Quando il verde era il colore della morte: il Verde di Scheele e di Parigi

Il genere umano ha usato le sostanze più bizzarre per gli scopi più bizzarri: il Verde di Scheele e di Parigi sono due tinture note per la loro bellezza, ma anche per il loro estremo pericoloso.
Tanto da finire illustrate in un libro tossico che poteva essere consultato solo coi guanti. Ma andiamo con ordine.
Quando il verde era il colore della morte: il Verde di Scheele e di Parigi
Nel 1775 Carl Wilhelm Scheele, chimico svedese, decise di mescolare carbonato di sodio, anidride arseniosa e solfato di rame. Vi risparmiamo le intricate complessità del metodo scientifico e chimico, ma alla fine ottenne quello che si prefigurava: un verde dalle sfumature tendenti al giallo, quindi assai luminoso, amatissimo dalle signore di alta società (veniva usato per tingere le stoffe), i venditori di carta da parati e i rilegatori di libri.
Per un certo periodo il Verde di Scheele finì anche sui giocattoli per bambini e come colorante alimentare: errore fatale come vedremo, letteralmente.

“Donna che ricama” di Kersting, 1812, raffigurazione del Verde di Scheele
Ogni qualvota in un quadro ambientato nell’800 vedete personaggi femminili con delicati abiti verde-giallognolo in dimore dalle mura verdi e con libri dalla copertina verde, c’è di mezzo il Verde di Scheele o la sua variante (di cui presto parleremo) il Verde di Parigi.
Il Verde di Scheele o Verde Svedese aveva infatti tra i suoi tanti difetti allora ignoti uno palese ed evidente sin dalle origini: anche in epoche precedenti l’invenzione del tintometro, era evidente che il verde svedese mancava di consistenza. A seconda di variabili come temperatura, quantità di arsenico (e già qui capirete dove stiamo per arrivare) e rame ed altri fattori diversi lotti del Verde Svedese avevano tinte diverse.
Nel 1814 Wilhelm Sattler e Friedrich Ruß commercializzarono un verde smeraldo affine per toni al Verde Svedese e più costante nella produzione, chiamato Verde Schweinfurt e Ignatz von Mitis commercializzò lo stesso composto chiamato invece Verde di Vienna.

Vestito di età vittoriana custodito al MET, di colore affine al Verde di Scheele
Alla fine prevalse il nome commerciale di Verde di Parigi, quando il pigmento fu usato come veleno per ratti nelle fogne di Parigi.
Il Verde di Parigi sostituì il Verde di Scheele in tutti i suoi usi, tranne quando il costo era un’opzione perché il Verde di Scheele, meno brillante, era anche più semplice e meno costoso. Per un breve periodo prima del 1814 vi era prevalenza della prima formulazione, poi convissero e il Verde di Parigi trionfò, arrivando in quadri famosi come “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte” di Seurat e Autoritratto dedicato a Paul Gauguin di Vincent Van Gogh.
I problemi del Verde della Morte
Sostanzialmente, una preparazione contenente arsenico era finita sui vestiti delle nobildonne, sulla carta da parati, sui giocattoli dei bambini e nei quadri.
Un quadro viene tuttosommato conservato in condizioni stabili, spesso messo anche sotto una cornice protettiva di vetro: a meno che il pittore non leccasse i pennelli, vi erano meno problemi.
I problemi sorsero con l’uso dei due colori come pigmenti alimentari, come tintura per abiti (signore e signorine di buona famiglia sostanzialmente sudavano dentro abiti tinti con arsenico) e quando la carta da parati tinta con quei pigmenti arseniosi si deteriorava.

“Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte” di Seurat
Già nel 1839 si ipotizzò che muffe e umidità potevano intaccare la carta da parati e rilasciare arsenico nell’aria, ed erano noti gli effetti dell’ingestione di arsenico (con la polvere dello stesso nota come polverina dell’eredità e immortalata in diversi romanzi gialli come il mezzo più efficace per uccidere lo “zio ricco” in tempo per ereditare), ma bisognerà aspettare il 1891 col “Test di Gosio” (da Bartolomeo Gosio, chimico italiano) per riuscire a individuare le quantità di arsenico rilasciate dalla carta da parati ammalorate, al di sotto delle soglie di test usuali ma idonee a cagionare danno alla salute.
Nel frattempo Dr. Robert M. Kedzie, medico statunitense e poi docente universitario, nel 1874 aveva raccolto campioni di carta da parati con arsenico e li aveva rilegati in un libro chiamato Shadows from the Walls of Death (lett. Ombre dalle pareti della morte).

Copertina di Shadows from the Walls of Death
Il testo, istoriato con citazioni del Levitico dedicate ai riti per purificare la lebbra e le muffe domestiche, conteneva anche l’invito a toccare le pagine coi guanti e solo per poco tempo, e fu inviato in 100 copie alle Bibloteche del Michigan per dissuadere proprietari immobiliari dall’uso.
Col tempo 96 delle copie furono distrutte e ne restarono 4, ben custodite.
Tra queste operazioni e il Test di Gosio, nonché l’accumularsi di prove empiriche di malattie tra gli addetti alla produzione e un incremento della morbilità e mortalità tra bambini e soggetti che spendevano molto tempo circondati dai colori, l’uso alimentare e decorative del verde all’arsenico finì.
Il Verde di Parigi, ora
Come si è visto, il Verde di Parigi fu riutilizzato come potente rodenticida, come insetticida industriale e nel dopoguerra in Italia per campagne di disinfestazione antimalariche, usato per sterminare le zanzare infestanti, salvo poi essere del tutto bandito per la pericolosità nella sua preparazione che avrebbe potenzialmente danneggiato non solo gli insetti, ma anche i produttori.

Pubblicità del Verde di Parigi come insetticida
Il Verde di Parigi fu anche accusato della morte di Napoleone Bonaparte, attualmente legata ad una diagnosi di cancro dello stomaco ma in precedenza collegata ad avvelenamento da arsenico che si disse proprio derivante dall’esposizione al Verde di Parigi ed al Verde di Sheele comuni in quegli anni.
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