cominciato ad odiare i gamer.

Non tutti, si badi: solamente quelli che volevano a tutti i costi la grafica e le performance migliori, e che rischiavano di allontanare Nintendo dalla sua vocazione di ditta che produceva giochi per tutti e per famiglie chiedendo grafica migliorata e prestazioni da urlo.

In un mondo di Game Gear, Yokoi difese il GameBoy. In un mondo che scopriva il 3D, Gunpei Yokoi fu conquistato dal Private Eye.

E l’uomo che fino a quel momento non aveva mai sbagliato un colpo si imbarcò nel più grande errore della sua vita col pazzo abbandono di chi si lancia in una impresa fallimentare con cuore ed anima.

Tutti gli errori di Yokoi

Yokoi era così convinto di poter scommettere sul Private Eye che di fatto staccò personalmente la spina ad un progetto concorrente di Argonaut Games, gli autori della saga di StarFox e del chip SuperFX usato per rendere StarFox tridimensionale.

Argonaut non perdonò la cosa, descrivendo il progetto di Yokoi come il “Virtual Dog” perché “faceva veramente schifo” e chiamando in una intervista del 2018 il Padre del GameBoy “un tizio di nome Yokoi”.

Yokoi decise che ormai la tecnologia dei monitor “tradizionali” non avrebbe mai potuto essere migliorata (la storia prova che anche qui aveva torto) e che la purezza del nero ottenibile col Private Eye avrebbe fatto spiccare le immagini create coi led rossi.

Non facciamo una colpa a Yokoi per non aver previsto la nascita degli OLED ed il fatto che, decenni dopo, gli acquirenti Nintendo avrebbero continuato a comprare Switch con LCD anche dopo l’arrivo di Switch OLED, ma la sua idea che il 3D avrebbe sconvolto il futuro pesò sui destini di Nintendo.

Teardown del VirtualBoy, fonte iFixit

Lipsey in alcuni testi viene citato ricordare un “incidente” in cui Hiroshi Yamauchi, l’allora CEO di Nintendo, si era addormentato durante la presentazione del Private Eye, facendogli temere di aver fallito, e che invece il suo interprete gli spiegò che secondo “la cultura Giapponese” Yamauchi semplicemente aveva deciso di lasciar fare tutto a Yokoi e i suoi ingegneri.

Il problema è che come abbiamo visto in altri articoli (vedi Tetris e Playstation) Yamauchi non era un “Presidente Gamer”, anzi non capiva un accidenti di videogiochi ed era un ottimo industriale senza alcuna conoscenza sul mercato dei videogames.

Era, ricordiamo, il presidente che riuscì a trasformare Ken Kutaragi da sostenitore di Nintendo presso SONY nel Padre della PlayStation, spina nel fianco di Nintendo, pronto a rompere ogni rapporto con Nintendo stessa per essere stato da lui trattato in malo modo.

Ammettendo che sia un endorsement, avere l’endorsement di Yamauchi era come aver ricevuto il bacio della morte da Giuda: ma Yokoi e Lipsey non vollero vederlo.

Nintendo spese milioni in royalties per assicurarsi la tecnologia e il presidente di Reflection si spese i primi soldi per produrre un fallimentare fax portatile in grado di proiettarti un fax negli occhi, il FaxView.

Il FaxView, creato con la stessa tecnologia di Private Eye e Virtual Boy

Nintendo mise il progetto VR32 in mano a Yokoi, RTI e Mitsumi, e incontrò una lunga serie di problemi. Il primo era attaccare una serie di circuiti e batterie alla faccia di un bambino in un’epoca in cui gli effetti dei campi elettromagnetici erano poco studiati.

Se già nel 2025 abbiamo ancora gente che crede che il 5G sia tossico, immaginate provare a vendere un paio di occhiali pieni di elettronica non schermata.

Il VR32 divenne così un casco. Poi divenne un casco da legarsi alle spalle con una imbragatura. Poi gli uffici legali di Nintendo ed RTI decisero di evitare scenari apocalittici come un bambino che si aggira per casa col VR32 legato alla faccia per poi cadere dalle scale, o che gioca sul sedile posteriore della macchina di mamma e papà trovandosi orrendamente accecato e sfigurato da pezzi di plastica, vetro e metallo conficcati negli occhi e nei bulbi oculari alla prima frenata.

Unito al peso intrinseco che il VR32 avrebbe raggiunto, i prototipi più simili al VirtualBoy finale divennero un grosso e pesante visore da usarsi con un treppiedi, troppo pesante per essere agevolmente appeso ad una faccia, e da usarsi con un joypad manipolato alla cieca.

Era però un prodotto fortemente overingegnerizzato: iFixit stessa ha dovuto ricordare che, nonostante la modularità e riparabilità del dispositivo è stato necessario al team che ha disassemblato uno dei Virtual Boy ancora in giro costruire da zero alcuni strumenti necessari.

Con un processore NEC V810 da 20 MHz e 128Kb di Video RAM il Virtual Boy era un titano della sua epoca, ma un titano sventurato.

Arriva il VirtualBoy, anche se per poco

Alla fine dopo una serie di iterazioni, lo stesso Yokoi cominciò ad avere dubbi sulla sua nuova creazione, con Game Over di David Sheff a ricordare che Yokoi avrebbe voluto più tempo per lavorare sul VirtualBoy ma non lo ebbe perché anche Yamauchi si era stufato di lavorarci e voleva tempo e risorse per il Nintendo 64, la console che avrebbe dovuto salvare Nintendo dalla botta presa con Kutaragi che si porta via la PlayStation per lanciarla con SONY.

Per complicare le cose, nel 1994 il Giappone introdusse una norma chiamata il Product Liability Actche di fatto estendeva la responsabilità del produttore per danni provocati dal prodotto.

Retro di WarioLand: originale e traduzione

Il VirtualBoy, che ricordiamo di fatto sparava luce rossa sugli occhi dei ragazzini, fu munito di una serie di avvertenze a dir poco terroristiche, un timer per ricordare ai ragazzini di fare pausa ogni quarto d’ora e avvertenze che sconsigliavano di usare il VirtualBoy al di sotto dei sette anni per evitare di sviluppare ambliopia (l’occhio pigro) se il VirtualBoy non fosse stato correttamente allineato ed usato troppo a lungo.

Unito al fatto che, di fatto, Nintendo stava vendendo un oggetto pesante da premersi sulle facce dei ragazzini e latore di feroci mal di testa e mal di mare, questo contribuì a cementare l’immagine di un prodotto malsano e insalubre, così tanto che, probabilmente ingannate dai quantomeno bizzarri disclaimer giapponesi, riviste americane si spinsero a ipotizzare “gravi effetti psichiatrici, psicologici e danni cerebrali” per gli utenti delle console 3D.

Il VirtualBoy apparve quindi nel mercato del 1995, un figlio non voluto e che al lancio potè contare di titoli di terza categoria se comparati al Nintendo 64, il vero pupillo della ditta.

Il controller del Virtual Boy

Il VirtualBoy ebbe pochissimi titoli, e tutti di terza tacca. Mario fu rappresentato da Mario Clash, una specie di sequel diretto di Mario Bros. (ma prima di Super Mario…) e Mario’s Tennis, primo gioco di tennis della saga rifatto, non a caso, poco dopo per il Nintendo 64, la saga di Metroid da una serie di omaggi in Galactic Pinball, primo gioco della console e ultimo di Yokoi.

Altri titoli cercarono di portare personaggi minori della lore di Mario, come Wario alla console, ma nonostante questo fu tutto un tragicomico fallimento.

Il VirtualBoy aveva ereditato il nome e le aspettative del GameBoy, ma ebbe vendite imbarazzanti e fece il tutto esaurito nei negozi solo perché arrivava nei negozi col contagocce.

Immagine di Mario’s Tennis

Nelle intenzioni di Nintendo, anche il VirtualBoy avrebbe dovuto, e potuto, avere un Game Link Cable per unire più console e giocare in compagnia. Ma non arrivò mai sugli scaffali, e il perché è ovvio.

Giocare in compagnia richiedeva poter potare la console con sé: il VirtualBoy poteva essere usato con sei pile alcaline di tipo AA, ma il peso mostruoso della stessa e la volontà di Nintendo di usare un tripode al posto di imbragatura, unita alla corta durata delle pile dello stesso (quattro ore al massimo), lo trasformarono di fatto in una console domestica.

Il pad era di fatto l’unica cosa salvabile, simile a quello che sarebbe diventato il futuro pad del GameCube, il “golden standard” della giocabilità Nintendo. Ma doveva essere manipolato alla cieca, riducendo la giocabilità.

Pochi titoli dunque (anche nel tentativo di non “diluire il marchio”), una tecnologia scomoda e obsoleta lanciata sul mercato in fretta e furia, la concorrenza interna del Nintendo 64 e una diffusa sfiducia nel 3D ne decretarono la fine rapida.

La fine della Storia

Il VirtualBoy vendette circa 800mila unità tra USA e Giappone. Non arrivò mai in Europa, fu ritirato dal commercio prima per spingere tutto sul Nintendo 64, che ebbe una migliore accoglienza ancorché fu insidiato dalla PlayStation.

Il VirtualBoy provocò la fine di Reflection Technology, Inc., spinse Yokoi, che aveva già pianificato di ritirarsi ma era rimasto solo per vedere la sua creatura trionfare, ad andarsene per creare il Wonderswan per Bandai e fu dichiarato un progetto fallito da Nintendo of America.

Il progetto di una console economica (ma neppure tanto, al lancio il VirtualBoy partiva con 180 dollari…) con 3D morì lì.

Ci vollero anni prima che, nel 2011, Nintendo ci riprovasse col Nintendo 3DS, prima console di ottava generazione in grado di visualizzare giochi e immagini in 3D: lo stesso Miyamoto commentò come il fallimento del VirtualBoy rallentò lo sviluppo di Nintendo per decenni, nonostante fosse un “giocattolo molto divertente”, ma insidiato dalla concorrenza interna col Nintendo 64 e dalla mancanza sia di titoli di pregio che di capacità per sfruttarli.

Il 3DS, discendente ideologico del Virtual Boy

Anche così poche persone provarono davvero a usare il 3D nel 3DS: buona parte dei giocatori semplicemente spegnevano la modalità 3D e Nintendo mise in commercio il 2DS, un Nintendo 3DS già senza il 3D.

In piena mania di Google Cardboardil kit per trasformare un pezzo di cartone ed uno smartphone in un visore 3D, Nintendo ci riprovò col Kit Labo VR, un kit di realtà aumentata per la console Nintendo Switch col suo bravo visore di cartone da montare uscito nel 2019 che poteva essere usato per fruire in 3D titoli della saga come Mario Odyssey e Zelda Breath of the Wild, feature abbandonata con giochi successivi come Tears of The Kingdom.

Labo VR, visore Cardboard per Switch

L’attuale Nintendo Switch 2 non è compatibile col Labo VR, ma…

Un nuovo inizio

Assieme al 40ennale di Mario Nintendo ha annunciato l’arrivo nella Virtual Console, la raccolta di giochi delle console passate, di un nuovo visore di cartone ispirato al VirtualBoy e un visore di plastica con tripode ispirato al VirtualBoy stesso da usarsi con una collezione di giochi del VirtualBoy.

Il nuovo Virtual Boy, incarnazione plastica e di cartone

E probabilmente, per fungere da visore 3D per la Switch 2, “scoperta” dal fatto che il Labo VR non la supporta.

Il VirtualBoy non ha smesso di avere ammiratori postumi, con una intera community devota a fornire la console dei giochi e degli accessori che non ha mai avuto nella sua brevissima vita commerciale.

Ed ora che Nintendo stessa l’ha rimessa in un certo senso in pista, una console abbandonata dalla vita si appresta ad avere un nuovo rinascimento.

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