No, non esiste alcuna “frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici”

di Shadow Ranger |

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No, non esiste alcuna “frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici” Bufale.net

Non esiste alcuna “frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici”: si tratta dell’ennesimo caso di terrorbait. Se pensate che l’Agenza delle Entrate passi abbia i mezzi, le capacità e il diritto di passare le giornate a leggere i messaggini di perfetti sconosciuti alla ricerca di qualcosa di copromettente, siete caduti nell’ennesimo caso di “terrobait”.

Titoli fuorvianti, inattinenti rispetto all’articolo, costruiti per creare rabbia, indignazione e stimolare al click.

In realtà, sia pur tenuto presente che non siamo in un sistema di Common Law e il precedente vincolante non esiste, il principio dell’ordinanza n. 1254/2025 della Corte di Cassazione dice qualcosa di diverso e più interessante.

No, non esiste alcuna “frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici”

Nel caso di specie si tratta di una opposizione a Decreto Ingiuntivo, ma il principio è ovviamente valido per tutti i casi di istruzione probatoria. Riassumendo moltissimo in un linguaggio comprensibile anche ai meno informati in tema di diritto, un decreto ingiuntivo è un provvedimento col quale si ingiunge (quindi si impone) a qualcuno di fare o dare qualcosa in favore di un altro.

No, non esiste alcuna "frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici"

No, non esiste alcuna “frase su Whatsapp che fa scattare i controlli fiscali automatici”

In questo caso un individuo A riceveva da una ditta che chiameremo F una richiesta di pagamento per una serie di serramenti. A dichiara che la somma ingiunta risulta esorbitante perché vi era un accordo tra le parti per ridurla, da oltre 28mila euro a 10mila euro regolarmente pagati con assegno.

Si arriva fino in Cassazione, grado di legittimità e non di merito (dove quindi non si valuta il merito della causa, ma il lato “processuale”) e A dichiara che non è stato tenuto conto di un elemento: uno scambio di messaggi Whatsapp che conferma la teoria dell'”accordo di riduzione”.

I messaggi erano stati prodotti nei gradi precedenti sottoforma di screenshot, che constano di “riproduzione informatica o fotografica” ex art. 2712 c.c., ovvero l’equivalente di produrre una email semplice o un documento informatico privo di firma digitale. Ovvero fa prova finché colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Ovviamente la Suprema Corte non si è limitata a dichiarare la presentabilità degli screenshot Whatsapp tout court, ma a confrontarli con le prove testimoniali emerse e le scritture contabili della credtrice, rendendo il disconoscimento dei fatti rappresentati difficoltoso.

Come vedrete in nessuna parte del dispositivo si evince che l’Agenzia delle Entrate possa “scartabellare messaggi alla ricerca di eventi compromettenti”.

A meno che, ovviamente, non decidiate di mandare mail all’Agenzia delle Entrate raffigurando di essere evasori fiscali e spiegando come intendete evadere o come avete evaso in passato.

Si evidenzia come nell’era dei messaggi di testo essi ormai abbiano preso il posto delle email in ogni senso.

Il resto è una interpretazione volutamente terrorbait.

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