La storia dello studente pendolare da 400 chilometri al giorno pubblicata dal Corriere della Sera ci fornisce un senso di fortissimo deja vu. È una narrazione che abbiamo già visto del resto.
Almeno due volte: la prima volta con la storia della bidella pendolare, la seconda volta con la storia della “studentessa prodigio”, entrambe storie dove una assistente scolastica e una studentessa raggiungono l’obiettivo laurea e lavoro promuovendo il sacrificio e l’abnegazione di sé fino al confine dell’autodistruzione.
La storia dello studente pendolare da 400 chilometri al giorno ha il significato che dovrebbe avere?
Cosa che, ripetemmo ai tempi del nostro articolo sull’assistente scolastica e riportarono altri sulla studentessa prodigio non è colpa dei soggetti nella storia, ma della “coverage”, quello che avremmo un tempo chiamato “taglio giornalistico” dato alla notizia.
Un tempo infatti avremmo esibito la storia di una pendolare costretta ad orari da tregenda ed una studentessa la cui narrativa la descrive come una persona che praticamente non dorme mai, non si ferma mai, non riposa mai per ottenere una vita scolastica brillante come la vita sociale come un problema. Una distorsione della società moderna post-Capitalista che valuta l’essere umano dalla sua facoltà di produrre, ottenere risultati, integrarsi, guadagnare e lavorare anziché dal fornire ad ognuno un trattamento semplicemente umano.
In questo caso abbiamo uno studente pendolare che ogni giorno universitario si sposta da Lecce a Bari nell’impossibilità di seguire le lezioni. Avevamo dubbi sulla storia precedente e simile della pendolare, in quanto gli orari i costi seembravano non coincidere del tutto. In questo caso però, effettivamente, valutando i costi di Flixbus e contando un autobus da Alessano a Lecce e la tratta oraria degli autobus Baresi (un euro circa) le somme ci sarebbero.
Vale però quanto dicemmo all’epoca corroborati dall’analisi offerta da Rolling Stones all’epoca, e che ripetiamo: il nostro “Libro Cuore 2.0” si arricchirebbe facilmente di un immaginario distopico degno più che di De Amicis di un episodio particolarmente poco ispirato, ma molto più spaventoso di “Black Mirror”.
Avremmo quindi la glorificazione del “posto fisso ad ogni posto”, dello “studente brillante contro i giovani svogliati che, Dio non voglia, esigono essere trattati da esseri umani e non ingranaggi”, la mitologia del lavoratore che, in quanto tale, deve accettare l’inaccettabile.
Una società immaginata e sognata tale da mettere il Giappone del Karoshii, la “Morte da superlavoro” tra i modelli di vita. Siamo passati in scioltezza dalla glorificazione dello studente che, per la desiderata laurea cessa anche solo di dormire per arrivare al traguardo alla glorificazione del “superpendolare” pronto a vivere un’esistenza precaria perché la precarietà sul lavoro sarebbe un peccato contro la Società e il sonno stesso diventa un lusso da svogliati.
Esempio di orari
Il punto della storia non diventa più “Ma perché non prendere casa, ad esempio, in uno dei molteplici paesi nel Sud Barese ad una percorrenza umana da Bari?”, dato che un treno da Lecce a Bari ci metterebbe un’ora circa, e tra Lecce e Bari ci sono le città di Trepuzzi, Squinzano, San Pietro Vernotico, Brindisi, Carovigno, Ostuni, Cisternino, Fasano, Monopoli, Polignano a Mare, Conversano e Mola di Bari.
Diventa l’acritica, senza alcuna domanda, glorificazione dell’annientamento del sé in nome del posto fisso e dell’obiettivo laurea.
La contrapposizione tra il “nuovo eroe” in grado di rinunciare a tutti, compresi il sonno e la salute, e il “nuovo nemico”, che rifiuta di “fare la sua parte”.
E questo non è certo positivo.
Diventa la famosa battuta del ricco magnate che dice con fare arrogante al povero disgraziato
“Se tu imparassi a risparmiare di più e fare più straordinari non saresti povero”
Per sentirsi dire
“E se tu anziché sperperare i soldi in lussi pagassi a noi lavoratori stipendi umani, questa discussione non ci sarebbe”.
Nelle sue infinite declinazioni.
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