C’era un gioco dell’800 che serviva a rimorchiare. Abbastanza male: parliamo del resto di un’epoca in cui, come abbiamo avuto modo di apprezzare, il sesso era relegato al “si fa ma non si dice” e la stessa seduzione ne soffriva.
Il gioco di cui parliamo era “The Elite Quzzial & Quaint Conversation Cards” (1888), ovvero il “gioco delle carte di conversazione”, un antenato molto più “timido”, ma per l’epoca altrettanto sfacciato, delle “Cards Against Humanity”.
Solo con oltre un secolo di anticipo.
La storia del “gioco delle carte di conversazione” comincia trent’anni prima, nel 1858, quando McLoughlin Bros., Inc. inizia la sua attività producendo letteratura per bambini (spesso riduzioni di romanzi famosi), giochi da tavolo e altro materiale stampato a colori, dato non scontato per l’epoca.
Fino al suo acquisto da parte di Milton Bradley, McLoughlin potè quindi cementarsi come produttrice di giochi da tavolo in un’epoca in cui, ben prima delle televisioni e dei videogames il “party game” per eccellenza non era certo Super Mario sul NES, ma un gioco da tavolo da estrarre dopo essersi intrattenuti con balli, musica e discorsi per portare la serata ad un livello più intimo.
Entrano in scena ora “The Elite Quzzial & Quaint Conversation Cards”, le nonne delle Cards Against Humanity.
Il meccanismo era quasi lo stesso: in CAH lo scopo è avere un interlocutore che pone una domanda pescata da un mazzo di carte nere, e un altro che dovrà scegliere la risposta più divertente da un mazzo bianco.
In QCC la scelta non c’era: un interlocutore pescava dal mazzo delle domande, un altro dal mazzo delle risposte. Le domande, invero più goffe di quelle di CAH, erano abbastanza sfacciatelle per gli standard dell’epoca: spesso quindi lo scopo era convincere gli impacciati giovani dell’epoca a simulare discussioni assurde, con risposte raramente collegate alla domanda ma creando quell’atmosfera di “forzato contatto” di cose come il gioco della bottiglia e obbligo e verità.
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