C’era una volta la pirateria informatica (non che sia del tutto andata via)

C’era una volta la grande era della pirateria informatica, e per una volta intendiamo da molto prima di quanto pensiate. Ovviamente questa non è la sede più adatta per un escursus giuridico-tecnico quanto per uno piuttosto storico, per dimostrare come la pirateria esisteva ai tempi del retro: le due cose però tendono a incrociarsi in quanto pirateria e cheat code sono tra le cose che hanno definito l’approccio legale alle IP.

C’era una volta la pirateria informatica (non che sia del tutto andata via)
E la pirateria informatica nasce, sostanzialmente, coi primi programmi commerciali.
Prima della pirateria: la proto-pirateria
Sostanzialmente, senza commercio ancora non si parlava di pirateria. Abbiamo visto come all’inizio della creazione ogni software era sostanzialmente “libero”, o meglio lo scenario tipico era condividere un programma appena creato lasciando che crescesse.
Giochi come Colossal Cave Adventure e MUD nascono così per poi passare ad una fase commerciale in cui il prodotto viene venduto e distribuito. La pirateria comincia proprio così: nel momento in cui comincia ad esistere qualcuno che vende programmi, qualcuno decide di comprarli e/o di ottenerli in modi alternativi.
Un esempio cardine è quello di Kevin “Il Condor” Mitnick, che nel 1979 si impossessò dei dati di sviluppo di RSTS/E, un sistema operativo, semplicemente telefonando agli uffici DEC millantando di essere un programmatore che aveva perso le password e voleva un “aiuto” per continuare a lavorare.
Nell’era del passaggio dalla programmazione come hobby alla programmazione come lavoro a tempo pieno si introduce nel dibattito Bill Gates, all’epoca creatore di Altair BASIC, araldo del celebre BASIC usato nella maggior parte dei computer degli anni ’80 e antesignano del successo di Microsoft come creatrice di MS-DOS.

La lettera agli hobbisti di Bill Gates, prima traccia scritta della lotta alla pirateria
Bill Gates, stanco nel vedere copie di Altair BASIC girare tra gli hobbisti, scrisse una lettera aperta assai infuocata agli stessi inventando di colpo il concetto di pirateria informatica e di contrasto alla stessa. Se ancora ai tempi di Zork era, come abbiamo visto, non solo ammesso ma buona pratica prendere un programma a caso trovato su un computer a caso, copiarlo, migliorarlo se ce la fai e in ogni caso farlo tuo (germe di quello che sarebbe diventato l’Open Source) Bill Gates rivendicò il diritto per un programmatore di essere pagato per il suo lavoro e imporre royalty e diritti di copyright.
“Quello che state facendo è un furto”, scrisse Bill Gates prendendosela con chi riteneva logico distribuire copie pirata di Altair BASIC, e intimando la cacciata dai club di hobbisti di quelli che di fatto avevano inventato un altro aspetto comune della pirateria: coloro che vendevano le loro copie pirata, ad un prezzo inferiore delle copie autorizzate ma comunque intascando un netto profitto.
Gli anni ’80 e l’era della Pirateria
Arriviamo così a bomba agli anni ’80. Gli Home Computer si diffondono nelle case, e si diffonde la fame di software. Non tutti gli ordinamenti sono pronti alla sfida: ancora nel 1982 in Italia i videogames erano solo “aggeggi nati per sollevare dalla noia gente sfaccendata” (Pretura di Torino, 25 maggio 1982) e quindi immeritevoli di tutela e protezione, e copiare un programma era una fortissima tentazione.
Il metodo più immediato in tutto il mondo erano i “copy party” o semplicemente “l’amico di amici”: si andava al club degli hobbisti o nelle community, qualcuno metteva in comune un programma appena comprato, magari a colpi di colletta, qualcun altro metteva a disposizione un lettore floppy o un mangianastri a doppia piastra e le copie cominciavano.
Un altro metodo erano le BBS, le antenate dei servizi di rete odierni.
Sostanzialmente telefonavi ad un computer sempre acceso (o quantomeno che si peritava, alla prima connessione, di indicarti gli orari in cui l’avesti trovato. Perlopiù quelli in cui l’essere umano dietro la scrivania poteva permettersi di lasciare il telefono occupato). Questo computer aveva le sue memorie di massa (se l’utente medio del Commodore 64 si accontentava del Datassette e del floppy drive 1541, il floppy 1581 dalla capienza superiore e i primi Hard Disk modello CMD Thunderdrive erano perfetti per lo scopo) e offriva agli altri computer collegati una serie di servizi.

Screenshot di FidoNET, fonte X
Messaggi in una “bacheca virtuale” (traduzione di Bullettin Board), comunicazioni private antenate della posta elettronica, notizie offerte dal gestore della BBS e programmi da scaricare, non tutti legali (anzi).
Sovente il “fascino” di alcune BBS veniva dato dalla capacità di ospitare “warez”, ovvero software piratato facile da scaricare. Ti collegavi, scaricavi un elenco di programmi, sceglievi il programma che ti “tentava tre volte tanto”, e avevi il tuo bravo “warez” e non solo, spesso autentiche istruzioni per dedicarti ad altri tipi di pirateria, come le celeberrime “blue box” per rubare telefonate interurbane al costo di una urbana.

Esempio di floppy pirata
Ma in un’epoca in non tutti avevano accesso ad un modem, chi non aveva un amico poteva procurarsi un amico… con una piccola mercede. Nelle memorie di ognuno dei lettori c’è sempre quel piccolo negozietto che non si capiva esattamente di cosa campasse che ti forniva l’originale a prezzo pieno, e la copia a prezzo ridotto, se non un bel mazzetto di copie, orgogliosamente siglate col numero di telefono del negozio perché tanto all’epoca nessuno avrebbe mai denunciato (e non era chiaro neppure il come) in omaggio coi lettori per ingolosire il lettore.
Ovviamente la pirateria era possibile anche per le console su cartuccia, ancorché questo rendeva necessari strumenti particolari: i “majikon”, cartuccie “in bianco” usate anche per caricare trucchi, che se ora sono diffuse ed usano tecnologie moderne come le MicroSD all’epoca erano più costose e difficili da reperire, pilotando quindi la pirateria software su cassette e floppy.
Ma come abbiamo visto, c’erano posti, come l’Italia, in cui le cose andavano ancora peggio.
La pirateria in Italia
La pirateria Italiana era decisamente sfacciata: non era solo appannaggio del club, dell’hobbista e del negozietto e/o dell’ambulante, ma esistevano interi indotti della Pirateria.
Riviste legalmente registrate come tali il cui oggetto non era la rivista, ma l’allegato. Cassette (più spesso) e floppy disk (in seguito e più di rado) con versioni piratate e bootleg dei maggiori giochi per il Commodore 64, 16, VIC20, Spectrum ed MSX.
Potevi pagare a prezzo pieno Lode Runner, capolavoro della Broderbund, o comprare una improbabile cassetta compilation con una dozzina di giochi tra cui “Fugone“, storia di un “fugone” da degli “ometti maledetti”, oppure “Transformers”, storia di tale Roderick, vero e proprio Orlando spaziale che dopo aver combattuto i Mori (!!!) scopre che l’amata Guendalina (!!!) è stata rapita da alcuni alieni che possono essere sconfitti dal “Transformer”, una nota arma Gedi (!!!), per non parlare di “Remigio” storia alternativa in cui sei un bizzarro anziano disegnato male col potere della “fiamma sacra”.

Esempi di bootleg
Ovviamente avrete capito come la cosa funzionava: in redazione c’era sempre qualcuno che sapeva su quale BBS recarsi per scaricare gli ultimi titoli, oppure su quale mercatino recarsi per tornare coi giochi del momento, e c’era sempre un programmatore pronto a far saltare i sistemi di protezione da copia (ne parleremo), aggiungere trainers e hack (trucchi per avere vite illimitate e altri vantaggi non presenti nel gioco originale), e si trovava sempre un produttore di musicassette pronto a copiare un lotto di cassettine “pirata ma legali”.
In un mondo che considerava la pirateria una inevitabilità, in Italia la Pirateria era una inconsapevolezza: una intera generazione ha vissuto tutti gli anni ’80 e ’90 credendo che “Fugone” fosse un gioco originale perché venduto in una scatola stampata “professionalmente” e perché munito del bollino SIAE (che appartneneva alla rivista) e che Donald’s Playground della Disney fosse davvero venduto con una cover mostrante Paperino con scarpe di gomma che legge un fumetto dal titolo “THE FAG” (irripetibile insulto traducibile con “IL FRO**O”).
Nel settore musicale abbiamo anche la celebre storia di Mixed by Erry, immortalata ormai in diversi libri e almeno un film, le “compilation di cassette” mixate e vendute dopo averle registrate direttamente dalla radio e dalla TV (ad esempio prima delle compilation ufficiali c’erano i “Mixed by Erry” di Sanremo registrati dalla TV in serata, montati in nottata, duplicati in mattinata, spediti per strada in giornata).
Le conseguenze
Innanzitutto, se in Italia ancora adesso il nostro ecosistema videoludico parte con una zavorra epocale, è proprio perché la pirateria aveva popolarizzato gli home computer e annientato il mercato interno.
Programmatori di pregio come Colombini (Avventura nel Castello) videro la loro avventura videoludica stroncata sul nascere dalla pirateria, e proprio negli anni ’80 cominciarono ad apparire i “mezzi adeguati di protezione” del diritto di autore, nel caso dei videogames l’equivalente degli “offendicula”, i “cocci aguzzi di bottiglia” attaccati alle pareti.
Le cartuccie del NES, in Occidente, furono munite del 10NES, o lockout chip, un circuito gemellato con la console che avrebbe costretto il NES a riavviarsi costantemente in caso di cartucce pirata o comunque non autorizzate simulando un guasto agli occhi del giocatore.
Assieme alla crescente attenzione del diritto (già nel 1985 italiano era possibile nuovamente avere provvedimenti di urgenza contro i pirati, che però semplicemente “passavano ad altro”) nacquero sistemi di protezione da copia.
I produttori di giochi cominciarono a passare al floppy, dove era possibile introdurre errori intenzionali e usare sistemi di file system non-standard, specialemente sul Commodore 64 dove il lettore 1541 era, di fatto, un computer a parte, acefalo, che comunicava col Commodore 64 via seriale e poteva essere programmato.

Immagine del lockout chip
Nacque una corsa alle armi tra produttori e pirati: i produttori implementavano loader e sistemi di caricamento a prova di copia, i pirati compravano programmi come “Fast Hack’Em”, le Action Replay e i Nibbler (programmi per la copia “settore per settore”) per duplicare e sproteggere i giochi.
In quei tempi si parlava già di sistemi di protezione che oggi per ovvi motivi sarebbero impossibili, come floppy progettati per essere non solo illeggibili se copiati, ma “starare” il lettore dei pirati che avessero provato imperitamente a copiare nonostante lo sferragliare del floppy.
Uno dei primi virus della storia, nonché il primo per Commodore 64, nacque proprio sfruttando la pirateria, come una sorta di scommessa tra il suo autore e gli altri hobbisti convinti che un virus potesse riprodursi rapidamente solo se caricato sulla Rete: il BHP-Virus mostrò che anche la pirateria era un buon vettore.
Altra conseguenza fu la crescente attenzione delle forze dell’Ordine e del diritto verso la pirateria.
Con la celebre “Operazione Sundevil” degli anni ’90 partì in America un Crackdown delle BBS, accusate di distribuire istruzioni e strumenti operativi per rubare telefonate alle compagnie telefoniche ma pizzicate in tale occasione a condividere “warez”, software pirata illegale.
Anche la famosa ditta di giochi da tavolo Steve Jackson Games vi finì in mezzo, quando uno dei suoi creativi fu pizzicato con le mani in pasta in una BBS, mentre usava computer della ditta, riuscendo a causare il sequestro del materiale necessario per finire il loro ultimo gioco da tavolo, GURPS Cyberpunk, che uscì con ritardo, perdite economiche e la tagline “Questo è il gioco sequestrato dai servizi segreti!”

Il manuale di Budokan
Nel 1994 l’operazione italiana Crackdown o Fidoboost si diresse direttamente alle BBS e direttamente per combattere i “warez”, di fatto ponendo finer alla loro era.
In tutto il mondo i manuali di gioco si arricchirono di spot contro la pirateria informatica delle varie società autoriali: in Budokan, the Martial Spirit apparve un lungo apologo.
La storia riportata nel manuale descriveva dei monaci intenti a vendere riso e grano ai poveri, ma i poveri che non potevano permetterseli andare dai briganti che derubavano i monaci stessi. Il racconto si chiudeva coi monaci che, costantemente derubati, smettevano di vendere il riso e il grano lasciando che tutti morissero di fame e la chiosa che ricordava al pirata a casa che lui, il pirata, era un sudicio bastardo che stava affamando il mercato del videogioco e della creatività e meritava di morire di fame.
Ovviamente, parallelamente alla pirateria informatica si sviluppava la pirateria audiovisiva, che presto si sarebbero riunite.
Dagli anni ’90 al ’00: dai masterizzatori a Napster
Nel 1994 Commodore fallisce. Nel 1994 nasce la Playstation e il concetto di “Home Computer da Gioco”, già lavorato ai fianchi da Nintendo e SEGA, viene travolto dalla nuova console.
Nel 1994 cominciano a diffondersi i “PC Multimediali”, coi loro bravi masterizzatori.
Per tutti gli anni ’80 era diventato possibile duplicare cassette usando due videoregistratori a cascata, e l’occasionale “Virus Killer”, congegno venduto anche da Nuova Elettronica per ovviare al Macrovision, sistema di protezione che rendeva le VHS incopiabili. Adesso la pirateria era facile come masterizzare un CD.
I giochi erano passati dal floppy al CD, e timidamente le VHS cominciavano a lasciare posto al VideoCD ed al DVD, mentre la musica passava dalle cassette al CD.

E invece?
Ogni Playstation venduta poteva quindi arrivare a casa “con la modifica”, ovvero chip o aggeggi esterni attaccati alla porta seriale per leggere anche i dischi copiati. Dischi che si poteva copiare in casa col proprio PC, o comprare dai “manteros”, sulle bancarelle degli abusivi per pochi spiccioli, spesso giochi orientali semiconosciuti con applicati titoli di IP di pregio (Pokemon era tra le vittime preferite).
Furono anche gli anni del “Tu non scaricheresti mai una macchina”, goffe pubblicità pluriparodiate che ricordavano i mali della pirateria, ed anche i mezzi antipirateria divennero sempre più sottili, spingendo il nuovo utente “connesso” ad autodenunciarsi alle collettività di giocatori, oppure lasciandoti giocare fino a quasi il finale per poi levarti di colpo la soddisfazione.
Troverete qui alcuni elenchi di sistemi anticopia.
Nel giugno del 1999 arriva Napster, ed è la rivoluzione del Peer-to-peer.
Per anni la pirateria si era nutrita di amici che ti passano cose: grazie a Napster internet era un “fiorire di amici”: la connessione avveniva peer to peer, da computer a computer, senza un sito “centrale” da cui scaricare, salvo la possibilità di usare server per la sola indicizzazio.
Napster nacque e morì in un annetto: nel 2000 i Metallica fecero causa ai produttori del software lamentando la pubblicazione di una propria canzone, ma il calcio di inizio era stato dato e si passò a sistemi “OpenNAP”, come WinMX, derivato del sistema e infame tra i pirati del mondo.
Su WinMX trovavi di tutto: musica, film, “iso” (ovvero le immagini disco di giochi per PC e PlayStation pronti da essere masterizzati) e programmi da installare.

WinMX, un tempo
Ovviamente, ai primi del 2000 la banda larga era poco diffusa, e viveva lo scenario del pirata che “faceva notte” per scaricare un film di pregio, sapendo che se fosse arrivata una telefonata la connessione sarebbe caduta e mettendo in conto di trovare un “simpatico umorista” pronto a caricare un porno particolarmente abominevole col titolo dell’ultimo film uscito al cinema o riempire di virus la copia di un gioco particolarmente rinomato.
Era cominciata, citando l’anime, manga e serie Netflix One Piece “La grande era della pirateria”. Presto arrivarono nuovi programmi peer-to-peer, come eDonkey2000, sostituito in seguito alla sua chiusura dal clone opensource eMule e dal simile software Shareaza.
Con l’estendersi delle connessioni sempre più veloci e della banda largam, ogni smanettone, e a volte neppure tale ma il semplice ragazzo dotato di conoscenze medie, poteva diventare un pirata.
La Pirate Bay e il declino della pirateria
Ovviamente nel mare magno del Peer-to-Peer si trovava di tutto. È esisita persino una copia per le forze dell’ordine, Shareaza LE (“Law Enforcement”) usata in almeno un caso per scaricare liste di IP e trovare utenti che condividevano materiale pedopornografico.
E la pirateria divenne anche mezzo di lotta: Gottfrid Svartholm, Fredrik Neij e Peter Sunde crearono la Pirate Bay, sito-raccolta di file torrent e link magnet, il sistema con cui BitTorrent, uno dei principali sistemi di download riceve le liste di file da cui trovare utenti pronti a condividerli in un determinato momento.

uTorrent, un client Torrent ora
BitTorrent divenne lo strumento per trovare ogni cosa, evitando per quanto possibile sgradite sorprese, e diventare strumento di attivismo invocando una riforma del concetto di copyright.
Ma quello che sconfisse la pirateria, o meglio la relegò fuori dai radar, non fu la censura ma l’offerta e la banda larga.
La pirateria nei videogiochi? Sostanzialmente a limitarla è stata la scoperta del gioco online moderno, col rischio di essere “bannati”, ovvero esclusi dall’esperienza collettiva.
La pirateria audiovisiva? Semplicemente Amazon Prime Video, Netflix, Disney +, Paramount + e altri servizi video, nonché Prime Music, Apple Music e Spotify Premium danno accesso a vagonate di musica con una piccola mercede.
La pirateria è stata quindi erosa dalla praticità: paghi qualcosa per avere di fatto con minima spesa la massima resa.
Sistemi di scambio file peer-to-peer, e pirateria “domestica” esistono però ancora, e paradossalmente la massima offerta rischia di farli tornare: frammentando l’accesso a giochi e audiovideo in diverse piattaforme, c’è sempre chi sarà tentato dal “rimettersi il cappello pirata” per “avere tutto”.
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