Evelyn McHale, la suicida più bella del mondo

di Luca Mastinu |

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Evelyn McHale, la suicida più bella del mondo Bufale.net

Voglio che nessuno, della mia famiglia o meno, veda alcuna parte di me. Potete distruggere il mio corpo, cremandolo? Prego voi e la mia famiglia: non voglio alcun funerale o commemorazione. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo in giugno. Starà molto meglio senza di me. Dite a mio padre che ho preso troppe tendenze da mia madre.

Alle 10:30 del 1° maggio 1947 un oggetto volteggia verso la 34esima strada giù dall’Empire State Building, in una New York frenetica e ordinaria. John Morrissey, poliziotto, dirige il traffico della 34esima e della Fifth Avenue. Probabilmente gli basta voltare lo sguardo, per scorgere quell’anomalia. Una sciarpa, bianca, si unisce al suolo. Non tutti la notano.

Dieci minuti dopo qualcosa esplode. Un boato assordante che fa accorrere la folla e fa convergere ogni passante sulla 34esima. Robert Wiles sussulta e osserva dall’altra parte della strada. Una folla si stringe attorno a quella Limousine Cadillac delle Nazioni Unite e per vedere cosa sia successo bisogna fare breccia in mezzo alla calca. Robert Wiles si fa largo. Poi la vede. Forse non immagina che ciò che sta per fare entrerà nella storia. Pochi movimenti e alle 10:44 accade ciò che la stampa ricorderà come “il suicidio più bello del mondo”.

Il suicidio più bello del mondo

Una donna, Evelyn McHale, si è gettata nel vuoto dall’86° piano dell’Empire State Building atterrando su quella Limousine parcheggiata sulla 34esima. Ha sfondato il tettuccio e fatto esplodere i finestrini, per poi donare riposo al suo corpo rimasto integro. Delicato, forte. Ha 23 anni.

Il detective Frank Murray, all’86° piano, trova il suo cappotto accuratamente piegato sul parapetto, un kit per il make-up marrone pieno di foto di famiglia e un portafoglio nero nel quale è conservata una nota scritta a mano. Poco dopo l’impatto, il fotografo Robert Wiles ha scattato una foto al cadavere.

La stessa foto viene pubblicata il 12 maggio 1947 sulla rivista Life, per la rubrica “Foto della settimana”. Evelyn posa beata, inerme, sulle lamiere contorte di quell’automobile. Il suo corpo è composto, con le gambe incrociate e le mani gentili protette da un paio di guanti e nessuna espressione di sofferenza a segnare il suo volto.

Le sue spoglie vengono riconosciute dalla sorella Helen e si procede con la cremazione. Nessun funerale, nessuna sepoltura. Proprio come voleva Evelyn.

Le ultime ore di Evelyn McHale

Nata in California il 20 settembre 1923, è la sesta di sette figli. L’intera famiglia è costretta a continui spostamenti per il lavoro del padre, e sua madre cade sempre di più nel vortice della depressione. Pochi anni dopo arriva il divorzio e i ripetuti trasferimenti non cessano. La famiglia si trasferisce a Tuckahoe, New York. Evelyn termina la High School ed entra nei Women’s Army Corps, ma a termine servizio brucia la divisa.

A New York conosce Barry Rhodes. I due si innamorano e fissano la data del matrimonio nel giugno 1947. Il 30 aprile 1947 prende un treno per Easton per festeggiare il 24° compleanno di Barry. L’indomani mattina, alle 7, già prende il treno per fare ritorno a New York.

Quando l’ho baciata per salutarla era felice, come del resto sarebbe qualsiasi ragazza prossima al matrimonio.

Alle 9 di mattina Evelyn esce dalla Penn Station e si reca al Governor Clinton Hotel. Lì scrive le sue ultime parole, forse presa da una fredda lucidità e da una rigida disperazione. Muove i suoi passi, poi, verso l’Empire State Building. Lì acquista un biglietto per l’observation desk dell’86° piano e vi sale. Ordinatamente si libera dal cappotto e lo ripone con ordine. Fa la stessa cosa con quel contenitore di trucchi, che in realtà contiene le sue foto di famiglia.

Forse parla un’ultima volta con quelle istantanee, prima di conquistare il vuoto. Guarda tutti negli occhi. Poi nasconde il biglietto dentro il portafoglio nero. Sospira. Uno sguardo sulla città. La sciarpa, prima, si libera verso il mondo come una sonda. «Va’, e dimmi com’è laggiù». Poi è il turno di Evelyn. Abbraccia l’aria e si inventa un paio d’ali.

Robert Wiles, con quello scatto, rende Evelyn immortale.

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