Il delitto di Giarre, l'”omocidio” di Giorgio e Toni dietro il film di Beppe Fiorello

di Luca Mastinu |

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Il delitto di Giarre, l'”omocidio” di Giorgio e Toni dietro il film di Beppe Fiorello Bufale.net

Quella del delitto di Giarre è una storia di omofobia, un omocidio per dirla come il giornalista Francesco Lepore nel libro che propone una nuova pista investigativa di quel maledetto 31 ottobre 1980. Nel 2023 la vicenda ha ritrovato vigore con l’uscita del film Stranizza D’Amuri che ha segnato l’esordio alla regia di Beppe Fiorello.

Dietro un titolo che evoca tutto il profumo e le sonorità della Sicilia, guarnito con il ricordo indelebile della musica di Franco Battiato, c’è un delitto a sfondo omofobo che nel 1980 scosse l’opinione pubblica.

I corpi delle vittime giacevano l’uno accanto all’altro, “quasi abbracciati” scrisse la stampa dell’epoca, un disperato quanto drammatico ultimo momento d’amore prima di cedere alla morte. Il delitto di Giarre non fu un semplice fatto di cronaca: con la morte dei due ragazzi l’omofobia fu finalmente esposta in tutta la sua ferocia.

Il delitto di Giarre

Vittime innocenti di questa storia di odio e pregiudizio furono Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio “Toni” Galatola, 15 anni.

Il 31 ottobre 1980 alle 17:45 un pastore che transitava nei pressi della Vigna del Principe a Giarre, in provincia di Catania, si accorse dei corpi di due ragazzi in avanzato stato di putrefazione. Si trattava di Giorgio e Antonio, che nel paese venivano chiamati “i ziti”, (“i fidanzati”), perché uniti da una relazione.

Come ricostruisce il funzionario Mario Cavallaro ne I fatti di Giarre, a pagina 10, in un primo momento si pensò ad una morte per avvelenamento. Va detto che i corpi furono rimossi nella notte, quando non era più possibile portare avanti dei rilievi approfonditi sul posto.

Si raccontava della coppia omosessuale troppo vessata dai pregiudizi della provincia per poter reggere moralmente tutto quell’odio. Non solo: secondo i primi lanci di stampa pubblicati dopo il rinvenimento si trattava di un omicidio-suicidio: il cranio di Giorgio era attraversato da due fori, quello di Antonio da uno soltanto. Il secondo avrebbe sparato all’altro per poi togliersi la vita e chiudere per sempre quell’esistenza trascorsa a subire le ripetute condanne dei compaesani. Giorgio era puppu ‘ccô bullu – fro**o patentato – perché già a 16 anni fu sorpreso dai carabinieri in un’auto insieme ad un altro ragazzo, e per questo denunciato.

Per questo Giorgio era il cattivo, che aveva circuito il fragile e minorenne Antonio attirandolo in quella torbida relazione che li portò alla morte. Questo era ciò che si diceva e che si scriveva. Un biglietto rinvenuto accanto ai cadaveri parlava chiaro: “La nostra vita era legata alle dicerie della gente”. Il giorno dopo, 1 novembre, in quel limoneto fu rinvenuta la Bernardelli calibro 7.65 che aveva “la sicura abbassata ed era mezza sotterrata”,  soprattutto si trovava ad un metro di distanza dai ragazzi. La pista dell’omicidio-suicidio poteva ancora reggere?

Il sedicente responsabile: Francesco Messina

Il 2 novembre gli investigatori appurarono che Francesco Messina, 13 anni e nipote di Antonio, era stato l’ultimo a vedere la coppia in vita. Per questo fu interrogato, e ai carabinieri confessò di essere il responsabile del duplice omicidio. Lo fece tra le lacrime, duramente provato dall’accaduto.

“Vogliamo morire e tu ci devi sparare”, questo il virgolettato attribuito a Giorgio e Toni da Stampa Sera, dopo la ricostruzione fornita da Messina ai carabinieri. I due ragazzi gli avrebbero offerto un orologio, minacciandolo di ammazzarlo se lui non li avesse uccisi.

“O ci spari tu o spariamo a te”, avrebbero detto i ragazzi al picciriddu. Quindi Messina avrebbe premuto il grilletto sotto la minaccia di Giorgio e Toni.

Il suo racconto, però, era pieno di incongruenze: in primo luogo, il biglietto rinvenuto accanto ai cadaveri era scritto in una grafia del tutto diversa da quella delle vittime. In secondo luogo, dalla pistola rinvenuta accanto alle salme erano stati esplosi sette colpi, mentre i fori che avevano ucciso Giorgio e Toni erano tre.

Il giorno dopo, 3 novembre, Francesco Messina dichiarò all‘Ora di Palermo (in un articolo citato dal Corriere della Sera) che la sua dichiarazione era stata indotta dagli schiaffi dei carabinieri che lo minacciavano di arrestare suo nonno. Un “metodo” confermato anche dal sostituto procuratore di Giarre Giuseppe Foti:

Non indagai io. Quel giorno dovevo occuparmi di un altro omicidio, a Catania, e fu il pretore a seguire l’inchiesta di Giarre. Ma la versione ufficiale non mi ha mai convinto. Una 7,65 non è un’arma manovrabile da un bambino, che per di più avrebbe dovuto sparare tutti quei colpi, uccidere una prima volta, poi una seconda. Invece all’epoca poteva accadere che l’imputato potesse venire forzato a fare delle dichiarazioni.

Intanto, l’autopsia del medico legale stabilì che l’omicidio risaliva ad almeno 15 giorni prima del rinvenimento. Ecco il motivo per cui le salme si presentavano in un avanzato stato di decomposizione. Il 17 ottobre 1980, in effetti, i ragazzi risultarono scomparsi e a seguito della lunga assenza le loro famiglie avviarono le ricerche.

Il caos

L’opinione più condivisa, specialmente da stampa e opinione pubblica, era che i carabinieri intendessero liquidare la vicenda come il delitto di un 13enne fragile minacciato dai due innamorati stanchi di vivere.

Francesco “Ciccio” Messina aveva un’età inferiore ai 14 anni, dunque non poteva essere incriminato. Piuttosto, si fece sempre più strada l’ipotesi che in realtà Ciccio fosse testimone del delitto, ma che non potesse fare nomi per scongiurare ritorsioni. La famiglia di Antonio, per esempio, sosteneva che “qualcuno volesse togliere di torno Giorgio e che Antonio sia stato ucciso perché era con lui”.

Per gli inquirenti e per il pretore, tuttavia, il caso era chiuso: era stato Ciccio, fine della storia. È chiaro, oggi, che ufficialmente il delitto di Giarre è ancora senza un vero colpevole.

La nascita dell’Arcigay

In apertura abbiamo scritto che il delitto di Giarre non fu un semplice fatto di cronaca. La morte di Giorgio e Toni suona oggi, più che mai, come un sacrificio.

Poco dopo la tragedia il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (Fuori!) organizzò un incontro nella biblioteca comunale di Giarre al quale partecipò anche un giovane Francesco Rutelli, in quel tempo segretario dei Radicali Italiani. Era tempo di fare militanza.

Fu poi Don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico omosessuale, a organizzare un incontro il 9 dicembre a Palermo che porterà alla nascita del primo circolo Arcigay in Italia, grazie alla collaborazione di un giovanissimo obiettore di coscienza che rispondeva al nome di Nichi Vendola.

Il 9 maggio 2022, all’ingresso della biblioteca “Domenico Cucinotta”, il comune di Giarre ha apposto una targa commemorativa per ricordare Giorgio Agatino e Antonio Galatola.

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