False credenze

La conturbante leggenda metropolitana della cintura di castità medioevale

La leggenda metropolitana della cintura di castità è una delle più antiche e durature della storia. Immortalata nelle arti e nel cinema, anche in salsa comica è una bufala già nata in epoca.

Superfantozzi: la cintura di castità

Anzi, in epoca quasi Rinascimentale per poi diffondersi fino all’era moderna, sulle ali di film come “Superfantozzi”, dove il Fantozzi-cavaliere perde le chiavi della cintura della Pina-Serva della gleba e deve chiedere al Filini-Fabbro miope una copia con risultati comici. Ma anche “Robin Hood: Un ladro in Calzamaglia” che dopo aver salvato il regno scopre che le chiavi della cintura di castità di Lady Marian non girano nella serratura, o “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, dove il sovrano cantato da D’André descrive lo smarrimento della chiave della cintura di castità come un dramma professionale di ogni cavaliere.

La conturbante leggenda metropolitana della cintura di castità medioevale

Per quanto sia oggetto di pruriti sessuali, barzellette e film, la cintura di castità era un oggetto impossibile nel medioevo. Lasciare infatti un paio di grossolane “mutande di ferro” addosso ad una donna per anni avrebbe significato renderle di fatto impossibili minzione e defecazione e, anche ricorrendo alla variante della bufala dei “piccoli fori”, lasciare pezzi di ferro luridi e arrugginiti a contatto con la pelle umana di un soggetto vissuto prima dell’epoca di antibiotici e antitetanica, di fatto uccidendola o rendendo impossibile portare a termine eventuali gravidanze ignote prima della partenza.

Nel Lai di Guigemar di Maria di Francia appaiono generici “patti di castità”: il cavaliere in partenza giura solennemente alla dama di non tradirla con le esotiche bellezze che incontrerà in viaggio, la dama giura di non tradire il cavaliere con gli uomini rimasti nel feudo, la dama chiede al cavaliere di annodarle l’orlo della camicia personalmente come pegno tangibile del fatto che ella non potrebbe tollerare che altro uomo tocchi le sue vesti se non l’amato.

Fine. Un gesto simbolico che in un poema o una romanza raffigura un più che comprensibile patto tra gente che probabilmente non si sarebbe rivista per anni: “Tu non metti le corna a me, io ti assicuro non le metto a te, e siamo pari”.

Cintura di Castità nel Bellifortis, 1405

La prima menzione della cintura di castità come la conosciamo è del 1405, in un trattato militare tedesco chiamato il Bellifortis, bizzarro trattato di arte militare tedesco che contiene l’astrologia tra i mezzi efficaci per la supremazia bellica. Un po’ come le “fonti russe” ora descrivono gli Ucraini come in grado di usare la magia nera per potenziare le armi e i vaccini Pfizer per diventare superuomini nazisti.

Il paragone non è peregrino: anche il Bellifortis introduce la cintura di castità come un oggetto tipicamente Fiorentino allo scopo di deridere i fiorentini stessi.

Una illustrazione basata sul sentito dire, buttata in un manuale di tecnica militare per dire “Guardate questi Italiani che gente stramba che sono!”.

Una ulteriore “prova” deriva da un’acquaforte di Sebalt Beham, 1540 circa che raffigura un lenone che “vende” i servizi di una prostituta al cliente sottoforma della chiave della cintura di castità.

Ovviamente si tratta di una raffigurazione simbolica e metaforica del meretricio: il pappone ti lascia usare la prostituta solamente se sei disponibile a pagare il prezzo in modo anticipato. Il che non significa che esista una cintura di castità: significa che la leggenda urbana della stessa era usata come metafora.

Per tutto il 1800 apparvero nei musei presunte “cinture di castità” di nobildonne e dame regali: tutte riscontrate falsi moderni e rimosse. Non è un caso che parliamo del 1800.

I Puritani, le vere cinture di castità e i sex toys

Siamo infatti arrivati al 1800, in una nuova insorgenza del puritanesimo anglosassione. Teoria che vedeva peraltro nel sesso privo di regole rigorose e nella masturbazione il male assoluto.

Acquaforte di Sebalt Beham, 1540 circa

In tale ottica apparirono per davvero le cinture di castità, ma come un oggetto assai diverso. Imbottito, destinato per essere indossato per brevi tratti di tempo, venduto alle donne come “oggetto antistupro” da indossare durante le passeggiate.

Appare anche la cintura di castità maschile, perlopiù un oggetto punitivo ed “educativo” per impedire ai giovani (oltre che alle giovani alle quali si applicava la precedente) di masturbarsi insegnando loro che la masturbazione è un grave peccato che causa gravi conseguenze al fisico e condanna l’anima immortale alle pene infernali.

Tali oggetti sono quindi diventati la “prova” delle leggende metropolitane precedenti e in tempi moderni un vero e proprio sex toy, un oggetto sadomaso usato da partner ingrifati per giocare a togliersi e concedersi il controllo di stimolazione sessuale e masturbazione.

Non male per un oggetto che non è mai esistito.

 

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