Il Caso

Cosa sappiamo del caso di Streaming Community (e perché non esiste un “sito clone”)

Streaming Community, una delle principali community di film e serie televisive “pirata” è chiuso. Forse. Poi aperto, poi chiuso, in quel balletto che siamo abituati a vedere nelle operazioni di pirateria a largo spettro

Perché nonostante DDay.it, la prima testata a parlare del caso, abbia precisato che il Piracy Shield non c’entra niente, esso tende a tornare nella stampa come sospettato e sui social come colpevole della testa della community.

Cosa sappiamo del caso di Streaming Community (e perché non esiste un “sito clone”)

Eviteremo di inerpicarci nel ginepraio etico che vuole il “libero pezzotto in libero stato” espressione della “cultura cracker e quindi della libertà” o semplice metodo per avere il pezzotto, e quindi eviteremo di centrare l’articolo sui risvolti etici e morali.

Parlermo di quello che è successo.

Cosa sappiamo del caso di Streaming Community (e perché non esiste un “sito clone”)

Semplicemente si parla della classica operazione di contrasto alla pirateria ad ampio spettro, sulla base dell’articolo 171ter della Legge sul Diritto d’Autore, ovvero

1. Chiunque abusivamente utilizza, anche via etere o via cavo, duplica, mette a disposizione, riproduce, in tutto o in parte, con qualsiasi procedimento, anche avvalendosi di strumenti atti ad eludere le misure tecnologiche di protezione, opere o materiali protetti, oppure acquista o noleggia supporti o servizi audiovisivi, fonografici, informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni della presente legge, ovvero attrezzature, prodotti o componenti atti ad eludere misure di protezione tecnologiche è punito, purché il fatto non concorra con i reati di cui agli articoli 171, 171 bis, 171 ter, 171 quater, 171 quinquies, 171 septies e 171 octies, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 154 e con le sanzioni accessorie della confisca del materiale e della pubblicazione del provvedimento su un giornale quotidiano a diffusione nazionale.

2. In caso di recidiva o di fatto grave per la quantità delle violazioni o delle copie acquistate o noleggiate o per la quantità di opere o materiali protetti resi potenzialmente accessibili in maniera abusiva attraverso gli strumenti di cui al comma 1, la sanzione amministrativa è aumentata sino ad euro 5.000 ed il fatto è punito con la confisca degli strumenti e del materiale, con la pubblicazione del provvedimento su due o più giornali quotidiani a diffusione nazionale o su uno o più periodici specializzati nel settore dello spettacolo e, se si tratta di attività imprenditoriale, con la revoca della concessione o dell’autorizzazione di diffusione radiotelevisiva o dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività produttiva o commerciale.

Parliamo quindi di una sanzione amministrativa, anche tenue se non si parla di recidive.

E parliamo di una operazione di contrasto della pirateria ad ampio spettro, come sono sempre accadute anche prima che esistesse Piracy Shield, con un sito sottoposto a sequestro per le varie ragioni per questo accade (evitare di disperdere prove, evitare la reiterazione del reato, congelare le prove stesse…).

Esiste un “clone cattivo dello Stato che ti manda in galera”?

No, in nessun senso possibile.

Solitamente il sequestro di un sito comporta che sia messo offline e/o il suo indirizzo IP rediretto verso un sito appartenente alle Forze dell’Ordine per avvisare gli utenti dell’accaduto.

Ovviamente ogni sito registra gli accessi, quindi ovvio che le forze dell’Ordine sanno che vi siete collegati

Un eventuale cracker però non troverà dei carabinieri in miniatura che smontano i bit nel mondo digitale: non troverà niente. Se non appunto, un “indirizzo virtuale” che a volte porta a Streaming Community, a volte porta altrove.

E se arrivate a quell’altrove finite in galera? No, affatto.

Vi abbiamo già detto che si tratta di sanzione amministrativa, e la condotta è tipica, ovvero la sanzione scatta se compi una determinata azione, che è eludere gli strumenti adeguati di protezione, quindi fruendo il pezzotto.

La morbosa curiosità non è sanzionata: al momento non sappiamo se le indagini hanno consentito o consentiranno di identificare gli utenti, anche se ovviamente l’obiettivo delle Forze dell’Ordine punterà anche lì.

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