Divulgazione

Vincenzo Verzeni, il vampiro di Bottanuco (parte 1)

L’uomo cammina lento, un passo cadenzato e pesante. La sua testa pende di lato e questo fa sì che i suoi occhi guardino il mondo in obliquo. Occhi, però, che tradiscono un’inquietudine che chiunque gli si pari davanti può percepire. Sono celesti, quegli occhi, celesti tendenti al verdastro che a seconda di come incontrano la luce diventano vitrei. Se la luce li colpisce, quegli occhi diventano feroci.

Così gli studiosi dell’epoca descrivono Vincenzo Verzeni, un caso di cui si occuperà anche Cesare Lombroso e che terrorizzerà tutta la campagna bergamasca, già straziata dall’epidemia di colera e ora, in un’Italia di fine ‘800 in cui i cambiamenti nell’assetto socio-politico corrono veloci, deve fare i conti con la paura.

Bottanuco e l’Unità d’Italia

Bottanuco, un villaggio rurale in provincia di Bergamo, dopo l’Unità d’Italia conosce un notevole progresso nell’industrializzazione del territorio e i suoi cittadini ne scoprono i vantaggi. Come in ogni comunità, però, esiste ancora quella fetta di popolazione che dai benefici viene tagliata fuori. I contadini vivono in cascine plurifamiliari, con i proprietari al piano di sotto e i parenti in quello di sopra.

Ammassati come un’azienda decadente, i membri delle famiglie contadine più povere si muovono di giornata in giornata tra i campi e la terra, e quando nascono nuovi figli anch’essi diventano braccia preziose. In una famiglia, però, c’è un ragazzino che non sopporta che si uccidano gli animali. Quando arriva l’ora di sgozzare un pollo per portarlo in tavola lui si nasconde, impressionato.

Dai 12 anni, però, quell’adolescente silenzioso e schivo, passivo e obbediente, scopre il piacere della morte. Di nascosto si addentra nel pollaio e fa strage di galline. Non le uccide soltanto: le addenta, gioca con le loro viscere e scappa. “Sarà stata qualche bestia”, racconta ai suoi. I suoi sono i Verzeni, una di quelle famiglie allargate con gli zii al piano di sopra.

Tra il 1865 e il 1867 l’Italia viene colpita da un’epidemia di colera, una nuova ondata dopo quella del triennio 1835-37. Tra gli scienziati che ne studiano le cause c’è anche il chimico e igienista tedesco Max Von Pettenkofer, che riconosce nella diffusione della malattia anche una responsabilità sociale: il Paese è ancora fortemente superstizioso e molti abitanti preferiscono ricorrere a vecchi rituali e amuleti anziché affidarsi alla scienza.

1867, Marianna Verzeni

Il colera arriva anche a Bottanuco e colpisce quella famiglia allargata, schiacciata dentro una cascina in mezzo alla campagna. È il 1867. Marianna Verzeni, 12 anni, si è ammalata e quella notte sta dormendo. Per sua fortuna il peggio è passato. La ragazzina è convalescente e riposa nella sua stanza mentre là fuori c’era la neve, una coltre che ha gelato tutta la casa.

In quella stanza, però, non è sola. Dal piano di sotto è salito qualcuno che ora la sta fissando. Marianna si ridesta e riconosce suo cugino, Vincenzo di 18 anni, che con la sua famiglia vive dabbasso. Vincenzo non dice nulla e di colpo le salta addosso. Marianna non ha forze e si ritrova travolta da una furia che le stringe il collo così forte da farle assaporare la morte. Accade qualcosa. Vincenzo molla improvvisamente la presa. Ha il bassoventre macchiato di sperma ed è tornato calmo. Senza dire niente se ne va, lasciando Marianna nel terrore.

1869, Barbara Bravi

Con il vapore esalato dalla bocca per il contatto tra il fiato e l’aria esterna, Barbara Bravi sta percorrendo una strada di campagna. Sono le 4 del mattino. È buio. È partita da Cerro per andare alla prima messa presso la chiesa di Bottanuco. Un individuo le si para davanti e dice qualcosa, come se volesse chiedere informazioni. Barbara non fa in tempo a rispondere che si ritrova schiacciata sulla neve.

Le mani del Verzeni le stringono il collo con forza. Gli occhi di Barbara si ribaltano e si convertono in un bianco che spicca su quel volto che si tinge di rosso, che si gonfia e che sta per spegnersi per sempre. Accade qualcosa. Improvvisamente quella stretta finisce. Con il cuore che pulsa in ogni tessuto, Barbara vede Vincenzo allontanarsi senza dire niente. Sazio, ha il bassoventre imbrattato di sperma. L’orgasmo del Verzeni l’ha salvata.

1869, Margherita Esposito

“Pater noster, qui es in cælis: sanctificétur nomen tuum”Margherita Esposito recita il Pater Noster e anch’ella, come Barbara Bravi, si trova sulla strada che collega Cerro a Bottanuco. Sono le prime ore del mattino e Margherita sta andando alla messa. Un uomo fa capolino dall’oscurità. È Vincenzo Verzeni, che subito la afferra per il collo. La donna è di stazza grossa, ma nonostante la sua forza viene gettata sullo sterrato. La sua resistenza mette a dura prova il Verzeni, che nell’atto di tentare di strangolarla è costretto a premerle un ginocchio sul ventre.

Margherita, però, riesce a colpire Vincenzo e a darsi alla macchia. Anch’egli si dà alla fuga, e lo fa emettendo una sorta di ringhio o di grugnito, un verso animalesco che rimbomba per tutto il silenzio della campagna che lentamente si risveglia. Il Verzeni torna a casa con il volto tumefatto. Sua madre se ne accorge e non dice niente, come tutte le altre volte.

1869, Angela Previtali

Alle 7 del mattino Angela Previtali percorre una strada secondaria per andare a scuola. Ha 12 anni, e qualcuno la sta osservando. È Vincenzo Verzeni, che la raggiunge. Angela lo riconosce e il Verzeni la afferra per i polsi con l’intento di trascinarla in un luogo nel quale portare a compimento il suo atto. La ragazzina grida, e a quell’ora qualcuno può sentirla. Vincenzo lascia la presa e fugge.

La madre di Vincenzo Verzeni, pur notando quelle macchie sospette impresse sugli indumenti del figlio, tace. Sui pantaloni e sulla camicia spesso nota aloni di sperma, si accorge dei graffi sulla pelle e di quella contusione provocata dallo scontro con Margherita Esposito.

Non immagina, quella donna, che un giorno le mani e i denti del suo Vincenzo si macchieranno di sangue.

(continua)

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