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Quando un segnale proveniente dal cosmo diventa una scoperta epocale nei titoli (ma non nella realtà)

Quando si leggono titoli come “dopo 100 anni potremmo averla finalmente vista” riferiti alla materia oscura, è legittimo nutrire qualche sospetto. L’analisi condotta da Newtral, una delle fonti di fact-checking più autorevoli in Spagna, conferma che la cautela è più che giustificata. Alcune pagine italiane di divulgazione astronomica hanno trasformato un comunicato stampa dell’Università di Tokyo in una notizia sensazionale, quando la realtà scientifica è molto più sfumata e incerta.

Cosa ha scoperto davvero lo studio

I fatti sono questi: Tomonori Totani dell’Università di Tokyo ha pubblicato uno studio sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics in cui analizza dei raggi gamma provenienti dal centro della Via Lattea. I raggi gamma sono radiazioni elettromagnetiche estremamente energetiche, molto più potenti dei comuni raggi X. Lo studio documenta un eccesso di emissioni gamma a una specifica energia (20 GeV) che potrebbe, in via teorica, essere compatibile con l’annichilazione di particelle di materia oscura.

Il problema sorge quando il titolo scientifico prudente del paper viene trasformato in dichiarazioni definitive sulla “scoperta” della materia oscura. Miguel Ángel Sánchez Conde, fisico teorico dell’IFT-UAM-CSID, ha dichiarato al Science Media Centre spagnolo che “risulta impossibile affermare che è la prima volta che si è vista la materia oscura”, spiegando che la comprensione attuale della produzione di raggi gamma attraverso fenomeni astrofisici convenzionali è ancora molto limitata.

In termini più semplici: esiste un segnale anomalo, ma attribuirlo con certezza alla materia oscura è prematuro. Potrebbero esistere numerose altre spiegazioni astrofisiche non ancora identificate. La storia della ricerca sulla materia oscura è costellata di annunci simili poi rivelatisi infondati.

Nel corso degli anni sono stati osservati eccessi di raggi cosmici, positroni e segnali nell’idrogeno che inizialmente vennero interpretati come possibili tracce di materia oscura.

Successivamente, tali segnali hanno trovato spiegazioni in fenomeni astrofisici convenzionali: pulsar non catalogate, supernove distanti, stelle di neutroni con emissioni anomale. L’universo contiene innumerevoli sorgenti di radiazioni ad alta energia, molte delle quali non sono ancora completamente caratterizzate.

I problemi metodologici e le contraddizioni

La fisica tedesca Sabine Hossenfelder, nota per le sue analisi critiche di affermazioni scientifiche discutibili, ha evidenziato problemi significativi nella metodologia utilizzata in questo video.

Quando un segnale proveniente dal cosmo diventa una scoperta epocale nei titoli (ma non nella realtà)

L’approccio dello studio consiste nel sottrarre dai dati complessivi dei raggi gamma le emissioni provenienti da sorgenti conosciute, per poi attribuire il residuo sferico alla materia oscura. Capite bene che la metodologia presenta chiaramente un limite intrinseco poiché presuppone che tutte le sorgenti convenzionali siano state correttamente identificate e modellate, il che potrebbe non essere il caso.

Esistono potenzialmente altre sorgenti astrofisiche non ancora catalogate o errori nella modellizzazione del background che potrebbero spiegare il segnale osservato. Un ulteriore elemento problematico emerge dal confronto con altre presunte rilevazioni di materia oscura. Le caratteristiche della particella ipotetica necessaria per spiegare questo particolare segnale contraddicono le proprietà che la materia oscura dovrebbe avere secondo altre osservazioni precedenti. Un’incoerenza che solleva dubbi sulla validità dell’interpretazione proposta e suggerisce che potrebbe trattarsi di un fenomeno di natura diversa.

Come sottolineato da Óscar del Barco dell’Università di Murcia in un’analisi pubblicata su The Conversation, la verifica di questa ipotesi richiede analisi indipendenti condotte da altri gruppi di ricerca. Sarebbe necessario osservare lo stesso tipo di segnale in altri ambienti ricchi di materia oscura, come le galassie nane satelliti della Via Lattea. Solo una conferma indipendente e ripetuta potrebbe trasformare questa osservazione preliminare in una scoperta scientifica consolidata.

La divulgazione scientifica responsabile dovrebbe chiarire che si tratta di un risultato che necessita di ulteriori verifiche prima di poter essere considerato definitivo.

Il danno della comunicazione scientifica sensazionalistica

La tendenza a trasformare risultati preliminari in scoperte epocali danneggia la percezione pubblica della scienza. Quando successivamente altri team di ricerca potrebbero ridimensionare o confutare le affermazioni iniziali, il pubblico può interpretare questi sviluppi come incompetenza degli scienziati, quando invece rappresentano il normale funzionamento del metodo scientifico. La scienza procede attraverso ipotesi, verifiche sperimentali, eventuali smentite e nuove ipotesi.

Tale processo iterativo non è un difetto, ma il fondamento dell’affidabilità scientifica. La materia oscura rappresenta uno dei grandi enigmi della fisica moderna, studiato da quasi un secolo. Negli anni Trenta l’astronomo Fritz Zwicky osservò che le galassie si muovevano a velocità incompatibili con la massa visibile che contenevano.

Negli anni Settanta Vera Rubin confermò l’esistenza della stessa anomalia studiando le curve di rotazione delle galassie: le stelle ai margini esterni ruotano alla stessa velocità di quelle vicine al centro, fenomeno impossibile senza l’esistenza di una massa invisibile che agisce gravitazionalmente. La “dark matter” costituirebbe circa l’85% della materia dell’universo, pur rimanendo completamente invisibile alla rilevazione diretta. Proprio l’importanza fondamentale di questo mistero impone un approccio particolarmente rigoroso nella valutazione di potenziali scoperte.

La prudenza metodologica non è antagonista della divulgazione scientifica, ma ne costituisce il fondamento. La differenza tra divulgazione di qualità e sensazionalismo risiede nella capacità di comunicare il grado di incertezza intrinseco ai risultati scientifici, privilegiando l’accuratezza rispetto all’impatto mediatico immediato. Nel caso specifico, siamo di fronte a un’osservazione interessante che richiede verifiche indipendenti prima di poter essere considerata una scoperta confermata.

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