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La tragedia del piroscafo Utopia, dove morirono 551 emigranti italiani

Pochi ricordano la tragedia del piroscafo Utopia, un naufragio nel quale persero la vita – o risultarono dispersi – 551 emigranti italiani in viaggio verso gli Stati Uniti. Era il 17 marzo 1891 e teatro del dramma fu la baia di Gibilterra.

La partenza

Il 25 settembre 1891 il piroscafo Utopia, della compagnia Anchor Line e varato dai cantieri navali della Robert Duncan & Co il 14 febbraio 1874, salpò dal porto austro-ungarico di Trieste con destinazione New York e scalo a Messina, Palermo, Napoli, Genova e Gibilterra.

La nave comandata dal capitano John McKeague caricò a Messina sette passeggeri, 57 a Palermo e 727 a Napoli. Dopo la tappa di Genova, il piroscafo contava circa 900 passeggeri a bordo, per la maggior parte viaggiatori italiani con pochi istriani e altrettanto pochi austriaci.

Il portale Museo delle Spartenze riporta che a bordo dell’Utopia si trovavano “813 passeggeri, di cui 661 uomini, 85 donne, 55 ragazzi, 12 poppanti. I membri dell’equipaggio erano 68. L’ultimo scalo prima di attraversare l’oceano con direzione New York era previsto a Gibilterra, dove l’Utopia avrebbe fatto rifornimento di carburante.

L’arrivo a Gibilterra

Il piroscafo fu visto arrivare superare Punta Europa e comparire nei pressi della baia di Gibilterra alle 18 del 17 marzo 1891. In questo documento leggiamo che le condizioni metereologiche non erano ottimali, bensì “imperversava una forte tempesta da sud- ovest”.

Per il comandante McKeague si rivelò dunque necessario mettere in sicurezza la nave e cercare un attracco nel minor tempo possibile. Per questo McKeague fece diminuire la velocità di crociera dell’Utopia per raggiungere l’ormeggio.

Il naufragio

Il molo cui era solito attraccare, però, era occupato dalle corazzate Anson e Rodney. Sulle circostanze che precedettero la tragedia ci sono una serie di informazioni incrociate. In primo luogo si scrive che il faro abbagliò la nave, addirittura le fonti dell’epoca citate in questo file scrissero che il timone dell’Utopia andò fuori uso.

A queste difficoltà tecniche si aggiunse un errore fatale di McKeague, che virò a dritta e si avvicinò pericolosamente alla Anson. La Anson era dotata di un rostro di almeno sei metri. Il capitano si accorse troppo tardi del pericolo imminente, quindi il rostro della Anson speronò il lato di dritta del piroscafo nel quale si creò un varco di almeno otto metri.

I fuochisti a bordo della Utopia spensero i motori per scongiurare l’esplosione, ma la tragedia fu inevitabile. McKeague riuscì a disarcionare il lato di dritta dallo sperone dell’Anson, ma l’acqua aveva già iniziato a riempire le stive del piroscafo fino a coprire il ponte. In venti minuti la nave iniziò ad inclinarsi e ad inabissarsi.

A nulla servirono i fari delle corazzate puntati sulla Utopia che naufragava, né gli allarmi lanciati dalle altre navi con cannonate sparate verso il cielo per segnalare l’emergenza, tanto meno le scialuppe di salvataggio offerte dalle navi militari per soccorrere le persone in mare.. I passeggeri furono sbalzati dentro l’acqua, con uomini urlanti e bambini aggrappati alle proprie madri che imploravano aiuto.

I più veloci riuscirono ad aggrapparsi agli alberi, ormai gli unici elementi della Utopia rimasti sopra il livello del mare. In pochissimi minuti la nave fu completamente sommersa. La tempesta fece il resto, con naufraghi schiantati contro gli scogli e morti a seguito dell’impatto.

Sottocoperta si consumò la tragedia più atroce, con passeggeri rimasti intrappolatiNoticias Gibraltar ricostruisce che tra i 564 che persero la vita “551 emigrati italiani, dodici membri dell’equipaggio e un passeggero di prima classe”. Durante le operazioni di salvataggio persero la vita anche George Thales e James Croton, marinai della nave da guerra inglese Immortalité.

Il conteggio ufficiale fu reso quasi impossibile per la presenza a bordo di numerosi clandestini.

La condanna al capitano John McKeague

Il 18 marzo 1891, un giorno dopo il naufragio, il capitano John McKeague fu imprigionato su decisione delle autorità di Gibilterra ma subito liberato dietro una cauzione di 480 sterline.

Il 23 marzo la corte del Tribunale Marittimo presieduta dal giudice Charles Cavendish Boyle si riunì per la prima volta e ascoltò la versione di McKeague e le testimonianze di alcuni funzionari delle corazzate presenti nella baia il giorno della tragedia, precisamente – scrive Terclasse.it – “alcuni ufficiali delle navi da battaglia Hms Anson, Hms Immortalité e Hms Camperdown”.

Il 24 marzo fu emesso il verdetto, nel quale si riteneva McKeague “responsabile di un grave errore di giudizio a causa del quale la sua nave è affondata e c’è stata la perdita di vite umane”. Il 25 marzo il Tribunale confermò la sentenza emessa il giorno precedente e si decise di ritirare il brevetto a John McKeague.

Per questa sentenza l’Impero Britannico e il Regno d’Italia sfiorarono l’incidente diplomatico. Nelle settimane successive al naufragio, intanto, i corpi delle vittime disperse iniziarono a riaffiorare. Nel numero de L’Illustrazione popolare, giornale per le famiglie pubblicato il 12 aprile 1891 e citato da Volere La Luna il 17 marzo 2021, si leggeva:

Nella mattina […] apparvero cadaveri presso […] le spiagge di Puerta de Tierra e dell’Espigon. In quest’ultimo punto, lo spettacolo era orribile. V’erano ventidue cadaveri, sei di uomo, nove di donne, fra le quali alcune giovani, e sette di bimbi e bambine. Giacevano nell’arena a poca distanza gli uni dagli altri. Fra tutti, attirava l’attenzione e la pietà il cadavere di una donna di media età che teneva al suo fianco un bambino di circa due anni, con le braccia in posizione tale che si vedeva come ella lo avesse portato al collo durante la lotta contro l’inesorabile Oceano. Si durò fatica a staccare il bimbo dal collo della donna; la povera creaturina aveva le manine avvinghiate al corpo della madre. Su questa spiaggia, c’era una gran folla di gente venuta da Gibilterra e da La Linea. […] Le vittime del naufragio si fanno ascendere a seicentoquarantadue, comprendendovi alcuni dei marinai che perirono mentre si sforzavano di salvare i naufraghi. Di trecentonove furono rinvenuti i cadaveri. I salvati sono duecentonovantaquattro.

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