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La leggenda della Sa Accabbadora tra mito e realtà

Torna sovente nell’immaginario collettivo la figura sarda della Sa AccabbadoraFemmina Accabbadora, figura sospesa tra mito e realtà. La critica storica suppone che sia una conflazione di diverse figure, ma essa è tornata in auge grazie ad un romanzo del 2009 della compianta scrittrice Michela Murgia e al dibattito sull’eutanasia.

La leggenda della Sa Accabbadora tra mito e realtà

Secondo il mito la Sa Accabadora è una donna, sempre una figura femminile, che è l’opposto della levatrice. La levatrice agevola i parti dando la vita, la Accabbadora agevola la morte di un malato terminale colpendolo con un martello sacramentale di olivastro alla nuca o sulla fronte per poi soffocarlo alla bisogna con un cuscino.

La leggenda della Sa Accabbadora tra mito e realtà

Nel mito la Accabbadora non accetta compenso: la morte non può essere comprata né venduta, farlo diventerebbe un peccato (tecnicamente dovrebbe comunque esserlo, a vedere i precetti del Catechismo per cui anche l’eutanasia stessa è una pratica non consentita dalla Chiesa Cattolica), ma diventando un atto quasi ieratico, sacedotale, diventa una forma di pietà estrema in antiche società dove gestire il dolore del malato diventava difficile.

Ci sono testimonianze aneddotiche di chi dice di aver parlato con una Accabbadora pentita, o meglio di aver parlato con un sacerdote diposto a violare il segreto confessionale per rivelare di aver confessato una Accabbadora in persona pronta a chiedere perdono a Dio della sua professione.

Tecnicamente è una confessione de relato, ovvero qualcuno confessa di aver sentito qualcuno che confessa.

La storiografia ufficiale però è alquanto scettica sulla figura, che nonostante per chi propone la teoria abbia origini antiche ricorda che essa non è apparsa nella storia codificata prima del 1835 in una voce («Bosa nuova») del diffusissimo «Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna», curato dall’abate piemontese Goffredo Casalis e scritto da Vittorio Angius.

A questo punto sono confluite nella stessa figura almeno tre figure diverse:

  1. La prefica o “donna del lamento”, donna pagata con un piccolo sostentamento per partecipare al lutto di qualcuno donando “pace alla sua anima” o restituendo a vicini e membri della collettività l’immagine di una persona particolarmente amata e stimata;
  2. La accabadora magica, una figura armata non di martello, ma di un giogo o un pettine che rimuoveva le immagini sacre dalla casa del moribondo ed effettuava rituali magici per “alleviare l’agonia” nella convinzione che l’agonia prolungata fosse il marchio di un peccatore inconfesso che aveva in gioventù compiuto reati e peccati contro la comunità agricola (bruciato un giogo, rubato armenti, distrutto o spostato pietre di confine) e il cui rimpianto gli impediva il trapasso;
  3. la femmina accabbadora, la figura armata di martello pronta ad amministrare la morte

Col tempo le due figure precedenti si sono unite alla mitologia della terza dando origine ad una leggenda più grande della somma delle parti, una riflessione sulla vita e sulla mortalità.

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