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C’era una volta Dragon Quest (e il Gioco di Ruolo alla Giapponese)

Abbiamo parlato in una pillola del remake dei primi due Dragon Quest, iconico gioco di ruolo alla Giapponese da cui è nato l’intero filone del jRpG.

Il jRpG ha una serie di caratteristiche uniche del suo genere che molti però omettono di dire sono tutte nate in Occidente.

Per essere precisi in un determinato momento storico: la AppleFest di San Francisco, tra il 28 e il 30 Ottobre del 1983, tenutasi al Moscone Center.

C’era una volta Dragon Quest (e il Gioco di Ruolo alla Giapponese)

Una manifestazione antenata dei futuri Macworld Expo, sospesi a tempo indeterminato per essere sostituiti dai Keynote.

Perché il 1983 era così importante per il jGdR?

Analizziamo la straordinaria confluenza di elementi cari al giocatore moderno.

Nel 1977 era arrivato sugli scaffali l’Apple II, consacrazione di Apple da “ditta di scappati di casa in un Garage” a parte dei “grandi Tre” dell’Informatica domestica, ovvero Apple stessa, Commodore e Tandy/RadioShack.

L’Apple II aveva attirato diversi programmatori e produttori di giochi, tra i quali nel 1981 Andrew Greenberg, che pubblicò per Sir-Tech la saga di Wizadry.

Wizardry era l’erede dei vari Dungeon Crawl, giochi di esplorazione di dungeon, a metà tra Colossal Cave Adventure e MUD. Sostanzialmente Greenberg e Robert Woodhead furono ispirati da una intera produzione durata tutti gli anni ’70 di giochi creati con PLATO (Programmed Logic for Automatic Teaching Operations), interfaccia per l’istruzione assistita nata per fornire tecnologie educative mediante computer e l’antenato di quello che sarebbe diventato tra l’altro la didattica a distanza.

Poster della Apple Fest 1983

Ovviamente PLATO fu usato per scopi molto meno educativi: come computer universitari finirono ad ospitare Colossal Cave Adventure, Zork e MUD, PLATO fu usato per generare diversi giochi di ruolo e online, come Oubliette del 1977, dove diversi avventurieri anziché incontrarsi in classi virtuali per studiare si incontravano in taverne virtuali per organizzarsi e conquistare dei dungeon.

E fu usato da ispirazione per il duo Greenberg e Woodhead, che cominciarono una saga nata nel 1981 con Wizardry: Proving Grounds of the Mad Overlord, primo gioco fantasy con il sistema a “party” tipico dei Giochi di Ruolo alla Giapponese.

Schermata di Wizardry

Un gruppo di eroi noti solamente per la loro classe guerriera in Wizardry: Proving Grounds of the Mad Overlord si riunivano in una taverna per assaltare un dungeon pieno di mostri e sconfiggere il crudele stregone Werdna (Andrew scritto al contrario), con una struttura di gioco affine ai futuri jGdR, con un party, un gruppo di eroi pronti ad alternarsi in un combattimento a turni.

Nel 1980 invece arrivò Ultima. Quasi: Richard Garriott, giovanissimo programmatore che sognava di essere un astronauta ma essendo fortemente miope sapeva sarebbe stato riformato, dopo 27 tentativi falliti creò un gioco di ruolo, Akalabeth, in cui un uomo dei nostri giorni viene trasportato in un magico mondo fantasy dal Re Lord British (soprannome di Garriott stesso…) per sconfiggere dieci crudeli mostri e salvare il mondo stesso.

Mappa di gioco di Ultima II

L’anno dopo Akalabeth fu incorporato in una saga durata decenni e che mosse i suoi capitoli dall’Apple II: la saga di Ultima. Il Regno Incantato divenne il regno di Sosaria (poi distrutto e ricreato nel più piccolo regno di Britannia) e la lore fu stabilita una volta per tutte nelle avventure di uno “Straniero” del mondo moderno, portato nel mondo incantato, per diventare Avatar, il paragone di ogni virtù.

Screen di Ultima VI

Oltre agli stilemi del genere jGdR, dai combattimenti a turni ad un cast “precompilato” di eroi pronti ad aiutare il protagonista, era nata una convenzione del genere fantasy Giappponese non usata in Dragon Quest ma abusata in tempi successivi: il genere Isekai, quello in cui un uomo moderno dalla vita banale e noiosa si sveglia in un mondo incantato diventandone il valoroso eroe.

Nel 1983, alla AppleFest di San Francisco era possibile giocare coi primi tre capitoli della saga di Ultima e i primi tre della saga di Wizardry sull’Apple IIe, il modello più commercializzato della serie.

Arrivano i Giapponesi

A questo punto della storia Enix Corporation, ancora non fusa con Square, decide di lanciare un concorso per giovani esordienti il cui premio è proprio un viaggio spesato tutto compreso alla AppleFest di San Francisco.

Vincerà un team composto dal Game Designer Yuji Hori, Game Designer che sognava di creare manga ed anime ma si ritrovò invece a creare storie per videogames e autore del gioco Love Match Tennis (secondo classificato al concorso), il giovane prodigio della programmazione Koichi Nakamura, autore del gioco Door Door (primo classificato) e il produttore Yukinobu Chiba.

Yuji Hori scoprì il mondo di Wizardry (che abbiamo visto tutt’ora è ispirazione del fantasy alla Giapponese, on Overlord di fatto ispirato dalla premessa biografica di Andrew Greenberg che programma se stesso come Werdna nel suo mondo perfetto) e ne fu istantaneamente attratto.

Scena di Portopia

Nel 1985, mentre il team ancora meditava di come creare un Wizardry Giapponese, il successo di The Portopia Serial Murder Case, detective story nata da Yuji Horii e Koichi Nakamura con trame prese da manga di successo e un menù direttamente ispirato a Wizardry attirò il celebre musicista Kōichi Sugiyama, che si manifestò favorevole a scrivere nuove melodie per i giochi del team, e il mangaka Akira Toriyama pronto a offrire la sua maestria.

Incidentalemente, Portopia che non ebbe mai una traduzione ufficiale a causa dei suoi temi maturi e inquietanti ispirerà la saga CapCom di Ace Attorney, saga di uno stralunato avvocato pronto a risolvere bizzarri casi di omicidio.

Ma con un team di talenti e tanti sogni, Hori decise che il tempo era maturo: bisognava portare il Genere Fantasy “Alla Wizardry” in Giappone.

E nel farlo inventò accidentalmente il jGdR. Capita.

Perché Dragon Quest?

Yuji Hori si era reso conto che nei giochi arcade si muore, un sacco. Lo sappiamo bene, è il motivo per cui praticamente tutti i giochi nati su Arcade hanno una difficoltà abominevole.

Hori non voleva i ragazzini si giocassero la paghetta per Dragon Quest, quindi volle che uscisse sul Famicom/NES: male che vada, i ragazzini avrebbero ricominciato dall’ultimo punto di salvataggio con qualche bestemmia.

Scena di Dragon Quest

Prese il sistema di controllo di Wizardry, con le iconiche “box in fondo allo schermo” e lo fuse alla mappa di gioco di Ultima, collaborando con Akira Toriyama per creare personaggi e mostri che spiccassero fisicamente dalla massa.

Il Giappone non era a digiuno di giochi di ruolo, ma nessuno avrebbe scommesso sul fantasy: come avrebbe dimostrato il successo di Phantasy Star l’anno dopo, il Giappone amava la sci-fi.

Aggiunta una colonna sonora creata letteralmente in pochi minuti, il primo Dragon Quest era pronto.

Arriva Dragon Quest

Se dobbiamo pensare alla genesi del jGdR, a questo punto possiamo pensarlo come un Ultima a prova di frustrazioni. La trama era banalmente semplice, a portata di ragazzino.

L’Eroe, ovviamente ancora senza nome, è il discendente di Roto (Eldrick in originale), un valoroso guerriero dell’antichità noto come paragone di virtù e per aver sconfitto il malvagio Demone Zoma (che apparirà nel terzo capitolo della saga).

Quando il malvagio Dragonlord rapisce la principessa del regno, l’Eroe si farà avanti usando una serie di indizi lasciati dal suo illustre antenato per diventare un valoroso guerriero.

Lady Lora (o Gwaelin), secondo il charades di Toriyama

Il primo capitolo aveva un solo personaggio: un gruppo completo di personaggi come nelle intenzioni degli autori arriverà dal secondo in poi. La prima parte del gioco è sostanzialmente un tutorial in cui il Re istruisce l’Eroe nel recuperare l’equipaggiamento familiarizzandosi coi controlli. Uno dei punti cardine dei moderni jRpG, i punti di esperienza che consentono di salire tanto più rapidamente quanto è basso il tuo livello (per salire dal primo al secondo livello servono infinitamente meno punti ad esempio per salire dal 40mo al 50mo) nasce proprio dal fatto che Horii volle creare un gioco a prova di frustrazione.

Nel primo gioco della saga, il salvataggio del gioco era legato al teletrasportarsi o raggiungere il castello del Re, per ottenere una password nella versione Famicom o salvare in memoria nella versione NES (le cartucce avevano una batteria tampone), e per completare l’immersione nel gioco al giovane giocatore furono dati tre finali possibili: uno in cui l’eroe trionfa e salva la bella principessa, ottiene la sua mano ma rifiuta il trono decidendo di viaggiare con lei per cercare una nuova casa e un nuovo regno dopo aver servito il Bene per anni, una in cui sconfigge il Signore dei Draghi ma omette di salvare la principessa, e un terzo “finale negativo” in cui l’eroe si allea col malvagio Dragonlord tradendo il regno per ottenere “metà del mondo conosciuto”.

L’eroe

Esattamente come Ultima e Wizardry, i giochi sucessivi della saga saranno divisi in mini saghe a loro volta. Dragon Quest II, oltre a introdurre il concetto di Party, introdurrà un discendente dell’Eroe diventato principe di un regno fondato dal primo Eroe e dalla principessa, e DQIII la storia del party di un loro illustre antenato.

Altro punto cardine della saga era la non linearità: potevi esplorare il mondo di Tantageli (e le ambientazioni successive) nei primi capitoli in ogni ordine, raccogliendo indizi per salvare la principessa e il mondo.

La trilogia successiva, pubblicata per SuperNintendo, vedrà invece un Castello nel Cielo: la saga, ancora in corso, si sposterà sulla PlayStation per poi tornare sulle console Nintendo, con un remake dei primi due capitoli appena uscito per Switch e Switch 2 e un dodicesimo capitolo in arrivo, oltre una pletora di spin-off, con alcuni capitoli moderni, come Dragon Quest IX che espressamente espandono e rimandano ad elementi della saga (col IX capitolo che spiega l’ascesa della discendenza di Roto e vede il protagonista interagire con diversi personaggi della stirpe, compresa la Principessa del primo capitolo).

Alcuni tratti salienti, l’accoglienza

Laddove WizardryUltima erano pregni di un certo umorismo britannico, la saga di Dragon Quest ha il tipico umorismo da anime, un po’ leggero e a tratti quasi pecoreccio, come ad esempio la tecnica segreta nota ai personaggi femminili del Puff-puff: letteralmente guarire l’eroe (o danneggiare i personaggi ostili maschili) strofinandogli il seno in faccia fino a rallegrarlo in un “motorboating” censurato o stordirlo.

O anche la stirpe dei Gadabout, clowns e conigliette di Playboy (tema caro a Toriyama) dalle pessime statistiche e scarsamente controllabili ma carichi di fortuna.

Il Puff-Puff, lascito di Toriyama alla saga

La saga ha anche momenti decisamente drammatici: nonostante i primi capitoli confermassero la non canonicità del finale “cattivo” del primo episodio, Dragon Quest Builders del 2016 mostra un mondo alternativo in cui il “Costruttore”, un discendente reincarnato dell’Eroe deve riportare nel mondo la capacità di creare, rivelando che nel finale negativo l’Eroe di DQI è stato punito, in quanto la “metà del mondo” che egli continua a dominare si esaurisce in un singolo castello chiamato “La metà del mondo”Dragonlord regna incostratato sul resto.

In quel Giappone che abbiamo visto aver adorato Wizardry, Dragon Quest fu un successo esplosivo. 

Ma non così in Occidente, dove tecnicamente il jGdR era nato e dove Dragon Quest fu praticamente ignorato.

Innanzitutto Dragon Quest apparve come Dragon Warrior, perché il simile marchio DragonQuest era già presso da un gioco di ruolo del 1980. E Dragon Warrior ebbe una scarna accoglienza in Occidente per almeno 10 anni.

Dragon Ball di Akira Toriyama non era ancora un successo planetario tale da riconoscere il suo tratto iconico nella saga, e giochi come Legend of Zelda avevano un senso degli enigmi e dello sviluppo narrativo più accettato.

Per i Giapponesi, Dragon Quest era una novità, per gli Occidentali Wizardry e Ultima erano già roba vecchia e non sentivano il bisogno di una loro versione semplificata.

La saga rivale di Final Fantasy

Dragon Warrior fu dato in omaggio agli acquirenti di Nintendo Power.

Fu col proseguire della saga che la sua importanza divenne palese: nel 1986, quando la rivale Square era alla canna del gas, sull’orlo della bancarotta, decise la loro Ultima Avventura (Final Fantasy) sarebbe stato un jGdR ispirato ai meccanismi importati da Dragon Quest.

Final Fantasy ebbe un successo maggiore in Occidente, complice la sensibilità grafica di un Amano più Occidentale dell’Akira Toriyama incline alle gag: la consacrazione ufficiale si ebbe solo con Dragon Quest VII, ancora criticato per i suoi tempi di gioco lenti e dilatati rispetto a quanto il giocatore occidentale era abituato ad avere.

Fu la fusione nel 2003 tra le rivali Square ed Enix a trasformare i due brand rivali in due partner: Final Fantasy proiettato nel futuro, nonostante una certa fatica narrativa che gli ha tolto smalto e rende il remake di Final Fantasy VII il più popolare della saga e Dragon Quest incardinato saldamente nella legacy e il mondo dei ricordi.

Ma a quel punto anche Dragonball aveva reso Toriyama un successo planetario e la scelta tra il delicato e rifinito mondo di Amano e il buffo, tenero e insieme bizzarro mondo di Toriyama era diventata una questione di affinità elettive.

Il lascito, l’Universo Narrativo

In Italia ricordiamo tutti il manga e anime del 1989 “Dragon Quest: La grande avventura di Dai”, ispirato proprio alla saga di Dragon Quest con un valoroso eroe erede di una stirpe di guerrieri.

Dragon Quest popolarizzerà mostri iconici come lo Slime, la buffa creatura gommosa e sarà la testa di ponte con cui i tratti del jGdR si cristallizzeranno.

Una sorta di isola felice dove, mentre il Gioco di Ruolo Occidentale evolveva verso combattimenti in tempo reale e alberi delle skill sempre più elaborati, l’Universo Giapponese ha conservato i tratti salienti di un genere nato sostanzialmente dalle limitazioni dei computer a 8 bit degli anni ’80.

La Grande Avventura di Dai

Lo stesso Pokémon ha un debito enorme con la saga di Dragon Quest: oltre alla sua attività di entomologo fai da te te, Satoshi Tajiri menziona esplicitamente Dragon Quest V del 1998 (succeduto da Dragon Quest Monsters) come fonte di ispirazione.

Lo Slime Pad

In DQV era infatti possibile creare un gruppo di eroi e mostri: Satoshi Tajiri decise quindi che era maturo il tempo per un gioco in cui un umano dovesse guidare un gruppo di teneri mostriciattoli alla vittoria e si convinse che la capacità di scambiarsi mostri da una cartuccia all’altra (da lui voluta come mezzo per stringere legami tra giocatori) fosse necessaria quando vide il suo amico e disegnatore Ken Sugimori avere più oggetti rari di lui nei salvataggi di Dragon Quest e rendersi conto che un gioco in cui puoi implorare i tuoi amici di darti oggetti e personaggi che non hai avrebbe placato la sua invidia.

Ironicamente da Pokemon Oro/Argento in poi divenne possibile assegnare oggetti ai Pokémon da scambiare, usandoli come “postini” per oggetti rari.

Dragon Quest ebbe anche la sua quota di gadget come un controller per Switch a forma di Slime.

Soprattutto, senza Dragon Quest non avremmo avuto il filone jRpG, ma senza Wizardry e Ultima non avremo avuto Dragon Quest.

L’intero concetto di mondo fantasy con classi preordinate, combattimento a turni, crescita di livelli rapida nei primi livelli e poi rallentata con la capacità di apprendere nuove mosse e crescere in statistiche di livello in livello nasce essenzialmente perché un gruppo di fan andò a vedere un Apple II.

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