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Esistono davvero app che traducono il linguaggio dei gatti? Sì, ma…

Ci segnalano i nostri contatti un video TikTok che parla di uno “Shazam per i felini”, di app che traducono il linguaggio dei gatti. Di esistere esistono, il problema è che esistono come possono esistere tanti oggetti che sono divertenti da usare, “fighi” in un certo senso, ma che in realtà non hanno utilità pratica.

Esistono davvero app che traducono il linguaggio dei gatti? Sì, ma…

Un po’ come comprare uno smartwatch (in offerta per chi non vuole spenderci troppo si trovano su Amazon modelli un po’ datati ma con tutte le funzioni al loro posto a 50 Euro circa) non sostituisce una visita dal cardiologo perché dentro ci trovi un sensore per il battito cardiaco, scaricare un’app per “tradurre il linguaggio dei gatti” non significa essere diventato il dottor Doolittle. Anzi.

Esistono davvero app che traducono il linguaggio dei gatti? Sì, ma…

L’app principale è MeowTalk, descritta come “il futuro della comunicazione gatto-uomo insieme”.

Secondo i programmatori dell’app, si tratta di un dataset estremamente specializzato basato sulla Rete Neurale Profonda Yamnet.

Un database di suoni di gatti consente all’app di riconoscere una macrocategoria iniziale (Gatto o Non Gatto) e poi nella prima associare suoni simili a intento. La parola chiave è l’intento: non viene promessa una traduzione letterale, viene adattato un intento.

Workflow del modello

Un gatto affamato verrà tradotto con “ho fame”, un gatto contento con “ti voglio bene” e un gatto in cerca di attenzioni con “mamma!”. Tutto a posto? Fin’ora non c’è nessun problema. L’app è carina, l’app è divertente, l’app è gratis, l’app consente di interagire coi tuoi amici felini in un modo divertente.

Se non fosse che un buon amante dei gatti, gli intenti dei gatti li capisce già al volo. Dopo un po’, capisci se il tuo animaletto domestico è in vena di coccole, è in vena di essere lasciato in pace, se ha fame o è inappetente, se sta bene o ha bisogno di una visita dal veterinario.

Ma è lo stesso cofondatore della ditta che si occupa di MeowTalk, Javier Sanchez, a confermare che nonostante nel team ci sia anche uno studioso autore di un testo sulla vocalizzazione dei gatti, il team di sviluppo non è composto da esperti di comportamento felino, bensì un gruppo di ingegneri.

Abilissimi nel programmare una AI che associ suono a intento, un po’ meno versati nella psicologia felina.

Il vero linguaggio felino

Nel 2023 su queste pagine riportammo uno studio aneddotico (basato sull’osservazione diretta sia pur in ambiente controllato): i gatti hanno espressioni facciali.

688 espressioni complesse (ottenute combinando una trentina di movimenti facciali diversi in espressioni complesse) di cui la metà usate per comunicare con altri gatti.

Secondo la dottoressa Mikel Maria Delgado, esperta di comportamento e psicologia felina, l’app impatta sulla tendenza tipica dell’umano a voler umanizzare l’animale.

I gatti comunicano in un modo complesso: mediante linguaggio del corpo, mediante ferormoni, mediante (abbiamo appena visto) espressioni facciali, solitamente riservando le vocalizzazioni all’essere umano.

Solo interagendo coi nostri gatti quindi stiamo manipolando il flusso di dati usato dall’app per istruirsi e, contemporanemente, il dato che vorremmo elaborato, rendendo le percentuali di efficacia riportate in siti e recensioni una pia aspirazione.

Un esempio dato dalla dottoressa Delgado viene proprio dal “trailer di lancio” dell’app, che secondo quanto da lei osservato mostra un gatto irritato e nervoso che cerca di spingere via la faccia della presentatrice mentre l’app insiste che (ovviamente) il gatto vuole coccole.

Scena dal trailer di lancio

Si tratta secondo l’esperta di una versione 2.0 della moda TikTok del dare a cani e gatti ausili per la comunicazione (le “tavolette parlanti” con espressioni riportate sui tasti dedicate a persone con afasia e disturbi del linguaggio) per istruirli a pigiare bottoni, a loro volta versione elaborata del cavallo da circo che sbatte gli zoccoli per comunicare con gli umani.

Probabilmente l’uso di derivati di TensorAI consntirà di identificare suoni comuni apparsi in alcune situazioni, ma non con efficacia, e col rischio di maleinterpretare come si sente davvero un gatto.

Pensiamo all’utente dell’app che dinanzi ad un gatto stressato e nervoso si accontenti di sentire “Ti voglio bene” e “voglio coccole” e ignori il segnale di disagio.

Una domanda comune agli psicologi comportamentali animali, riporta Delgado, è “Ma il mio gatto mi vuole bene”?

Il rischio dell’abusare simili app è che esse siano una scorciatoia per convincerci che sì, i nostri animali ci vogliono bene quando, evidentemente siamo noi a doverci prendere cura degli animali e sforzarci di capirli e non loro a doversi umanizzare o, addirittura, spendersi in rassicurazioni.

È divertente giocare a interpretare cosa “dicono i gatti”? Lo facciamo tutto il giorno.

Possiamo sostituire con una app educatori e veterinari? Anche se il gatto dovesse “dire mediante AI” qualcosa come “Ti voglio bene, sto bene” sta al padrone capire che no, era solo un gioco e il gatto dovrebbe ricevere le cure e le attenzioni del caso.

Conclusione

A parte i dubbi sulla privacy, tipici di altre app basate sulla ricognizione del suono e che non è scopo di questa esposizione trattare, le app per “riconoscere la voce dei felini” vanno accettate per quello che sono.

Un semplice giochino per “umanizzare” i nostri amici animali che non deve impedire di tenere conto delle loro caratteristiche e della complessità dei loro atteggiamenti.

Accontentarsi davanti ad un gatto evidentemente nervoso e a disagio, ad esempio, dell’assicurazione che “Secondo la AI vuole giocare” potrebbe esporre la bestiola a stress ancora maggiori: vivere l’app con la dimensione ludica che ha sarebbe meglio.

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