La notizia della settimana è che Salvini propone di assicurare bici e monopattini. Perché al momento di una proposta si parla. E specialmente nell’ambito del diritto Italiano sappiamo come va a finire. Citando le pubblicità di molti prodotti rivoluzionari succede che “il prodotto finale potrebbe differire dalle immagini mostrate sui volantini e nella pubblicità”.
O meglio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e il processo legislativo comporta una lunga serie di controlli e discussioni che, in ultimo sfociano non in quello che si vuole fare e basta, ma in quello che si voleva fare ma era possibile fosse fatto.
In base alle leggi che già vi sono e cui bisognerà armonizzarsi, in base all’opportunità, in base allo stato delle cose.
Con un apparente cambio di idea rispetto al 2015 (ma ammettiamolo, cambiare idea è ammesso) il ministro delle Infrastrutture passa dallo scetticismo rispetto all’immatricolazione di monopattini e biciclette a caldeggiarne l’uso.
Prevedendo quindi “casco, frecce obbligatorie e assicurazione” per la “mobilità dolce”. Ovvero, biciclette e monopattini.
Dal 2015 ad oggi diversi cambiamenti invero ci sono stati tali da giustificare un cambio di idea: ad esempio complice l’introduzione del “Bonus Monopattino” un’esplosione della diffusione dei mezzi a due ruote.
L’aumento dei mezzi ha causato un aumento dei sinistri: già nel 2021 secondo i dati Istat passano dai 564 dell’anno precedente a 2.101, mentre i feriti sono stati 1.980 – di cui 1.903 conducenti, 77 passeggeri e 127 pedoni investiti – a fronte dei 518 complessivi del 2020. I morti sono stati dieci, uno dei quali era un pedone.
Ai nostri confini, in Svizzera, si punta il dito sul conducente, che spesso usufruisce del mezzo con una leggerezza che sulle quattro ruote non si concederebbe.
Quindi, il Ministro decide di fare qualcosa, ma quel qualcosa ad esempio viene criticato da Confindustria ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), che esprime “forte preoccupazione”
“Si tratta di misure che non vanno nella direzione di ottenere maggiore sicurezza, per la quale – si legge nel comunicato – serve un impegno strutturale ed educativo a tutela di chi utilizza la bicicletta, che è un utente debole della strada”.
“Abbiamo già avuto modo di inviare lo scorso marzo una lettera dettagliata al ministro competente, attraverso la quale – ha rimarcato il presidente di ANCMA Paolo Magri – non solo abbiamo sottolineato il valore del comparto ciclo, che in Italia genera un volume d’affari di oltre 3,2 miliari di euro, ma abbiamo anche evidenziato che il nostro sarebbe l’unico Paese in Europa, dove tra l’altro l’utilizzo della bici è ampiamente più diffuso che in Italia, ad introdurre questi obblighi”.
“Il nostro Paese – ha concluso Magri – ha un grande potenziale di attrattività cicloturistica, ha un mercato che cresce, è uno dei primi produttori di biciclette nell’eurozona, esprime un tessuto imprenditoriale d’eccellenza fatto da oltre 250 piccole e medie imprese, per l’80% insediate fra Veneto, Lombardia e Piemonte. L’associazione è a disposizione del Governo in maniera costruttiva, ma per come è stata annunciata, questa riforma sembra oggi più contro la diffusione della bicicletta, che a favore di una maggiore sicurezza sulle strade: penalizzare la leadership della nostra industria sarebbe un autogol”.
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