Crime Facts

Susan Wiley, la “bambina lupo” che rimase prigioniera dei suoi genitori per 12 anni

4 novembre 1970.

Irene ha 50 anni e si mette in viaggio per Temple City, California. Con sé ha i documenti per richiedere la pensione di invalidità per la sua quasi totale cecità. Accanto a lei, di fronte agli uffici, c’è sua figlia Susan. Irene entra così dalla porta d’ingresso, ma sbaglia interno e si ritrova di fronte alla scrivania dell’assistente sociale. Quest’ultimo nota che quella bambina, Susan, ha qualcosa di strano. Non parla, ringhia. Non cammina bene, si muove a scatti in un modo che gli americani chiamano bunny hop. Sputa, ha lo sguardo smarrito. “Quanti anni ha, la piccola Susan? 6 anni? Ci va a scuola?”. La risposta di Irene gela l’addetto all’ufficio: “Mia figlia Susan ha 13 anni e mezzo”.

Irene e Clark Wiley, i genitori di Susan, vengono subito arrestati e la piccola Genie – così verrà ribattezzata – viene trasferita all’Ospedale Pediatrico di Los Angeles.

David Rigler, psicologo, Howard Hansen, psichiatra, e James Kent, medico specializzato in abusi su minori, vengono incaricati di prendersi cura di Genie. La polizia li informa sul suo background familiare, e si aprono le porte dell’inferno. Il 17 novembre 1970 escono le prime notizie sui media principali. Il 20 novembre Clark, un giorno prima dell’udienza per l’accusa di abusi su minori, si suicida con un colpo di pistola. Intanto, viene diffusa la prima foto autorizzata di Genie.

Antinferno

Prima della nascita di Susan, per Clark è già iniziato il declino mentale che gli rende insopportabile qualsiasi rumore. Anche il vagito dei bambini.

Per impedirle ogni gravidanza, Clark non fa che pestare sua moglie Irene, che tuttavia rimane incinta. Nasce la prima figlia, ma muore di polmonite alla decima settimana perché viene rinchiusa in garage. Il secondo figlio muore dopo due giorni, soffocato. Il terzo figlio sopravvive, ma Irene è costretta a mantenerlo in silenzio fino a inibire il suo sviluppo fisico e linguistico. Di lui si occuperà la nonna materna, che decide di tenerlo con sé.

Nel 1957 nasce Susan Wiley.

Inferno

Televisione e radio, in casa Wiley, non sono ammesse. Clark parla con sua moglie usando un volume talmente basso da impedire a Susan qualsiasi acquisizione di linguaggio.

Le finestre della stanza di Genie sono sempre oscurate, con uno spiraglio che viene aperto di tanto in tanto dal quale non vedrà mai le case del vicinato. Genie trascorre il tempo imprigionata in una camicia di forza fabbricata in modo artigianale dal padre. Legata ad una sedia di giorno, di notte è costretta in un sacco a pelo infilato con forza dentro una culla coperta con una rete metallica. Gli arti, durante la notte, vengono immobilizzati.

Nessun cibo solido per lei, solo omogeneizzati e liquidi. A imboccarla è sempre Clark, e se Genie non deglutisce le viene spalmato il cibo sul viso.

La bambina-lupo

Quando Susan “Genie” viene liberata diventa un caso emblematico di bambina-lupo, oggetto di studio dei linguisti per confermare le teorie sulle età di assimilazione del linguaggio. Nei 12 anni e mezzo di reclusione, infatti, suo padre Clark si è rivolto a lei abbaiando e ringhiando come un cane e non le ha mai rivolto la parola.

Solo nel 1972, in casa della famiglia adottiva dei Riglers, Genie riesce a pronunciare frasi sgrammaticate come: “Padre è arrabbiato. Padre colpito grosso bastone”.

Oggi, di Susan Wiley, non si hanno notizie. Dalla fine degli anni ’70 al 2016 ha cambiato una serie di famiglie e istituti, e oggi si troverebbe in una località della California protetta dallo Stato.

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