È morto Matteo Messina Denaro, tradotto in carcere, per complicazioni legate al grave tumore che lo affliggeva ormai da tempo, sottratto per sempre al giudizio dei tribunali ancorché non a quello della storia.
Denunciato per associazione mafiosa sin da giovane, la sua vita si è legata a stretto filo con quella di Cosa Nostra, attraversando le stagioni più oscure della mafia con una feroce e consapevole determinazione.
“Figlio d’arte” ed erede del mandamento paterno, Matteo Messina Denaro come molte persone nel mondo della criminalità univa fredda determinazione nel crimine a passioni imperscrutabili per il suo ruolo.
Interrotti gli studi per dedicarsi alla più remunerativa attività tracciata dalle orme paterne, rimpiangerà di non essersi mai laureato. Cosa che non gli impedirà però di diventare quello che la stampa definì un “boss spietato”, risoluto nell’ordinare l’eliminazione di chiunque ostacolasse il suo potere, un “giovane rampante” che su ordine di Riina partecipò alla strage di Alcamo e diede al mondo una enorme dimostrazione di malvagità e ferocia col sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, effettuato con altri su ordine del “boss” Giovanni Brusca allo scopo di impartire una lezione al padre pentito.
Sequestro, come purtroppo è noto, terminato con l’esecuzione del piccolo e la distruzione del cadavere in un fusto di acido nitrico.
Il suo nome è legato, tra diversi crimini di mafia, anche all’attentato all’agente penitenziario scelto Giuseppe Montalto, ucciso per dare un segnale di vicinanza ai mafiosi detenuti in regime di 41bis ai quali erano stati rifiutati “favori” in carcere.
Dal 1993 egli si diede irreperibile: la sua latitanza è terminata solo quest’anno, dopo lunghissime ricerche e dopo essere stato rintracciato mentre effettuava cure chemioterapiche per il tumore che, minandone la salute, l’avrebbe condotto alla morte.
Con la sua morte si chiude una sanguinosa fase della lotta alla mafia, ma restano aperti infiniti misteri.
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