Editoriale

Il Papa contro il Clickbait: “Il rischio di un appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali”

“Il rischio di un appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali” lo conosciamo bene.

C’è chi si inventa dal nulla che noi Fact Checker siamo “nemici del giornalismo”. Affatto.

Il Fact Checking ha bisogno di un Giornalismo sano e vitale

Abbiamo gioito quando si è parlato di fondi per le piccole realtà giornalistiche.

Sì, abbiamo festeggiato. E abbiamo festeggiato dicendo così

Quante volte abbiamo avuto bisogno di informazioni e le redazioni di giornali locali ci sono venute in soccorso?

I giornali ed i telegiornali locali, spesso con risorse modeste rispetto alle testate nazionali (anche solo per ragioni numeriche) hanno enormi vantaggi.

Sono radicate sul territorio, celeri nel raggiungere luoghi remoti, dare voci più forti alle voci flebili di piccole comunità che rischiano di essere emarginate e isolate nel mare magno della Rete.

L’anima del Fact Checking, della libreria più grande del mondo non è il giornale online scritto dietro un monitor, con una mano sulla tastiera e l’altra sul “calcolatore del SEO” per cercare le parole trend del momento e tirare fuori un pezzo.

Piaga di cui accenneremo.

Letteralmente, l’anima del fact checking è lo “Scarpe di gomma” sul territorio che guarda, fruga e controlla.

Il nemico del Fact Checking è il calcolatore del SEO, colui che calcolate con piglio da contafagioli le parole del momento decide di imbastire su un pezzo con un titolo caricatissimo.

La piaga del Clickbait e lo scollamento dal reale

Possiamo capire che in tempi di fuga dalla lettura la tentazione di attirare il pubblico esiste. Era già una piaga descritta da Guareschi, non illudiamoci che sia esistita una età dell’oro immune dalla corruzione. Il problema non è qualitativo ma quantitativo.

Se nella storiella descritta da Guareschi viene mostrata una Redazione intenta a gonfiare un pezzo di colore chiamato “La Calza Sotto il Camino” in “Accorrete, sgozzano la vecchia del quinto piano! Aiuto! Sbudellano la vecchia e il sangue scorre per le scale rosso e fumante come vino brulè!” sulla base del fatto che nessuno avrebbe letto un titolo debole e pacifico ma un titolo a otto colonne di vecchie sgozzate e omicidi avrebbe conquistato le edicole, oggi abbiamo una intera rubrica di questo sito dedicata ai clickbait di ogni tipo.

E non è una rubrica basata sul puntiglio.

Solo negli ultimi mesi, se dovessimo prendere per buoni i titoli giornalistici, quelli che invitano a cliccare, scopriremmo un mondo in cui

  1. Netflix trasmette una serie televisiva in cui Arsenio Lupin è un immigrato di colore politicamente corretto
  2. Tutti i politici del mondo sono psicopatici
  3. Esistono miracolosi integratori che proteggono da COVID19
  4. Il COVID19 causerà l’apocalisse zombie facendo tornare in vita i cadaveri putrefatti dei visoni
  5. È morto uno dei volontari per la sperimentazione del vaccino antiCOVID19, ma solo aprendo l’articolo si scopre che in realtà si era offerto volontario ma era morto prima

E questo è solo un triste assaggio.

Possiamo ora passare la parola al Santo Padre. Dimostrando che non ha affatto torto. Anzi.

Il Papa contro il Clickbait: “Il rischio di un appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali”

Passiamo quindi ora al Messaggio del Santo Padre per la 55ma Giornata delle Comunicazioni Sociali. In integrale, non modificato, non alterato.

Cari fratelli e sorelle,

l’invito a “venire e vedere”, che accompagna i primi emozionanti incontri di Gesù con i discepoli, è anche il metodo di ogni autentica comunicazione umana. Per poter raccontare la verità della vita che si fa storia (cfr Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2020) è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto. «Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita», consigliava il Beato Manuel Lozano Garrido[1] ai suoi colleghi giornalisti. Desidero quindi dedicare il Messaggio, quest’anno, alla chiamata a “venire e vedere”, come suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere limpida e onesta: nella redazione di un giornale come nel mondo del web, nella predicazione ordinaria della Chiesa come nella comunicazione politica o sociale. “Vieni e vedi” è il modo con cui la fede cristiana si è comunicata, a partire da quei primi incontri sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea.

Pensiamo al grande tema dell’informazione. Voci attente lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in “giornali fotocopia” o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, “di palazzo”, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni. Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi. Ogni strumento è utile e prezioso solo se ci spinge ad andare e vedere cose che altrimenti non sapremmo, se mette in rete conoscenze che altrimenti non circolerebbero, se permette incontri che altrimenti non avverrebbero.

Ai primi discepoli che vogliono conoscerlo, dopo il battesimo nel fiume Giordano, Gesù risponde: «Venite e vedrete» (Gv 1,39), invitandoli ad abitare la relazione con Lui. Oltre mezzo secolo dopo, quando Giovanni, molto anziano, redige il suo Vangelo, ricorda alcuni dettagli “di cronaca” che rivelano la sua presenza nel luogo e l’impatto che quell’esperienza ha avuto nella sua vita: «Era circa l’ora decima», annota, cioè le quattro del pomeriggio (cfr v. 39). Il giorno dopo – racconta ancora Giovanni – Filippo comunica a Natanaele l’incontro con il Messia. Il suo amico è scettico: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo non cerca di convincerlo con ragionamenti: «Vieni e vedi», gli dice (cfr vv. 45-46). Natanaele va e vede, e da quel momento la sua vita cambia. La fede cristiana inizia così. E si comunica così: come una conoscenza diretta, nata dall’esperienza, non per sentito dire. «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito», dice la gente alla Samaritana, dopo che Gesù si era fermato nel loro villaggio (cfr Gv 4,39-42). Il “vieni e vedi” è il metodo più semplice per conoscere una realtà. È la verifica più onesta di ogni annuncio, perché per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli, lasciare che la sua testimonianza mi raggiunga.

Anche il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione. Dobbiamo dire grazie al coraggio e all’impegno di tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate. Sarebbe una perdita non solo per l’informazione, ma per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità.

Numerose realtà del pianeta, ancor più in questo tempo di pandemia, rivolgono al mondo della comunicazione l’invito a “venire e vedere”. C’è il rischio di raccontare la pandemia, e così ogni crisi, solo con gli occhi del mondo più ricco, di tenere una “doppia contabilità”. Pensiamo alla questione dei vaccini, come delle cure mediche in genere, al rischio di esclusione delle popolazioni più indigenti. Chi ci racconterà l’attesa di guarigione nei villaggi più poveri dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa? Così le differenze sociali ed economiche a livello planetario rischiano di segnare l’ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute per tutti, affermato in linea di principio, svuotato della sua reale valenza. Ma anche nel mondo dei più fortunati il dramma sociale delle famiglie scivolate rapidamente nella povertà resta in gran parte nascosto: feriscono e non fanno troppa notizia le persone che, vincendo la vergogna, fanno la fila davanti ai centri Caritas per ricevere un pacco di viveri.

La rete, con le sue innumerevoli espressioni social, può moltiplicare la capacità di racconto e di condivisione: tanti occhi in più aperti sul mondo, un flusso continuo di immagini e testimonianze. La tecnologia digitale ci dà la possibilità di una informazione di prima mano e tempestiva, a volte molto utile: pensiamo a certe emergenze in occasione delle quali le prime notizie e anche le prime comunicazioni di servizio alle popolazioni viaggiano proprio sul web. È uno strumento formidabile, che ci responsabilizza tutti come utenti e come fruitori. Potenzialmente tutti possiamo diventare testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali, dare un nostro contributo civile, far emergere più storie, anche positive. Grazie alla rete abbiamo la possibilità di raccontare ciò che vediamo, ciò che accade sotto i nostri occhi, di condividere testimonianze.

Ma sono diventati evidenti a tutti, ormai, anche i rischi di una comunicazione social priva di verifiche. Abbiamo appreso già da tempo come le notizie e persino le immagini siano facilmente manipolabili, per mille motivi, a volte anche solo per banale narcisismo. Tale consapevolezza critica spinge non a demonizzare lo strumento, ma a una maggiore capacità di discernimento e a un più maturo senso di responsabilità, sia quando si diffondono sia quando si ricevono contenuti. Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere.

Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti. La forte attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l’efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi. I discepoli non solamente ascoltavano le sue parole, lo guardavano parlare. Infatti in Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto, il Dio invisibile si è lasciato vedere, sentire e toccare, come scrive lo stesso Giovanni (cfr 1 Gv 1,1-3). La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo. Per questo motivo il “vieni e vedi” era ed è essenziale.

Pensiamo a quanta eloquenza vuota abbonda anche nel nostro tempo, in ogni ambito della vita pubblica, nel commercio come nella politica. «Sa parlare all’infinito e non dir nulla. Le sue ragioni sono due chicchi di frumento in due staia di pula. Si deve cercare tutto il giorno per trovarli e, quando si son trovati, non valgono la pena della ricerca».[2] Le sferzanti parole del drammaturgo inglese valgono anche per noi comunicatori cristiani. La buona novella del Vangelo si è diffusa nel mondo grazie a incontri da persona a persona, da cuore a cuore. Uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: “Vieni e vedi”, e sono rimaste colpite da un “di più” di umanità che traspariva nello sguardo, nella parola e nei gesti di persone che testimoniavano Gesù Cristo. Tutti gli strumenti sono importanti, e quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui, di vederlo durante un’assemblea o in un colloquio individuale. Verificavano, vedendolo in azione nei luoghi dove si trovava, quanto vero e fruttuoso per la vita fosse l’annuncio di salvezza di cui era per grazia di Dio portatore. E anche laddove questo collaboratore di Dio non poteva essere incontrato in persona, il suo modo di vivere in Cristo era testimoniato dai discepoli che inviava (cfr 1 Cor 4,17).

«Nelle nostre mani ci sono i libri, nei nostri occhi i fatti», affermava Sant’Agostino,[3] esortando a riscontrare nella realtà il verificarsi delle profezie presenti nelle Sacre Scritture. Così il Vangelo riaccade oggi, ogni qual volta riceviamo la testimonianza limpida di persone la cui vita è stata cambiata dall’incontro con Gesù. Da più di duemila anni è una catena di incontri a comunicare il fascino dell’avventura cristiana. La sfida che ci attende è dunque quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono.

In un mondo ideale, nel mondo limpidamente descritto dal Santo Padre noi non avremmo la sezione Clickbait.

Non ci sarebbe bisogno di averlo.

Avremmo una stampa globale, pluralista: non si avrebbe paura di pestare i piedi di masse di rissosi forcaioli che nei commenti urlano per avere l’articolo a misura del loro preconcetto, non si inseguirebbe il SEO come il nuovo Dio Pagano di questa epoca infame.

Non dovreste chiederci se qualcosa è vero o falso perché tutti avremmo il piacere della ricerca.

Persino San Tommaso infilò le dita nel Costato del Cristo.

Voi non potete aprire un link prima di condividere?

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No, vero?

Foto di Copertina: Flick, Papa Francesco di Gabriel Andrés Trujillo Escobedo

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