Appare quasi inevitabile che 30 anni dopo la tragedia del Tamburello si torni a parlare della causa della morte di Ayrton Senna, con tutto il contorno caratterizzato dal famoso spasmo subito dopo l’incidente. Per fortuna, almeno in questa circostanza, ci sono state risparmiate teorie singolari e senza alcuna fonte, ma da quel 1 maggio 1994 si è detto tanto su quanto avvenuto nella curva del Tamburello. Solo varie inchieste ed approfondimenti hanno consentito di ricostruire l’accaduto.
Dunque, a differenza di quanto avvenuto con Arrigo Vecchioni nelle scorse settimane, non ci sono complotti da smentire. Ad oggi, la lettura sulla causa della morte di Ayrton Senna e lo spasmo 30 anni dopo l’incidente è abbastanza semplice. Tutto gravita attorno alla rottura del piantone dello sterzo, che ha causato il dritto prima dell’impatto contro il muro a circa 240 km/h. A nulla è valsa la frenata disperata del campione brasiliano, fermo restando che l’incidente in sé non sia stato il vero problema.
In pratica, la causa della morte di Ayrton Senna è imputabile ad una maledetta sospensione che, una volta staccatasi dalla Williams guidata dal tre volte campione del mondo, si è conficcata nel cranio del brasiliano. Casco intatto ed una fatalità incredibile, visto che quel pezzo così pericoloso ha trovato l’unico angolo vulnerabile per penetrare la visiera. La dinamica, dunque, verte sulla fatalità, mentre lo spasmo 30 anni dopo l’incidente va collegato ad una reazione del sistema nervoso.
Dunque, la causa della morte di Ayrton Senna e lo spasmo 30 anni dopo l’incidente tornano a tenere banco, ma la ricostruzione offerta su Il Resto del Carlino da Giovanni Gordini, a quel tempo medico del 118 responsabile del soccorso, ed oggi direttore del dipartimento di emergenza dell’Ausl di Bologna, consente di sgombrare il campo da ogni dubbio. Resta solo il momento di preghiera.
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