Vi abbiamo parlato in un altro articolo dell’ascesa del Macintosh, e di come dopo l’arrivo del primo Macintosh, Steve Jobs invece andò via. Sbattendo la porta, portandosi via nonostante minacce e mugugni legali di John Sculley i migliori e i più rappresentativi di Apple e lasciando la compagnia priva della sua direzione per venti anni.
Arriviamo ora ai festeggiamenti per il suo ritorno, col computer più brutto di ogni tempo. Così brutto da diventare bellissimo, il TAM, Twentieth Anniversary Macintosh.
Abbiamo lasciato Jobs nel capitolo precedente fuori da Apple alle prese con una nuova ditta, la NeXt. Un divorzio dal quale nessuno risultò felice: NEXT si trovò alle prese con soluzioni hardware avveniristiche, ma non recepite dal mercato col calore che la nuova compagnia aspettava, e con un sistema operativo rivoluzionario che però non riusciva a piazzare, anche se il World Wide Web mosse i primi passi proprio su una workstation NEXT.
Apple si trovò con le versioni evolute dell’hardware desiderato da Steve Jobs, ma col Mac OS “Classic” ormai in obsolescenza e lavorato ai fianchi da Windows e i suoi padri e madri nobili ormai a casa di Steve Jobs, aveva il problema opposto, hardware di pregio ma nessuna direzione software.
Il TAM, fonte Wikimedia Commons
Come nella famosa scena di Avengers Endgame in cui i Vendicatori tornano da Thanos ed egli li aspetta dicendo “Non potevate sopportare il vostro fallimento, ed esso dove vi ha condotti? Di nuovo da me”, Apple, che aveva provato senza successo a rendere BeOS il nuovo Mac OS, richiamò Steve Jobs giusto in tempo per il ventesimo anniversario della compagnia, accettando di acquistare NeXT e riportare Jobs a casa, che provvide a rimodellare Apple a sua immagine e somiglianza ancora una volta in cambio del dono di OS X, l’attuale MacOS (senza spazi).
Jobs si trovò davanti un’altra occasione di celebrazione, il TAM: e fu immediatamente odio tra i due.
Jobs aveva ricevuto un TAM in dono come tutti coloro che erano presenti alla nascita di Apple, e tornò in Apple a Febbraio del 1997, un mese prima del rilascio ufficiale del TAM.
Nel 1998, al termine dell’anno tipico di produzione dei prodotti Apple, Jobs decise che l’avventura del TAM sarebbe finita lì, e che comunque non gli era mai piaciuto così tanto.
Un oggetto nato per celebrare i venti anni di Apple arrivò quindi assieme al ritorno del Padre Nobile della compagnia giusto per segnalare al mondo che, no, in venti anni senza Jobs la Apple era diventata qualcosa che Jobs avrebbe odiato e bisognava fare pulizia.
Il TAM esteticamente fu uno dei prodotti di Sir Jonathan Paul Ive, uno di coloro che non aveva seguito Susan Kare e gli altri ed era rimasto ad Apple, in tempo per disegnare una serie di prodotti tra cui il MessagePad, gli iPhone, gli iPod e il primo iMac del 1998, coi suoi colori traslucidi.
Nelle intenzioni della compagnia uno dei suoi storici e più importanti designer avrebbe dovuto disegnare un prodotto elegantissimo per celebrare i venti anni di una compagnia che aveva fatto la storia, e tale prodotto avrebbe dovuto essere reso palatabile per un pubblico professsionale ed elevato.
Il Newton Messagepad
L’idea arrivò ovviamente non nel 1997, ma un anno prima, nel 1996, il vincitore tra una serie di concetti di macchine celebrazione per i venti anni della compagnia. L’idea primaria fu avere un prodotto accessibile al pubbblico: in quella che Steve Jobs appena tornato definirà come una delle prove che la ditta senza di lui aveva perso i suoi obiettivi e il suo scopo.
Il concetto vincitore (chiamato “Spartacus”, “Pomona”, o “Smoke & Mirrors” durante lo sviluppo) fu l’epitome della Apple prima del “ritorno al profitto” di Jobs e, in un certo senso, antesignano di quello che per molti Apple è diventato ora: prodotti “off the shelf”, ovvero parti reperibili sul libero mercato e/o usate per prodotti di fascia medio-bassa della compagnia sbattuti in un prodotto di altissimo design industriale e venduti a prezzo d’oro.
Produrre un nuovo computer prevede tempo e ricerca: il TAM non aveva né l’uno né l’altro alle spalle. Quello che aveva erano una pila di elementi già pronti per il Powerbook 3400, i bozzetti di design di Ive ed una “lista di materiali di grande pregio”.
Il risultato finale fu quello che avremmo definito un moderno All-in-One: un portatile truccato da computer fisso, ma con una serie di accessori premium, anche sin troppo.
Il TAM fu uno dei primi computer prodotti con uno schermo piatto LCD (preso di peso dal Powerbook 3400) in un’era in cui il display più comune era uno schermo CRT, con una tastiera tenkeyless prima che le tastiere tenkeyless tornassero di moda con un trackpad prima che i trackpad andassero di moda.
Il tutto aveva una spiegazione perfettamente logica: il TAM utilizzava non solo lo schermo di un Powerbook, ma anche la tastiera di un Powerbook incastonata in una base con poggiapolsi in cuoio dall’aspetto premium ed uno slot per incastrarvi un trackpad ADB (il formato di connessione dei computer Apple dell’epoca), col risultato di avere una tastiera leggera, elegante e che occupasse uno spazio infimo.
La tastiera del TAM, fonte vintagecomputer
Altre soluzioni tra l’efficace e il bizzarro prevedevano l’uso di una scheda video ATI 3D Rage II incorporata (all’epoca il non plus ultra), un TV Tuner che rendeva possibile usare il TAM come un televisore (sullo stile del suo predecessore, il Macintosh TV), un lettore CD montato in verticale a modo di elaborato Juxebox ed un sistema audio progettato da Bose col subwoofer installato nell’alimentatore.
Esattamente quello che sembra: se non avevi l’impianto casse completo, non potevi neppure accendere il tuo TAM, e infilare il subwoofer dentro l’alimentatore creava un particolare difetto, un ronzio fisso nel subwoofer che fu associato al TAM stesso e che veniva risolto in riparazione aggiungendo resistenze e con generose passate di pulisci contatti perché la minima traccia di sporcizia nel connettore (da cui ricordiamo passavano sia la corrente del corpo base che il collegamento tra scheda audio e subwoofer) avrebbe provocato o reso udibile il tipico suono di alternata.
Il TAM arrivava con un disco fisso da 2 Gb, 32 Gb di Ram espandibili fino a 128 ed uno slot PCI piazzato sul retro assieme ad uno slot proprietario ad un angolo tale da limitare il numero di espansioni inseribili o trasformare l’estetico pannello piatto sul retro in una ben meno elegante gobba: lo slot proprietario consentiva infatti di inserire processori aggiuntivi.
Il TV Tuner veniva fornito col suo bravo telecomando, e il TAM fu l’ultimo computer Macintosh in grado di far girare nativamente System 7, anche se supporta (con la perdita di alcune customizzazioni dedicate all’uso più agevole delle sue funzioni aggiunte) fino a System 9.x, l’ultima versione di Mac OS fino al salto ad X e MacOS.
Il TAM era letteralmente un prodotto da spettacolo più che da uso. Certo, era elegantissimo averlo sulla scrivania, ma era come abbiamo visto tutto quello che Jobs odiava in un computer, ovvero la funzione sacrificata alla forma.
Il lettore CD integrato era limitato a 4X dalla sua natura verticale, a livello di performances era di fatto un PowerMac 6500 con parti di PowerBook incastonate intorno alla scheda madre per buona forma, probabilmente in un ufficio elegante non avresti avuto bisogno di un Sintonizzatore Televisivo ed in un ufficio domestico la TV la avevi già.
Ed avere una tastiera da Powerbook in grado di essere riposta e diventare invisibile a fine uso era sì qualcosa di esteticamente gradevole, ma ergonomicamente sgradevole e soprattutto non valeva il prezzo al lancio di 7500 dollari dell’epoca (per capirci, il PowerMac 6500 ne costava 1800 e, audio Bose e sintonizzatore a parte, faceva le stesse cose).
La tastiera di un Powerbook, fonte iFixit
Si badi, il prezzo di 7500 dollari fu anche un compromesso: l’idea alla base della celebrazione era lanciarlo sul mercato con un prezzo di 9000 dollari che avrebbe compreso la consegna e installazione a domicilio per mezzo di valletti in limousine con guanti bianchi.
Il TAM arrivò sulle scrivanie a 7500 dollari, ridotti poi a 3500 ed a 2000: a quel punto della storia Steve Jobs era tornato e si premurò che gli acquirenti del Day One non si sentissero biecamente truffati regalando loro buoni per riscattare un Powerbook di ultima generazione.
Allo stesso modo, il TAM fu concepito come un prodotto che si reggeva sull’hype: ebbe un sito internet separato dal resto dei prodotti Apple, un suono di avvio personalizzato (che poteva essere inserito con diverse modifiche sul PowerMac 6500) e il CEO Gil Amelio cercò di presentarlo come la cosa più bella che abbiamo mai costruito, celebrazione di “venti anni di creatività Apple e araldo dei venti anni che verranno”.
La storia ovviamente gli darà torto: la natura espressamente elitaria del TAM si palesò anche nel numero di prodotti e nella rete di assistenza. Ne furono prodotti solo dodicimila in tutto il mondo, di cui 399 rimasti in magazzino per ricambi, nessuno di loro arrivò ufficialmente in Italia e la rete di assistenza Apple ricevette istruzione di non riparare direttamente i TAM arrivati.
I TAM rimandati in assistenza, perlopiù per il rumore di alternata nelle casse, venivano spediti in tre centri di raccolta (una per continente), processati e rispediti in negozio per il ritiro.
Oggi ovviamente i TAM sono stati vendicati dalla storia: sono ancora tra i venticinque prodotti peggiori secondo PC World e Steve Jobs oltre a esibire il suo disprezzo malcelato per lo stesso si premurò di far sapere al resto di Apple che non avrebbbe mai più approvato qualcosa contenente una TV.
Citando un noto meme della serie Perry the Platipus “Se avessi una monetina per ogni volta che questo è accaduto nella storia, avrei due monetine: non è molto ma è il numero di volte che è successo”, e quindi Macintosh TV e TAM furono le uniche due “TV Apple” della storia del genere umano.
Almeno fino ad Apple TV, mediacenter del 2007 che consentiva di accedere a servizi in streaming dalla TV che già avevi.
L’attuale iMac, fonte Apple
Oggi un TAM in buone condizioni è un oggetto di collezionismo, ed è facile trovare guide per ripararne uno con parti prese dai citati computer Apple del periodo.
Ammettendo di trovare la “gobba” di espansione, un TAM può essere portato fino a System 9 e di lì portato, sia pur con supporto limitato fino ad OS X 10.4 (con problematiche crescenti dal 10.2 in poi).
Il TAM però è stato il prodotto su cui Ive si è di fatto allenato, e dopo il ritorno al CRT con l’iMac del 1998, è indubbbio che l’attuale linguaggio estetico degli iMac attuali, nato ed evoluto con l’iMac G5, abbia un debito enorme con l’aspetto del TAM come l’intero concetto di “computer come oggetto di design”.
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