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Perché non dovreste dimenticare il discorso di Calamandrei sui Partigiani

Ogni anno torna il 25 Aprile, ogni anno torna la citazione del discorso di Calamandrei sui Partigiani, tenuto il 28 febbraio 1954 al Teatro Lirico di Milano, alla presenza di Ferruccio Parri, partigiano, senatore e tra i politici che prestarono la loro opera per l’Assemblea Costituente creando l’Italia libera che conosciamo e amiamo.

E ogni anno viene perso il ricordo delle persone di cui Piero Calamandrei parlava. Temevamo fosse arrivato questo momento, e alla fine è arrivato il momento in cui ci è stato chiesto di rileggere la frase di Calamandrei. Frase che non si analizza: si studia, si impara a memoria e si chiede perdono in ginocchio perché forse il mondo in cui viviamo ora non è quello per cui Calamandrei e i Partigiani hanno dato la vita.

Perché non dovreste dimenticare il discorso di Calamandrei sui Partigiani

Partiamo dal discorso:

I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi. Non sanno chi fu quel giovanetto della Lunigiana che, crocifisso ad una pianta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: «Li conoscerete quando verranno a vendicarmi», e altro non disse. Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: «Sono io che li ho nascosti (e non era vero), fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi». Non sanno come si chiama colui che, imprigionato, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò. Non sanno come si chiama quell’adolescente che, condannato alla fucilazione, si rivolse all’improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo, lo baciò sorridente dicendogli: «Muoio anche per te… viva la Germania libera!».
Tutto questo i ragazzi non lo sanno: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazione del fascismo ed oltraggi alla Resistenza.

E ora siccome anche voi avete dei problemi con la memoria, vi siedete e fate un ripasso. Vi ricorderemo di chi parlava Piero Calamandrei.

I fratelli Cervi

Questa va detto è assai facile. Se non ricordate chi sono i fratelli Cervi, probabilmente dovrebbero togliervi retroattivamente la licenza elementare.

I sette fratelli Cervi erano contadini e antifascisti, fucilati dai repubblichini a Reggio Emilia il 28 dicembre 1943 per la loro attività partigiana e perciò decorati di Medaglia d’argento al Valor Militare “alla memoria”: originari di Campegine, si chiamavano Gelindo (nato il 7 agosto 1901), Antenore (30 marzo 1904), Aldo (9 febbraio 1909), Ferdinando (19 aprile 1911), Agostino (11 gennaio 1916), Ovidio (13 marzo 1918) ed Ettore (2 giugno 1921).

La loro storia si intreccia con l’Antifascismo, ed essi costituirono uno dei nuclei fondanti della resistenza Emiliana, rendendo la loro cascina porto sicuro per rifiugiati e vittime del nazifascismo e partecipando ad operazioni di lotta e Resistenza.

I fratelli Cervi

Furono catturati in seguito a delazione dai Repubblichini in cerca di disertori e Partigiani nella notte tra il 24 e il 25 novembre 1943 e vengono tradotti trasportati nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia.

Il 28 dicembre pertanto furono uccisi come rappresaglia contro le azioni dei Partigiani contro le Camice Nere locali, tutti e sette lo stesso giorno.

Solo nell’ottobre del 1945 il padre Alcide Cervi riuscirà ad ottenere un funerale solenne per i suoi figli.

Aldo Salvetti

Salvetti, giovane carpentiere subito dopo l’8 settembre 1943, si era unito ai partigiani della Lunigiana. Si distinse per coraggio nella formazione formazione “Aldo Cartolari”, inquadrata nella Brigata d’assalto Garibaldi, finché ferito, fu catturato dai nazifascisti e torturato a morte a colpi di baionetta.

Aldo Salvetti

Crocefisso ancora sanguinante ad un portone nel tentativo di estorcere nomi di partigiani, questi rispose “Conoscerete i miei compagni quando verranno a vendicarmi”, per poi esalare l’ultimo respiro.

Mancuso Pietro

Mancuso Pietro fu Luigi e di Amelia Giotti, nato a Palermo il 14 luglio 1920, chimico, residente a Milano fu tra otto Partigiani impiccati il 7 settembre del 1944 in seguito ad una rappresaglia tedesca a Pilone Virle.

I martiri di Pilone Virle

Come ultimo desiderio chiese una sigaretta e un bitter: i soldati tedeschi gli concessero la sigaretta ma dichiararono di non avere bevande da dargli. Sul patibolo egli urlò

“Viva l’Italia e viva la Germania libera!”.

L’ufficiale responsabile dell’esecuzione gli chiese perché proprio la Germania e lui rispose

“Sì, viva la Germania libera…”

Ma non potè finire la spiegazione perché in quel momento esatto il boia aprì la botola rompendogli il collo nella caduta.

Luciano Bolis

Luciano Bolis nasce a Milano nel 1918, terzogenito di una famiglia della media borghesia milanese che accetta piuttosto convintamente il fascismo, ma deciderà di ribellarsi contro il fascismo e la sua famiglia di origine.

Nel 1942 viene condannato al carcere, rilasciato andrà dapprima in Svizzera per unirsi al Partito di Azione e poi tornerà in Italia per la lotta Partigiana. Catturato, tenterà il suicidio per non confessare.

Luciano Bolis

Dapprima cercherà di tagliarsi i polsi, ma il freddo della prigionia rallenterà la fuoriuscita del sangue rendendo la morte poco rapida ed efficiente, e poi cercherà di tagliarsi le carotidi infilandi la lametta nelle ferite fino ad arrivare alla laringe.

Verrà portato di urgenza in infermeria per cercare di salvarlo ed estorcere una utile confessione, ma il Bolis si salverà senza confesssare, sposando poi l’infermera chiamata per tenerlo vivo.

Dopo un anno passato a riprendersi dalle ferite, tornerà alla politica attiva nel febbraio 1946 con la carica di vicesegretario nazionale del PdA, proseguendo la sua carriera come uomo politico e giornalista, impegnandosi per una Europa unita.

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