C’era una volta Ken il Guerriero: “Tu sei già morto, ma non lo sai”
Con la presentazione della mostra di Ken il Guerriero alla Lucca Comics agli sgoccioli (finirà domani, 2 novembre), ma che chi vi scrive sta vivendo in queste ore, un pezzo dei ricordi del lettore di questa rubrica torna in vita.

Copertina di Ken il Guerriero donata a Lucca Comics
Non si tratta di boomerismo, non si tratta di girella: si tratta di un pezzo di storia che ha cambiato i destini di un intero genere letterario e orientato il concetto stesso di manga e anime in Italia. Chi pensa agli “anime degli anni ’80”, capace tirerà fuori dal cilindro un ricordo su Kenshiro o uno dei due Mazinga.
Ma andiamo con ordine.
Le origini di Ken
Al principio Tetsuo Hara, uno dei due padri della saga, era un ragazzino cresciuto a pane e Uomo Tigre, interessato all’animazione ma poco al fumetto. Sarà per lui un gusto acquisito, che svilupperà nella scuola media dopo aver sognato di diventare un animatore, realizzando che anche nel mondo del fumetto statico con abilità puoi creare scene dinamiche.
Incidentalmente questo creerà una delle mille leggende metropolitane intorno a lui, quella che vuole il suo iconico tratto con proporzioni “sopra le righe” e spesso distorte essere il frutto del cheratocono con cui ha combattuto tutta la vita e non invece del tentativo (riuscito, a parer dello scrivente) di riprodurre in una scena statica le distorsioni del movimento e del “punto di vista” dei personaggi (ad esempio, una scena in cui un Raul enorme tira un pugno ad un Toki insolitamente piccolo, esprime come dal punto di vista di Toki il fratello sia diventato un ostacolo enorme e insormontabile e il suo pugno espressione del concetto di “forza inarrestabile”).
Il suo primo fumetto pubblicato su Weekly Shonen Jump sarà il dimenticabile Iron Don Quixote, le avventure di un leale ma scavezzacollo pilota di motociclette (assurdamente simile ad un Kenshiro in abiti moderni) che con l’aiuto di una manager sbarazzina e dal carattere volitivo (assurdamente simile ad una Lynn adulta…) decide di sfidare il mondo del motociclismo e le pastette di un team corrotto che si compra le vittorie, con piloti comunque in grado di esprimere abilità e lealtà e con le facce dei cattivi del futuro Ken il Guerriero come Shin e Raul.

Scena di Iron Don Quixote
Il fumetto durerà pochi mesi, ma avrà un successo tale da spingere gli editori a dare fiducia al giovane. Fiducia condizionata: Nobuhiko Horie, il suo editor, si convincerà che Tetsuo Hara era un eccellente disegnatore, ma “non gli reggeva l’abilità di fare storie lunghe”, e decise di affiancargli autori, come Yoshiyuki Okamura, per gli amici Buronson, reduce da una vita di “uomo duro” entrato nell’esercito per sfuggire alla povertà.
Horie agì da mediatore tra i due, ed egli stesso inserì alcuni sfondi e tematiche nella sua opera.
Tetsuo Hara voleva sostanzialmente un “moderno western” incrociato con Mad Max: un mondo apocalittico in cui un Buon Samaritano, come il “cappello bianco” dei western di Sergio Leone (a loro volta derivati dalle storie di Akira Kurosawa, a loro volta ispirate dal western vintage riletto in salsa nipponica) arriva in villaggi in difficoltà, sconfigge i banditi e protegge gli innocenti.
Un mondo in cui, come tutti i più appassionati ricordano, i cattivi sono sempre “dei tamarri con le creste punk che leccano i coltelli”, ma i “boss” sono persone dalle grandi ambizioni e desideri.
Tetsuo Hara riprende l’iconografia di Iron Don Quixote e immagina il suo eroe come un miscuglio fisico tra Bruce Lee e Yusaku Matsuda (noto “ultrabelloccio” della TV Giapponese d’epoca, oggi lo definiremmo un divo vero e proprio, eclettico e amatissimo), con la personalità cupa e dolente del Max Rockatansky dei capitoli successivi della saga di Mad Max, piantato non nel colorato mondo delle corse ma “alla fine del ventesimo secolo”, in “un mondo sconvolto dalle radiazioni atomiche” dove “Gli oceani erano scomparsi e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti”.

Esempio delle tecniche di Hokuto e di tamarri tatuati che leccano i coltelli
Però vuole che egli salvi il mondo non con le pistole, ma con le arti marziali: Horie suggerisce di prendere spunto dall’antica agopuntura cinese che aveva visto in un libro, creando un eroe che “ti uccide dal di dentro e non dal di fuori”.
Nacque così la “Divina Scuola di Hokuto”, una scuola di arti marziali al servizio degli antichi Imperatori della Cina in passato, diventata poi una casta di impalacabili guerrieri e assassini per la giustizia col potere di guarire e uccidere allo stesso modo, setta che consente ad un solo erede di apprendere gli insegnamenti della Divina Scuola e scarta gli sconfitti.
Ken il Guerriero: l’iconografia
La Scuola di Hokuto è una scuola evolutiva: scopo del Maestro è apprendere le tecniche dei rivali sconfitti, ma Kenshiro farà altro. Egli imparerà la pietà e il dolore, incarnati dall’ormai celebre “trasmigrazione attraverso Satori” (errata traduzione dove Satori diventa un nome di cosa anziché il concetto di illuminazione) in cui Kenshiro trae potere ricordando le tecniche, le emozioni e gli insegnamenti trasmessi da coloro che ha sfidato e combattuto con lealtà, e con ogni scontro crescerà come persona ed eroe.
Kenshiro incontrerà una serie di personaggi: l’amata Julia (Yuriya), vero motore immobile della vicenda, la Beatrice del Ken-Dante, figura angelica che spingerà al bene chiunque incontri mentre Kenshiro cerca di lottare per il bene, il malvagio Shin, geloso del suo amore per Julia e pronto a sconfiggere e infliggere a Ken le sue iconiche cicatrici a forma di Stelle di Hokuto (le stelle dell’Orsa Maggiore) per rapire Julia e poi immolarsi nel ruolo del cattivo per consentire a Julia di nascondersi e, facendosi uccidere da Kenshiro, assumersi tutte le colpe di tutti i personaggi.

Siamo alla fine del ventesimo secolo
Ma anche Toki, fratello buono di Kenshiro che avrebbe potuto diventare Maestro ma si è sacrificato per difendere Kenshiro e Julia dalle radiazioni, diventando debole e malaticcio, Raul, il Condottiero, il “Re di Hokuto” (visibilmente ispirato al Dolph Lundgren di Blade Runner) che desidera la potenza di Hokuto per creare una Pax Romana nel mondo Postatomico non realizzando che il Destino ha già deciso che sarà la benevola protezione di Kenshiro a far risorgere il mondo e non la sua grande ambizione, la citata Julia, l’orfano furbo e astuto Bart e la bimbetta Lynn, muta e traumatizzata a causa del male delle terre postatomiche e guarita dalle tecniche miracolose di Kenshiro.
Hara e Buronson scelgono una struttura formulaica, come tutti gli spettatori ricorderanno: Ken arriva in un villaggio perseguitato dai tamarri, usa le sue arti marziali per sconfiggere tutti e, come in tutte le serie dell’epoca, arriva il momento/scena madre/tormentone.

“Il Salvatore nell’Arena”, olio su tela, 2025
Kenshiro si strappa i vestiti dalla rabbia, usa la sua tecnica finale sul tamarro, e mentre quello sta ridendo convinto di non essersi fatto niente, lo guarda truce ed esclama
“Omae wa mou shindeiru” (お前はもう死んでいる)
Ovvero
“Tu sei già morto, ma non lo sai…”
E l’avversario lo osserva dicendo?
“NANI?” (何)
Ovvero
“COSA?!?”
Per poi esplodere in un getto di sangue mentre il narratore spiega come le tecniche della scuola di Hokuto annientano l’avversario dall’interno influenzando i “punti di pressione” che nell’agopuntura cinese controllano il flusso vitale di ognuno di noi.
Sulla struttura formulaica si innestano una serie di scontri, come la rivalità tra la scuola di Hokuto e quella di Nanto, ispirate all’Orsa Maggiore e alla Croce del Sud, esemplificata dalla frase
“Quando Nanto si dispera nel Caos, Hokuto fa la sua comparsa”
Che esprime come Kenshiro dovrà affrontare i rappresentanti della scuola rivale, alcuni perduti nel Male, altri ancora buoni e generosi e sconfiggerli. O come lo scontro tra Kenshiro e il fratello adottivo/compagno di allenamento Raul, in sella all’iconico cavallo Re Nero che vorrebbe usare l’Hokuto per imporre la sua pace nel mondo.
Tematiche e topos letterari
Salvo eccezioni Ken non prova piacere nel distruggere il suo avversario: un altro topos letterario che ha introdotto la serie è la pietà per l’avversario.
Kenshiro piange per il suo nemico, cerca di capirne l’ambizione sia pur non condonando la malvagità, ed uccide non con gioia, ma per dovere ed eroismo.
Circondato da simili personaggi, come Rei, guerriero di Nanto inizialmente noncurante e desideroso solo di rivedere l’amata sorella rapita dai soliti banditi tamarri ma che si sacrifica per l’amore di Mamiya, donna di cui si innamora, sfidando una condanna a morte inflitta da una mossa di Raul per sconfiggere il malvagio Juda (a cui consentirà di morire tra le sue braccia, rispettando un rivale sconfitto e crudele, ma allo stesso tempo valoroso) o come Shu, generoso guerriero che in passato si privò della vista per perorare la causa di Kenshiro, il guerriero della libertà Juza delle Nuvole e il “gigante buono” Fudo della Montagna, un tempo temibile brigante diventato un nobile protettore dei deboli e dei bambini, sfiderà altri malvagi come Sauzer, ossessionato dal ricordo del suo maestro e dalle ambizioni di potere, o lo stesso Raul.

Esempio di proporzioni non proporzionate
Eccezione alla sua regola di rispettare e onorare l’avversario saranno due imitatori, Jagger e Amiba. Il primo è un uomo mascherato (concetto ispirato a cattivi come Darth Vader e il Lord Humungus nemico di Mad Max), un tempo rivale di Ken il Guerriero che, rimasto sfigurato in uno scontro contro di lui, aveva deciso di prenderne il posto e distruggerne la reputazione, il secondo una sorta di Simon Mago rispetto a Toki: dove Toki è una figura messianica che aiuta il prossimo senza riserve, Amiiba è un Dottor Mengele post-Moderno che tortura prigionieri inermi per ricreare le tecniche millenarie di Hokuto e monetizzarle, ed entrambi moriranno senza ricevere la pietà che spetta agli ambiziosi, se non ai giusti.
Non è uno spoiler il finale dolceamaro della prima stagione: Kenshiro scoprirà che Julia è l’ultima leader per natura della scuola di Nanto, destinata a vincere quel caos, ma prima di riunirsi a lei dovrà sfidare Raul. Ovviamente Raul perirà, ma orgoglioso di aver vissuto sempre a modo suo e senza rinnegare la sua ambizione: Julia però è gravemente malata, e non potrà nè guidare una Nanto ormai distrutta, nè godere a lungo dell’amore di Kenshiro. I due si allontaneranno comunque verso una nuova vita, ancorché breve, lasciando Lynn e Bart nel deserto da bravi genitori surrogati amorevoli (Seee…)
Seguirà una serie sequel, dalla sigla non meno trascinante ancorchè in madrepatria meno recepita della prima, in cui dopo anni di esilio e lutto Kenshiro viene richiamato dai “Guerrieri di Hokuto” (Lynn e Bart sopravvissuti al deserto, ora adulti e misericordiosi come il loro mentore) per sconfiggere i tiranni della malvagia scuola di Cento, usurpata ad una sorella segreta di Lynn per poi correre al salvataggio di Lynn tenuta prigioneria dai seguaci della Sacra Gemma di Hokuto, una delle Tre Scuole Principali (una per ognuno dei Tre Regni nati dalla Rivoluzione dei Turbanti Gialli cinese de 184) evolutasi intorno al concetto di “Potere equivale a Giustizia” e non intorno alla compassione, salvando la fanciulla (riaffidata a Bart) e riportando l’Hokuto stesso sotto l’egida di una scuola di giustizia e non affidata dal demoniaco tiranno Raoh.
Altro topos letterario che avvolge tutta l’opera è il destino: Kenshiro era destinato ad essere il Salvatore del Mondo, Raul era destinato a non diventare il Re che avrebbe voluto essere, Toki era destinato alla morte.
A proposito della morte, la stella doppia dell’Orsa Maggiore Alcor e Mizar viene nella serie reinterpretata: se nel mondo reale riuscire a distinguere Alcor da Mizar significa avere una vista perfetta, nel mondo di Ken il Guerriero chi vede le due stelle binarie come due stelle distinte che brillano allo stesso modo nel cielo notturno, anzi vede Alcor brillare più forte di Mizar e al suo fianco, viene descritto come colui che ha visto la “Stella della Morte”, una stella benevola che veglia sui morenti per illuminare i loro ultimi giorni di vita.
Solo un personaggio sfuggirà alla Stella della Morte, Mamiya, e solo perché Rei darà la sua vita per lei.
Il successo
Ken il Guerriero ebbe successo in due posti: Giappone e Italia. Non che non fu una sensazione nel resto del mondo, ma in Giappone ridefinì il concetto stesso di Shonen, fumetto per ragazzi, e in Italia contribuì all’invasione del manga e dell’anime.
Su Weekly Shonen Jump presto conquistò le prime pagine, quelle subito dopo la copertina con tavole a colori, la carta migliore e la copertina dell’antologia a strombazzare il campione di incassi, e causò uno spostamento di genere che vide accrescersi la popolarità del fighting manga, orientando il pubblico su storie come Dragonball (che in quel periodo passò da parodia del genere di combattimenti ad un vero e proprio epicentro di battaglie epiche) e la saga delle Bizzarre Avventure di Jojo.
In Italia, nel bene e nel male divenne sinonimo di tutto quello che è “giappanimazione”, apparendo in casi di cronaca come gli ormai celeberrimi quanto infami articoli sui vandali che lanciavano sassi dai cavalcavia di Ortona nel 1996, descritti dalla stampa come istigati dalla visione di Ken il Guerriero nonostante in tutta la serie non ci fosse un cavalcavia neppure a pagarlo, invocando la sostituzione dei drammatici eroi giapponesi con “personaggi buffi e divertenti”.
Ma anche conquistando i cuori di una generazione con le sue due sigle, la prima adattata in Italiano e la seconda lasciata in inglese.

Pletora di copertine e gadget
A questo punto Ken il Guerriero era ovunque, e si sottolinea ovunque. Nei cioccolatini, stampato sui profilattici, protagonista di diversi videogiochi (per motivi di diritti d’autore, alcuni arrivati in Occidente censurati, come Black Belt e Last Battle, in cui Kenshiro diventa Riki o Aarzak a seconda del titolo…), omaggiato e parodiato… era diventato un bizzarro e meritato fenomeno di costume Giapponese e Italiano.
E a quel punto la storia potrebbe chiudersi qui: Tetsuo Hara percepì di aver raggiunto il massimo, e il fallimento di Cyber Blue, serie sci-fi successiva che si portò via la reputazione e la carriera di tutti coloro coinvolti nella sua produzione tranne Hara che aveva il “tesoretto” di Ken lo convinse che non poteva fare più di così ed era meglio ritirarsi.

Keiji il Magnifico
Fortunatamente negli anni ’90 arrivò Keiji il Magnifico, biografia romanzata dell’ancora più romanzata biografia di Keiji Maeda, un samurai gaudente e incline agli eccessi, sorridente e gioviale quanto Kenshiro era cupo e devoto alla sua missione.
Il successo di Keiji il Magnifico convinse Tetsuo Hara che il suo limite non era stato ancora raggiunto, e si dedicò ad un prequel, ancora in corso di Ken il Guerriero, Souten no Ken, con un altro Kenshiro, avo del primo, fratello del Venerabile Maestro che avrebbe insegnato a Kenshiro e Raul la loro arte, un uomo a metà tra Keiji e Kenshiro.

Tavola di Souten no Ken
Un uomo più maturo, meno tormentato, non già il salvatore di un mondo distrutto, ma il protettore del mondo dell’Oriente tra le due Guerre Mondiali, circondato da figure sensuali e misteriose.
E ora?
Ken il Guerriero vive ancora nel cuore di tutti noi.
Souten no Ken: Regenesis, il prequel della saga, continua ad essere pubblicato, e Tetsuo Hara continua la pubblicazione di Bonolon, un incrocio tra il Lorax di Seuss e Bud Spencer, un “guerriero della natura” peloso e mostruoso ma dal cuore gentile che protegge i bambini e la natura.

Bonolon, da Animeclick
Come se il Lorax avesse mai detto ad Onceler “Tu sei già morto, ma non lo sai”.
Ove non precisato le immagini provengono dalla mostra “Come un Fulmine dal Cielo” di Lucca Comics and Games 2025.
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