L’avrete riconosciuto essendovicisi imbattuti più volte: grazie ai prodigi della tecnologia, che consentono ad ogni indinniato di avere nel proprio cellulare una macchina fotografica di buona qualità connessa ad Internet 24 ore su 24, lo stesso mentre sta passeggiando per una città normale si imbatte in persone di colore che fanno cose.
Fanno la spesa, si siedono, si scaccolano, respirano, camminano… non importa. Colto da un raptus inspiegabile l’indinniato estrae il suo cellulare e comincia a scattare foto ai soggetti della sua indinniazione come in una sorta di moderno safari ottentotto.
E poco importa che tecnicamente, per quanto sia possibile scattare fotografie a persone in un luogo pubblico senza espresso consenso, tale consenso non sempre copre l’eventuale pubblicazione su Facebook: l’indinniato, tronfio della preda ottenuta, correrà lesto a casa a scaricare le fotografie sul computer per farci un montaggione a base di indinnazione, italiani poveri e canovacci nazionalpopulisti da esibire fiero come un trofeo di caccia.
Ma a volte il giochino viene scoperto, e si scopre che il raccontino sordido e perverso alla base dell’esibizione pubblica non corrisponde al vero.
Ci siamo così imbattuti, durante una ricerca per immagini conseguente alle solite segnalazioni, in una preziosissima testimonianza
Riassumendo, siamo di fronte a dodici richiedenti asilo che, uniti assieme i fondi concessigli per il vitto, decidono per risparmiare qualche soldo di fare la spesa in comune.
Cosa normalissima.
Ed abbiamo un soggetto che, colto in fallo durante la sua caccia, semplicemente ignora il rimprovero ricevuto e ripubblica la sua creazione, insinuando l’esistenza di una credit card per immigrati che, alla prova dei fatti non esiste.
Una storia che possiamo ragionevolmente ritenere comune a tutte le foto di tal fatta.
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