Le vie dell’inferno sono lastricate di ottime intenzioni: nessuna eccezione viene fatta neppure per i messaggi WhatsApp.
Ci viene così segnalato il seguente messaggio:
MESSAGGIO AMNESTY – Ciao! Stiamo facendo una fotopetizione per chiedere la liberazione di Mahmoud Abou Zeid, detto Shawkan, fotoreporter egiziano di 31 anni in carcere da 5 per aver scattato delle foto a una manifestazione che veniva repressa nel sangue. La sentenza è attesa per il 28 luglio, è stata chiesta la pena di morte. Ci aiutate? Si tratta di fare una foto con le dita come se si stesse reggendo una macchina fotografica, come fa Shawkan da dietro la grata della prigione, poi postarla sui propri social con questi 3 hastag: #MyPicForShawkan #FreeShawkan #journalismisnotacrime , e mandarla anche a noi che la mettiamo nell’album che abbiamo creato sulla pagina di Amnesty Bologna come potete vedere qui: https://www.facebook.com/pg/Amnesty-Bologna-910948528968179/photos/?tab=album&album_id=1963063853756636
La petizione è vera. Potrete trovare ogni dettaglio qui
Ma se Amnesty International ha deciso di comunicare mediante i propri canali social e non per mezzo di messaggini WhatsApp un motivo c’è.
Ed il motivo è che, tra tutti i modi possibili per comunicare un’iniziativa, improvvisarsi portavoce e trasformare la stessa in una Catena virale di S. Antonio è il peggiore.
Come vi dicemmo all’epoca, atteso che un’iniziativa, come questa lo è, sia vera, troverete sulla pagina social ufficiale della stessa ogni strumento per condividerla, senza doverne inventare altri.
Facendolo, otterrete solo diversi effetti sgraditi:
Questa volta vi è andata bene: ma, verificato che la catena esiste, chiudete WhatsApp, cercate la pagina social dell’autore dell’iniziativa e per carità, diffondete quella.
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