Circola in rete un’immagine riportante la foto segnaletica di Brahim Garouan, arrestato insieme al padre M’Hamed Garouan (all’epoca imam di Sellia Marina) e ad un amico, Younes Dahhaky, con l’accusa di addestramento al terrorismo (art. 270 quinquies Codice Penale).
Arrestati nel gennaio 2011, la polizia postale e la Digos li avevano controllati per ben tre anni: si parlava di presunte attività di addestramento con finalità di terrorismo, radicalizzazione e proselitismo nei confronti di appartenenti alle comunità islamiche, utilizzando internet per procacciarsi e diffondere documenti multimediali riguardanti l’uso di ordigni esplosivi.
Il 12 ottobre 2011 il tribunale del riesame di Catanzaro accolse i ricorsi dei difensori dei tre accusati, revocando l’ordinanza cautelare e rilasciandoli dopo 9 mesi di detenzione. L’accusa venne poi smontata in Cassazione:
La tesi però è franata in Cassazione e gli avvocati Vittorio Platì, Enzo Galeota, Maria Chiara Paone e Francesco Iacopino erano riusciti a far scarcerare i tre sostenendo che il terrorismo virtuale non esiste, tesi avvallata anche dalla Corte : «Il terrorismo virtuale, fatto di manuali e corsi di formazione, finalizzati a formare il perfetto terrorista, capace di puntare e colpire l’obiettivo da infallibile cecchino, così come di preparare e utilizzare l’esplosivo, non è reato».
Ritenuti innocenti in seguito all’archiviazione del caso tornarono in Marocco, ma nel mese di aprile 2014 Brahim sarebbe morto in Siria in seguito ad un bombardamento.
Essendo statti detenuti 9 mesi cadauno, nel mese di novembre 2014 arrivò la sentenza riguardo al risarcimento: 60 mila euro a Brahim, che i legali stanno cercando di “girare” ai suoi familiari. Attualmente non siamo in grado di verificare se il risarcimento è stato consegnato alla famiglia di Brahim.
Il problema è la legge, che di fatto è mal formulata e che permette vie di fuga. L’Espresso pubblicò un articolo molto interessante il 22 settembre 2014 dal titolo “I jihadisti italiani che i giudici non riescono a punire” dove vengono ricostruiti alcuni dei casi più noti in Italia, tra cui quello di Brahim Garouan.
Fece parte dell’Isis? Secondo l’avocato Vittorio Platì non vi è «la prova ufficiale della sua morte e del suo coinvolgimento in azioni terroristiche». Nella pagina successiva vi riportiamo quanto abbiamo trovato online.
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