Chi ci segue da un po’ lo sa che non amiamo fare allarmismi, ma quando si parla di sicurezza alimentare, ci sono momenti in cui serve essere molto chiari. In questi giorni si è tornati a parlare di botulismo, purtroppo non per motivi teorici o accademici, ma per alcuni casi drammatici. Tre persone (due in Calabria e una in Sardegna) sono morte dopo aver consumato cibo contaminato. Inoltre, ci sono diversi altri ricoverati, alcuni in condizioni gravi. Non siamo davanti a un’emergenza, ciò va detto subito, però siamo di fronte a qualcosa che avrebbe potuto essere evitato.
Il botulino è una delle tossine più potenti in natura. Ne basta una quantità minuscola per mandare in tilt il sistema nervoso: paralizza i muscoli, a cominciare da quelli oculari e respiratori. È prodotto da un batterio, Clostridium botulinum, che si sviluppa in ambienti poco acidi, poveri di ossigeno e con scarsa igiene.
Clostridium Botulini, il botulino
Può annidarsi nelle conserve fatte in casa, nelle salse lasciate fuori frigo, nei barattoli rigonfi, ma anche in alimenti distribuiti su larga scala se la filiera non è perfetta. La contaminazione non dà sapore, non puzza, non si vede. Ecco cosa la rende subdola.
La buona notizia è che un antidoto esiste, ma pochi sanno come funziona davvero. In Italia, non è presente in tutti gli ospedali. Non si trova nel pronto soccorso sotto casa, non è un farmaco d’emergenza come il cortisone o l’adrenalina. È conservato in un solo centro specializzato: il Centro Antiveleni dell’Irccs Maugeri di Pavia, un punto di riferimento nazionale che custodisce la scorta strategica dell’antitossina.
Può sembrare la conseguenza di un accentramento burocratico, ma in realtà è una scelta precisa, scientificamente fondata. L’antidoto è un farmaco delicato, raro e molto costoso. Deve essere conservato in condizioni rigorose, tracciato in ogni fase, utilizzato solo quando serve davvero. Per tale motivo viene gestito centralmente, con protocolli rigidissimi.
Quando un medico sospetta un’intossicazione da botulino, chiama il centro di Pavia. I tossicologi, attivi 24 ore su 24, valutano i sintomi e, se ritengono che si tratti di un caso fondato, autorizzano l’invio del siero. Da lì parte una vera e propria corsa contro il tempo: aerei militari, staffette sanitarie, tutto pur di far arrivare quella fiala il prima possibile; e qui viene il punto cruciale perché il tempo è tutto. L’antidoto funziona solo sulla tossina ancora in circolo nel sangue. Una volta che ha raggiunto i neuroni e ha bloccato la trasmissione nervosa, il danno è fatto, il processo è irreversibile. Quindi, prima arriva, meglio è.
Solitamente i sintomi dell’avvelenamento (fonte: Epicentro) si manifestano da poche ore a oltre una settimana dopo il consumo dell’alimento contaminato (6 ore 15 giorni). Tuttavia, nei casi di botulismo alimentare che si verificano in Italia la sintomatologia compare mediamente nell’arco di 24-72 ore dopo il consumo dell’alimento contaminato. Ovviamente più precoce è la comparsa dei sintomi più severa sarà la malattia.
La sintomatologia può variare da forme lievi che si auto-risolvono a forme molto severe che possono avere esito fatale. I sintomi più comuni sono:
Nonostante la malattia possa essere mortale, se diagnosticata in tempo si risolve totalmente in tempi che possono variare da qualche settimana a diversi mesi. Il trattamento comprende la terapia di supporto alla ventilazione e la decontaminazione intestinale con carbone attivo. Nei casi più gravi può essere necessario il ricorso alla ventilazione assistita nonché alla nutrizione parenterale. La terapia specifica consiste nella somministrazione di un siero iperimmune, di cui si parlerà nei prossimi paragrafi.
Dal punto di vista biochimico, quindi, l’antidoto non è una “cura” nel senso comune del termine. Non distrugge il batterio, non guarisce in senso stretto. Contiene frammenti di anticorpi che si legano alla tossina libera e la neutralizzano, impedendole di fare altri danni. Tuttavia, non risolve la paralisi già in atto. Ecco perché anche chi lo riceve in tempo, spesso finisce in terapia intensiva, attaccato a un respiratore per giorni o settimane, finché il corpo non si riprende.
Se ci pensate un attimo, colpisce questo paradosso. Da un lato, una macchina sanitaria ben rodata, che funziona: medici preparati, una rete di risposta nazionale, un antidoto efficace. Dall’altro, basta un vasetto di guacamole mal conservato, un panino da street food con un ingrediente fuori frigo, per far scattare l’emergenza. Un equilibrio precario, che si regge su conoscenza, attenzione e – diciamolo – anche un po’ di fortuna. Serve però anche consapevolezza. Serve sapere che il botulino non è una leggenda, né un rischio da laboratorio.
Le conserve, spesso vettore della malattia
È un rischio reale, basso ma possibile, pertanto è necessaria prudenza, soprattutto con le conserve fatte in casa. Bisogna conoscere i metodi giusti, sterilizzare i contenitori, acidificare correttamente, conservarli in frigo se necessario. Bisogna diffidare degli alimenti venduti in condizioni igieniche approssimative, specie durante eventi o feste popolari. Non per paranoia, ma per semplice buon senso.
Occorre mantenere una solida fiducia nella scienza e in coloro che, con competenza e dedizione, hanno costruito un sistema capace di intervenire con tempestività, serietà e rigore in situazioni di potenziale emergenza sanitaria. Il fatto che la scorta nazionale dell’antidoto sia custodita a Pavia non deve essere percepito come una debolezza o una limitazione, bensì come una garanzia di efficienza, controllo e sicurezza, poiché tale centralizzazione consente di assicurare condizioni ottimali di conservazione e un impiego razionale delle risorse disponibili.
È pur vero che, in circostanze eccezionali, si rende necessario adottare soluzioni in deroga rispetto alle procedure ordinarie, come avvenuto in Calabria con l’autorizzazione a mantenere temporaneamente una scorta presso l’ospedale di Cosenza, ma anche in questi frangenti ogni decisione deve essere guidata da valutazioni strettamente scientifiche e da criteri di prudenza, evitando di cedere a scelte dettate dall’emotività o dalla pressione del momento.
Da un punto di vista scientifico, questo tragico evento evidenzia ancora una volta quanto il botulismo, pur rimanendo un rischio raro, possegga una pericolosità straordinaria. Nel caso dei due decessi in Calabria registrati negli ultimi giorni, la contaminazione sembra essere collegata a un food-truck dove i protocolli di preparazione e conservazione degli alimenti potrebbero non essere stati rigorosamente rispettati, come suggeriscono le indagini in corso da parte del NAS e dell’ASP, coordinate con l’Istituto Superiore di Sanità.
Le autopsie programmate per il 12 agosto, insieme all’esame dei campioni prelevati, rappresenta un’azione necessaria a fini medico-legali per ricostruire la catena di eventi che ha portato all’intossicazione fatale. In termini più ampi, i fatti di cronaca recenti ribadiscono una verità che la scienza ci insegna da sempre: la sicurezza alimentare non è mai scontata, ma il frutto di processi rigorosi, controllo sistematico e rigore nell’applicazione delle procedure. Non basta agire dopo. È la prevenzione, basata su evidenze e protocolli validati, a proteggere le vite in silenzio ma con la massima precisione. Preferiamo non formulare alcun commento in merito all’indagine che coinvolge i medici, lasciando che siano le autorità competenti a fare piena chiarezza.
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